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Bollettino ADAPT 14 novembre 2022, n. 39
L’art. 27 della Costituzione sancisce che le pene devono tendere alla rieducazione del condannato. L’art. 15 della l. n. 354/1975 sull’ordinamento penitenziario individua il lavoro come uno degli elementi principali del trattamento rieducativo stabilendo che, salvo casi di impossibilità, al condannato e all’internato è assicurata un’occupazione lavorativa. L’attività di lavoro – che la lettera dell’art. 15 ci consente di non ricondurre alle modalità alternative di espiazione della pena detentiva ma è essa stessa una modalità di esecuzione della pena, attesa la sua finalità anche rieducativa (così C. Cost. 30 novembre 1988, n. 1087) – può essere prestata tanto nei confronti dell’Amministrazione penitenziaria che in favore di imprese private e dunque “all’esterno” degli istituti di detenzione, come suggerisce la rubricazione dell’art. 21 della l. n. 354.
Per connettere il periodo di detenzione con il mercato del lavoro “esterno”, la legge consente alle cooperative sociali c.d. di “tipo B” (definite come tali in quanto si occupano del reinserimento sociale di soggetti svantaggiati) di potersi avvalere della collaborazione dei detenuti. E ciò perché la legge n. 193/2000 (conosciuta anche come Legge Smuraglia), integrando la platea dei soggetti svantaggiati di cui all’art. 4 l. n. 381/1991, include tra questi anche le “persone detenute o internate negli istituti pena”.
Il lavoro prestato in regime di detenzione presenta una morfologia abbastanza variegata, sia per quanto riguarda gli schemi giuridici entro cui può essere ricondotta e regolata la prestazione lavorativa, sia per come viene organizzata l’attività di lavoro in sé, che può essere prestata:
a) all’interno degli istituti e in favore dell’Amministrazione penitenziaria;
b) all’interno degli istituti ma in favore di imprese e cooperative terze, come prevede la peculiare disciplina dell’art. 20, commi 12, 13 e 14 della legge n. 354;
c) all’esterno degli istituti, secondo le modalità stabilite dall’art. 21 della medesima legge o secondo le modalità stabilite dall’art. 20-ter (il quale disciplina l’ammissione ai lavori di pubblica utilità).
Questa tripartizione, elaborata dalla giurisprudenza e pacificamente accolta in dottrina (M. Vitali, Il lavoro penitenziario, Giuffrè, 2001), ci consente di mettere in luce come il regime giuridico possa variare a seconda di come e dove l’attività di lavoro viene prestata.
Infatti, a differenza del lavoro alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria che, come prevede il successivo art. 22, è retribuito con una mercede che può essere inferiore di 1/3 del trattamento economico previsto dai contratti collettivi di lavoro per attività similari, la prestazione lavorativa svolta al di fuori dell’istituto penitenziario – che, come anticipato, trova la sua disciplina nell’art. 21 della medesima legge – può consentire al lavoratore anche di ricevere una retribuzione uguale a quelle dei lavoratori liberi e di confrontarsi con il mondo del lavoro che lo aspetterà in seguito. Questa opportunità si presenta soprattutto quando il “lavoro all’esterno” viene prestato secondo lo schema giuridico del lavoro subordinato (essendo pacifico che il lavoro all’esterno può essere ricondotto anche ad altre fattispecie o schemi contrattuali, alcuni anche atipici come la “borsa lavoro”; in materia, si veda sempre M. Vitali, Il lavoro penitenziario, Giuffrè, 2001). In questo caso, il contratto di lavoro viene stipulato direttamente tra il detenuto e l’impresa esterna, che può essere sia pubblica che privata (art. 21 l. n. 354/1975); mentre il rapporto di quest’ultima con le direzioni dei penitenziari è definito tramite convenzioni.
Inoltre, il provvedimento di ammissione del detenuto al lavoro all’esterno appartiene alla competenza della direzione dell’istituto, ma diviene esecutivo dopo l’approvazione del magistrato di sorveglianza. I requisiti necessari ai fini della concessione di questa opportunità lavorativa sono legati al tipo di reato commesso, alla durata della pena e alla necessità di evitare il pericolo che il soggetto commetta nuovi reati.
Con riferimento al rapporto di lavoro subordinato, i datori di lavoro devono versare alla direzione dell’istituto la retribuzione dovuta al lavoratore, al netto delle ritenute di legge e l’importo di eventuali assegni familiari. Sono previste agevolazioni di natura contributiva e fiscale per le imprese che assumono detenuti all’interno e all’esterno degli istituti penitenziari.
Da un punto di vista contributivo, è previsto uno sgravio pari al 95% dell’aliquota contributiva complessivamente dovuta (quota a carico del datore di lavoro e del lavoratore), calcolata sulla retribuzione corrisposta al lavoratore. Lo sgravio contributivo spetta per le assunzioni con contratto di lavoro subordinato, sia a tempo determinato che indeterminato, con orario di lavoro pieno o parziale, contratto di apprendistato, contratto a chiamata e somministrazione.
