Dinamismo aziendale, produttività del lavoro e trend occupazionali: nuove evidenze dal rapporto annuale dell’Istat

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Bollettino ADAPT 20 maggio 2024 n. 20

 

Le imprese italiane presentano una forte eterogeneità nei loro comportamenti, strategie e caratteristiche operative. Accanto ai classici aspetti strutturali come la dimensione e il settore di attività, il grado di dinamismo aziendale rappresenta un fattore chiave per comprendere le differenze nelle performance economiche delle diverse imprese e le conseguenti implicazioni sul mercato del lavoro.

 

Un’analisi contenuta nel recente rapporto annuale di Istat ha individuato cinque profili di dinamismo comportamentale delle imprese ordinati per intensità crescente: basso, medio-basso, medio, medio-alto e alto. Questa classificazione si basa su un’indagine multidimensionale che tiene conto della variabilità comportamentale delle imprese in diversi ambiti, come ad esempio l’innovazione, la tecnologia, la formazione del personale, l’organizzazione aziendale, l’internazionalizzazione, etc.

 

Le imprese a basso dinamismo rappresentano una configurazione elementare di impresa in cui il finanziamento delle attività si basa esclusivamente sulla liquidità accumulata e la pianificazione strategica non sempre è definita. Quelle a dinamismo medio-basso presentano piani di investimento, seppur limitati, in formazione del personale, innovazione e tecnologia, finanziati prevalentemente con credito bancario. Le unità a medio dinamismo hanno strategie commerciali per lo più espansive (anche sui mercati esteri) e sono caratterizzate da maggiori investimenti finanziati con credito bancario e commerciale. Con un grado di dinamismo medio-alto, la struttura organizzativa e strategica delle imprese diviene più complessa, caratterizzata da un alto livello di internazionalizzazione, ampi investimenti, digitalizzazione dei processi produttivi, formazione specifica del personale e diversificazione delle fonti di finanziamento con sofisticati strumenti di credito. Nelle imprese ad alto dinamismo, queste caratteristiche sono ulteriormente accentuate, con l’internazionalizzazione come prassi operativa, cospicui investimenti in tecnologie avanzate, formazione del personale strutturata e specifica, forte propensione all’innovazione e alla R&S e un utilizzo complesso delle diverse fonti di finanziamento.

 

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L’analisi si concentra sulle imprese con più di 10 dipendenti, per le quali sono disponibili dati completi rispetto alle diverse variabili di comportamento. Per le imprese con 20 o più addetti i dati sono censuari e quindi comprendono l’intera popolazione, per quelle più piccole i dati provengono invece da un campione rappresentativo.

 

L’analisi mostra che, nel 2018, il 17% delle imprese più dinamiche (profili medio-alto e alto) impiegava il 42,5% degli addetti totali, distinguendosi per maggiore produttività del lavoro, livelli salariali più elevati e migliore qualità della forza lavoro in termini di anni medi di istruzione degli addetti. Le aziende a basso e medio-basso dinamismo rappresentavano invece più della metà delle imprese totali (55,5%) ma impiegavano soltanto il 31,3% degli addetti, un chiaro indicatore delle dimensioni tendenzialmente piccole o medie delle imprese meno dinamiche. Infine, le imprese a medio dinamismo costituivano il 27,6% delle aziende totali e impiegavano circa il 26% degli addetti.

 

Con riferimento al 2022, i dati mostrano una configurazione delle imprese più polarizzata verso i gruppi a basso e medio-basso dinamismo e quelli a medio-alto e alto dinamismo. Dall’analisi emerge infatti con chiarezza come il gruppo a medio dinamismo si sia ridotto a vantaggio dei due gruppi più estremi. Nel 2022, il 59,3% (+3,8 p.p. rispetto al 2018) delle imprese a minore dinamismo impiegava il 37% (+5,7 p.p. rispetto al 2018) degli addetti totali contro il 42,4% (-0,1 p.p. rispetto al 2018) impiegato dal 22,3% (+5,3 p.p. rispetto al 2018) delle imprese più dinamiche. Le imprese a medio dinamismo rappresentavano invece il 18,4% (-9,2 p.p. rispetto al 2018) e impiegavano il 20,5% degli addetti totali (-5,6 p.p. rispetto al 2018).

 

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Più specificatamente, tra il 2018 e il 2022, la quota di imprese caratterizzate da un basso grado di dinamismo è aumentata più di 12 p.p., mentre la quota di aziende più dinamiche (a medio-alto e alto dinamismo) è cresciuta complessivamente di 5,3 p.p. Nello stesso periodo, la quota di imprese con un profilo di dinamismo medio-basso e medio si è ridotta di quasi 18 p.p. Per quanto riguarda la quota di addetti, questa è aumentata principalmente nel gruppo a basso dinamismo (+7,2 p.p.) mentre è diminuita nei gruppi a medio dinamismo (-7,1 p.p. complessivamente nei gruppi a medio e medio-basso dinamismo) ed è rimasta costante in quelli a medio-alto e alto dinamismo (-0,1 p.p. nel complesso).  

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Uno degli aspetti forse più interessanti messi in luce dall’analisi di Istat riguarda il legame tra produttività del lavoro e dinamismo dell’impresa. Si può infatti notare come, in tutte le classi dimensionali di impresa considerate, la produttività del lavoro (espressa come valore aggiunto per addetto), insieme al costo del lavoro, aumenti al crescere del livello di dinamismo dell’impresa. Queste evidenze rimangono valide anche considerando settori diversi, ciò significa che, indipendentemente dal settore in cui si opera o dalla dimensione di impresa, la propensione al dinamismo genera un premio di produttività.

 

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La forte correlazione tra produttività e costo del lavoro implica che i fattori che influenzano la produttività, come la dimensione dell’impresa, il settore di attività economica e soprattutto il grado di dinamismo, si riflettono direttamente sui livelli retributivi offerti e sulla tipologia di manodopera ricercata nel mercato del lavoro. In particolare, le imprese più produttive tendono a richiedere una forza lavoro più istruita e qualificata, alla quale possono corrispondere retribuzioni mediamente più elevate alla luce di una maggiore produttività.

 

In generale, la polarizzazione delle imprese nei gruppi a maggiore e minore dinamismo osservata negli ultimi anni può in parte spiegare la crescita delle disuguaglianze economiche e sociali nel Paese. Da un lato vi sono le imprese più dinamiche in grado di assumere lavoratori istruiti e offrire buone retribuzioni, dall’altro le imprese a minore dinamismo caratterizzate da salari corrisposti più bassi e personale meno qualificato. Il rischio è quello di una progressiva concentrazione del mercato del lavoro in questi due poli distinti e divergenti, con potenziali gravi ripercussioni sulla coesione sociale all’interno del Paese. Risulta quindi cruciale implementare politiche mirate a sostenere l’innovazione, la formazione del capitale umano e la riqualificazione professionale, promuovendo così il dinamismo del sistema produttivo e contrastando i rischi di marginalizzazione di ampi segmenti della forza lavoro.

 

Jacopo Sala
Apprendista di ricerca ADAPT

@_jacoposala

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