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Bollettino ADAPT 6 dicembre 2021, n. 43
Questo diario accompagna il percorso di studio sulla rappresentanza dei lavoratori stranieri in Provincia di Foggia condotto dall’autrice nell’ambito del dottorato di ricerca svolto in apprendistato presso la Fai Cisl di Foggia come operatore sindacale.
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Il permesso di soggiorno dei lavoratori immigrati impiegati in agricoltura costituisce in diversi casi un ostacolo per accedere alla prestazione della disoccupazione agricola. È opportuno soffermarsi su questo tema per comprendere meglio le falle del sistema assistenziale che dovrebbe integrare il reddito dei lavoratori più vulnerabili e le relative implicazioni per il lavoro dei sindacati che si occupano della raccolta delle domande di disoccupazione agricola. L’iscrizione al sindacato dell’operaio agricolo a tempo determinato avviene, infatti, nel momento della presentazione della domanda con trattenuta sindacale direttamente sull’indennità.
Le diverse ragioni per la reiezione della domanda di disoccupazione agricola ai lavoratori stranieri
Molti lavoratori agricoli immigrati, dopo aver lavorato tutto l’anno nella provincia di Foggia in condizioni contrattuali spesso poco dignitose, si vedono respingere la domanda di disoccupazione perché non risulterebbero giornate da indennizzare. Questo accade perché nella verifica della documentazione allegata dagli intermediari durante la raccolta, l’Inps territoriale si accorge che il permesso di soggiorno non copre tutto l’anno lavorato oppure si interrompe per periodi più o meno lunghi dell’anno per cause non imputabili al lavoratore. Pur in presenza, quindi, di tutti i requisiti per accedere all’indennità di disoccupazione, la domanda viene respinta e la prestazione non viene liquidata per problemi connessi al permesso di soggiorno.
In particolare, esistono alcune tipologie specifiche di reiezione della domanda.
La prima riguarda i titolari di permesso di soggiorno per richiesta asilo. Al richiedente protezione internazionale viene rilasciato dalla Questura un permesso con la dicitura “richiesta asilo” valido per sei mesi e rinnovabile fino alla decisione sul riconoscimento dello status di rifugiato. Tale permesso consente di svolgere attività lavorativa nel territorio italiano decorsi 60 giorni dalla presentazione della domanda, se il procedimento non si è concluso e il ritardo non è attribuibile al richiedente. In presenza di permessi non consecutivi, nonostante il ritardo nel rinnovo non sia imputabile al lavoratore, l’Inps rigetta la domanda equiparando il permesso di 6 mesi al permesso di soggiorno per lavoro stagionale (unica esclusione espressamente prevista per l’accesso alla prestazione previdenziale).
Il secondo caso riguarda, invece, i cosiddetti modelli C3 dei richiedenti protezione internazionale. Questo modello costituisce un permesso di soggiorno provvisorio e anche in questo caso, il richiedente che ne è in possesso, è abilitato a svolgere attività lavorativa sul territorio italiano. Tuttavia, molti lavoratori sono in possesso solo della ricevuta attestante la presentazione della domanda rilasciata dalla Questura contestualmente alla verbalizzazione, che costituisce un permesso temporaneo in attesa della decisione della Commissione e che per l’Inps non è valido al fine di erogare l’indennità di disoccupazione.
Un altro caso ancora riguarda il ritardo ordinario nel rinnovo dei permessi di soggiorno, tra cui quelli per motivi umanitari, per protezione speciale e sussidiaria e per lo status di rifugiato. In tutti questi casi, il rinnovo del permesso di soggiorno necessita di approvazione da parte della Commissione territorialmente competente, che spesso richiede mesi. La validità del permesso di soggiorno non decorre dalla data della richiesta ma dal momento del rilascio, lasciando formalmente scoperti alcuni periodi dell’anno. In sede di presentazione della domanda di disoccupazione, però, viene spesso allegata la ricevuta postale di rinnovo del permesso, che certifica l’avvenuta presentazione dell’istanza e assume la valenza del cedolino rilasciato dalla Questura. Questa dovrebbe permettere al cittadino straniero di godere, nelle more del procedimento amministrativo, di tutti i diritti riconosciuti al titolare di permesso di soggiorno in corso di validità. Ma anche in questo caso l’Inps respinge la domanda.