Ai fini della determinazione dello sgravio, l’agevolazione non trova applicazione sul contributo dello 0,30% integrativo NASpI, destinabile al finanziamento dei fondi interprofessionali per la formazione continua. Inoltre, il beneficio deve essere determinato al netto delle misure compensative eventualmente spettanti.
Il beneficio spetta per la durata del rapporto e fino a quando i lavoratori si trovano nella condizione di detenuti e internati. Lo sgravio contributivo, inoltre, spetta anche per i diciotto mesi successivi alla cessazione dello stato detentivo, a condizione che l’assunzione del detenuto e internato sia avvenuta mentre lo stesso era ammesso al regime di semilibertà o al lavoro esterno. Nel caso di detenuti e internati che non hanno beneficiato della semilibertà o del lavoro esterno, invece, lo sgravio contributivo spetta per un periodo di ventiquattro mesi successivo alla cessazione dello stato detentivo, sempre che l’assunzione sia avvenuta mentre il lavoratore era in regime di restrizione. Il beneficio è riconosciuto nei limiti delle risorse stanziate in riferimento a ogni singolo anno.
L’agevolazione contributiva per l’assunzione dei lavoratori detenuti e internati è inoltre cumulabile con altri incentivi, fra cui l’incentivo all’assunzione di beneficiari del trattamento NASpI pari al 20% dell’indennità che sarebbe spettata al lavoratore se non fosse stato assunto per la durata residua del trattamento e l’incentivo per l’assunzione dei lavoratori disabili di cui all’articolo 13, l. n. 68/1999.a
Si evidenzia che i principi per la concessione di incentivi all’occupazione ai sensi dell’art. 31 d.lgs. n. 150/2015 in virtù della specialità e delle finalità della norma non sono applicabili allo sgravio contributivo in questione (circolare INPS n. 27/2019), mentre è necessaria la regolarità contributiva (DURC).
Da un punto di vista fiscale, è riconosciuto alle imprese un credito di imposta pari a massimo 520 euro per ogni detenuto assunto per un periodo di tempo non inferiore a 30 giorni. Il credito è fissato, invece, nella misura massima di 300 euro, per l’assunzione di detenuti semiliberi provenienti dalla detenzione o che svolgono attività formative nei loro confronti.
Per usufruire del beneficio fiscale l’assunzione deve riguardare i detenuti o gli internati, anche ammessi al lavoro ovvero alla semilibertà, con contratto di lavoro subordinato per un periodo non inferiore a trenta giorni e i lavoratori dovranno percepire un trattamento economico non inferiore a quello previsto dai contratti collettivi di lavoro (art. 3 del D.M. n. 148/2014).
Anche in questo caso i predetti incentivi, si applicano anche per un periodo di diciotto mesi successivo alla cessazione dello stato di detenzione per i detenuti ed internati che hanno beneficiato di misure alternative alla detenzione o del lavoro all’esterno, e di ventiquattro mesi per i detenuti ed internati che non ne hanno beneficiato.
Il credito è utilizzabile esclusivamente in compensazione (ex art. 17, del d.lgs. n. 241/1997) ed è cumulabile con altri benefici, concessi a fronte dei medesimi costi ammissibili, in misura comunque non superiore al costo sostenuto per il lavoratore assunto o per la sua formazione.
I soggetti che intendono fruire del credito di imposta devono presentare, entro il 31 ottobre dell’anno precedente a quello per cui si chiede la fruizione del beneficio, un’istanza, relativa sia alle assunzioni già effettuate che a quelle che si prevede di effettuare, presso l’istituto penitenziario con il quale hanno stipulato la convenzione. In tale istanza dovranno essere indicati i detenuti o internati lavoranti all’interno dell’istituto, i detenuti o internati ammessi al lavoro all’esterno ovvero i semiliberi, quantificando l’ammontare del credito d’imposta che intendono fruire per l’anno successivo. Il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria poi determinerà l’importo massimo dell’agevolazione complessivamente spettante a ciascun soggetto beneficiario per l’anno successivo dandone tempestiva comunicazione agli interessati, anche mediante pubblicazione sul sito internet del Ministero della Giustizia.
Alla luce del descritto quadro normativo, possiamo certamente affermare che l’assunzione di un detenuto, oltre ad avere un importante risvolto sociale in quanto il lavoro si rende strumento per restituire dignità alle persone poste ai margini della società, può rappresentare un’opportunità (anche economica) per le aziende.
Francesco Lombardo
Scuola di dottorato in Apprendimento e innovazione nei contesti sociali e di lavoro
ADAPT, Università degli Studi di Siena