«Mi sono iscritto a maggio, aspetto ancora di essere contattato», si sfoga un 24enne sardo. A una ragazza di Roma, 23 anni, è andata poco meglio: «Sono stata chiamata per un colloquio, ma si sono limitati a illustrarmi il programma». Per un suo corregionale invece, 25 anni, il messaggio è stato diretto: «Mi hanno detto che offerte di lavoro non ci sono, le aziende che hanno aderito sono pochissime». Non sta funzionando Garanzia Giovani, il piano che avrebbe dovuto garantire agli under 29 che non studiano né lavorano, i Neet, un’opportunità di formazione o impiego.
Lo dicono le testimonianze, anonime ma numerose, raccolte dal centro studi Adapt e dal sito Repubblica degli Stagisti. E lo confermano pure i numeri ufficiali del ministero. Perché su un milione e 700 mila giovani Neet italiani una frazione, 340 mila, si sono registrati alla Garanzia, solo 139 mila sono stati contattati da un centro per l’impiego per il primo colloquio e appena 11 mila e 775 hanno ricevuto una proposta di stage, contratto o corso professionale. Uno ogni 30, su per giù. Con tempi di attesa ben superiori ai quattro mesi promessi.
«Anche solo per attivare un tirocinio, il processo è molto articolato», spiega Luigi Olivieri, 50 anni, dirigente dei servizi per il lavoro della provincia di Verona. Prima bisogna provare l’interesse del mercato per una determinata figura professionale e raccogliere la disponibilità di un certo numero di imprese. Quindi ottenere l’approvazione della Regione. E solo allora preparare una graduatoria dei giovani, organizzare un incontro con l’azienda e scrivere il loro progetto formativo. «II tutto prende due mesi e mezzo», continua Olivieri. Ogni territorio ha definito regole e criteri diversi, è il federalismo delle politiche per il lavoro. Ma le difficoltà a avviare proposte concrete è una costante. In Veneto sono stati impegnati solo 8 milioni di euro, sui 40 ricevuti per corsi di formazione e programmi di inserimento lavorativo. In Sicilia solo 25 milioni su 178. «La modalità scelta, basata sulle candidature dei giovani, non permette di attirare le aziende», dice Olivieri.
Anche il governo sembra averlo capito. Due decreti del ministero del Lavoro, ora al vaglio della Corte dei Conti, cercano di rendere più appetibile per le imprese l’adesione a Garanzia Giovani. Il primo corregge l’attuale sistema di profilazione dei ragazzi, che li classifica in base alla loro occupabilità. Al momento sette su dieci finiscono nelle classi meno svantaggiate, con incentivi più bassi per chi li assume. Il secondo allarga il bonus anche ai contratti di apprendistato e a quelli a termine di durata inferiore ai sei mesi, e permette di cumularlo con altri tipi di facilitazioni economiche o contributive.
«Ma così Garanzia Giovani diventa ancora di più un sistema di incentivi a pioggia per le assunzioni, poco efficaci», ragiona il direttore di Adapt Michele Tiraboschi, secondo cui è l’impianto stesso della misura a non funzionare. «L’obiettivo iniziale era creare un sistema che prendesse in carico, orientasse e formasse i giovani, che li rendesse più occupabili», dice. Questo lavoro, almeno in prima battuta, lo dovrebbero fare i centri pubblici per l’impiego. Che però in Italia restano a corto di fondi (500 milioni di euro l’anno, contro i 5 miliardi stanziati della Francia) e di personale qualificato (solo il 25% dei dipendenti è laureato). E senza certezze sul domani, proprio come le Province da cui dipendono. Nascerà un Agenzia nazionale per il lavoro, ma non prima di aver riformato il Titolo V della Costituzione, riportando la competenza sulle politiche attive a livello centrale. Non a caso, la parte del Jobs Act che procede più lenta.
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Delude Garanzia giovani pochi fondi e zero assunti il governo corre ai ripari