Le implicazioni per il sindacato e l’azione della Fai Cisl
Già nell’anno 2020 per le disoccupazioni relative all’anno 2019, la Fai Cisl, dopo aver tentato senza successo il riesame delle pratiche in via amministrativa, si era vista costretta ad avviare circa 30 azioni legali per i richiedenti asilo al fine di ottenere una pronuncia favorevole e sollecitare l’Inps di Foggia a rivedere la posizione assunta. La situazione si è poi aggravata nel corso del 2020 a causa delle proroghe di validità dei titoli di soggiorno e la sospensione delle procedure amministrative per diversi mesi a causa della pandemia. L’art. 103, co. 1, d.l. 18/2020 convertito in L. 27/2020, ha infatti previsto la sospensione dei procedimenti amministrativi pendenti alla data del 23 febbraio 2020 o iniziati successivamente, fino al 15 maggio 2020 e, quindi le questure hanno iniziato a lavorare le pratiche solo a partire dal 16 maggio 2020. Sempre in base all’art. 103, co. 2 quater, tutti i permessi di soggiorno dei cittadini dei paesi terzi hanno conservato la loro validità fino al 31 agosto 2020, e la domanda per il rinnovo poteva essere presentata solo a partire dal 1° settembre 2020. Trattandosi però di una proroga ex lege, molti lavoratori si sono ritrovati senza permesso di soggiorno da esibire per l’anno 2020. Infine, nel 2021 è emerso il problema dei ritardi nella finalizzazione delle procedure di regolarizzazione per il 2020, che hanno lasciato i lavoratori senza copertura per diversi periodi dell’anno.
Considerato l’aumento del numero di reiezioni nell’ultimo anno, anche a causa delle proroghe di validità dei titoli per via della pandemia, la Fai Cisl ha impostato un lavoro in seno al comitato Inps territoriale (composto da rappresentanti sindacali e datoriali), volto a risolvere il problema e ad evitare il contenzioso legale, sollecitando incontri con Questura e Prefettura.
A complicare il quadro, si è aggiunta recentemente anche la disparità di trattamento che si è venuta a creare tra lavoratori agricoli di territori vicini, in mancanza di un’indicazione univoca da parte dell’Inps centrale: se infatti a Foggia, le domande di disoccupazione sono state rifiutate per i motivi sopra esposti, l’Inps di San Severo, di fronte alle medesime circostanze, ha invece deciso di liquidare le pratiche.
Quanto detto sta creando diversi problemi al sindacato, che svolge un ruolo di intermediario tra il lavoratore e l’Inps nella trasmissione della domanda di disoccupazione e deve giustificare ai lavoratori le disparità di trattamento in essere da parte delle varie strutture territoriali dell’Inps e la necessità di attendere l’esito del procedimento civile prima di ricevere l’indennità di disoccupazione. Accade sempre più spesso che i lavoratori non comprendano appieno che si tratta di una prassi dell’Inps e imputino le problematiche al sindacato stesso: si tratta di tensioni che minano i rapporti di fiducia tra sindacato e iscritti, peraltro con riferimento a lavoratori migranti già particolarmente difficili da raggiungere e rappresentare per via dei gap linguistici e culturali, la concentrazione in insediamenti informali e l’inclusione in sistemi illegali di reclutamento di manodopera. Appare quindi sempre più urgente un’assunzione di responsabilità da parte dell’Inps centrale, finalizzata ad evitare disparità di trattamento che creano notevoli disagi a lavoratori già estremamente vulnerabili e difficili da integrare nei circuiti istituzionali di rappresentanza e protezione.
Scuola di Dottorato di ricerca in Apprendimento e Innovazione nei contesti sociali e di lavoro
ADAPT, Università degli Studi di Siena
*Foto credit: Francesca Di Credico