Le aziende italiane sono sempre più vecchie, o meglio i lavoratori italiani sono sempre più vecchi. Lo dicono i numeri elaborati dall’Osservatorio permanente sull’Active Ageing di Randstad Italia che spiegano come, se nel 2013 i lavoratori over 50 erano 17 milioni, nel 2033 toccheranno quota 22,5 milioni. Tanto basta a mettere in discussione non solo l’attuale modello previdenziale (gli occupati over 50 sono aumentati di 1,6 milioni tra il 2004 e il 2012) ma soprattutto l’attuale modello di organizzazione aziendale: le imprese sono così chiamate a progettare interventi per favorire l’invecchiamento attivo, garantendo una buona occupazione ai lavoratori in età adulta. Al punto da dover elaborare persino una nuova teoria di gestione manageriale come l’age management. Una sorta di manuale corredato di istruzioni d’uso. Il tutto per ottenere quattro risultati: potenziare la flessibilità interna, aumentare il clima di partecipazione, pianificazione del percorso di fuoriuscita, impostare nuove politiche retributivo, sviluppare la formazione continua.
«I lavoratori over 50 in Italia oggi costituiscono un’importante risorsa non soltanto nella dimensione delle relazioni familiari e sociali, ma anche nel mondo produttivo. Eppure sono identificati spesso come un peso, perché non in grado di esprimere alto potenziale e volontà di partecipazione al lavoro afferma Fabio Costantini, Chief Operations Officer di Randstad HR Solutions -. La gestione delle risorse più mature da parte delle aziende deve rinnovarsi profondamente e aprire la strada a una nuova cultura dell’invecchiamento attivo e a nuove pratiche di valorizzazione delle figure anziane. Un impegno che purtroppo non trova grande sostegno nella legislazione del lavoro, il nostro progetto vede invece, in questa seconda fase, un importante passaggio».
Sulla stessa linea, l’appello lanciato da Federmanager: «Da tempo stiamo chiedendo al ministro Poletti di utilizzare i nostri pensionati per fare da tutor ai più giovani in percorsi di alto apprendistato», spiega Giorgio Ambrogioni, presidente di Federmanager, intervenendo a proposito della formazione necessaria per diventare un buon manager. Ambrogioni ricorda che sulla formazione manageriale in Italia «abbiamo un deficit di attenzione al tema dell’education e della formazione permanente». Noi non siamo, ad esempio, sottolinea soddisfatti per come funzionano gli enti bilaterali che finanziano la formazione continua. Ci sono troppe risorse inutilizzate o utilizzate solo per formazione di basso o bassissimo profilo. Ed è per questo che abbiamo proposto al ministro del Lavoro una nostra partecipazione diretta ai percorsi di formazione in alto apprendistato».
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Diciassette milioni di over 50