In Italia il tema del futuro del lavoro è ancora polarizzato, spesso in chiave ideologica, attorno alle riforme del quadro regolatorio. Ora è la volta del Jobs Act che ha diviso il Paese tra fautori e oppositori. Eppure il progetto di modernizzazione del mercato del lavoro mai farà alcun concreto passo in avanti se, una volta demolite le vecchie tutele, non si creerà un nuovo sistema di sicurezza nelle oramai frequenti transizioni occupazionali. Un sistema incentrato sul diritto alla occupabilità che trova nella valorizzazione delle competenze (maturate dalle persone lungo tutto il corso della vita, in tutti gli ambiti) uno dei suoi snodi fondamentali.
Su questo fronte il ritardo dell’Italia è impressionante. Per contro i Paesi che hanno davvero avviato la modernizzazione del lavoro, e non solo delle regole formali, hanno da tempo rivolto i loro sforzi progettuali, al pari delle istituzioni europee, verso la costruzione di un sistema di validazione degli apprendimenti non formali e informali e di certificazione delle competenze per rispondere alla sfida della occupabilità e della produttività del lavoro.
Negli scorsi mesi sono stati compiuti due passi certamente importanti in direzione della creazione di un sistema nazionale di certificazione delle competenze nel nostro Paese.
Da un lato, l’Intesa sullo schema di decreto relativo al riconoscimento nazionale delle qualifiche regionali (vedi M. Tiraboschi, L. Casano, Intesa sullo schema di decreto relativo al riconoscimento nazionale delle qualifiche regionali: un quadro senza prospettiva?) siglata in Conferenza Stato-Regioni il 22 gennaio 2015, che ha l’obiettivo di uniformare e unificare i sistemi regionali delle qualifiche. La strada verso questo obiettivo, tuttavia, è ancora lunga: entro dodici mesi dall’approvazione del relativo decreto, le Regioni dovrebbero adeguare i quadri regionali delle qualifiche e le procedure di certificazione agli standard previsti a livello nazionale, operazione che appare tutt’altro che semplice, non solo per la complessità tecnica dell’operazione (vedi le specifiche tecniche riportate nell’Allegato 2 all’Intesa citata), ma anche per lo state dell’arte dei sistemi regionali di certificazione delle competenze, caratterizzato ancora, secondo l’ultimo monitoraggio Italia Lavoro, da un’alta frammentazione, con diversi livelli di istituzionalizzazione nelle diverse Regioni (Italia Lavoro, Stato della definizione dei sistemi regionali di certificazione delle competenze – Aggiornamento del 5 febbraio 2015).
Ad ogni modo, il Quadro nazionale delle qualifiche regionali costituirà solo una parte del Repertorio nazionale dei titoli di istruzione e formazione previsto dall’art. 8 del Decreto n. 13/2013, che dovrà comprendere tutte le qualificazioni, conseguibili nei diversi ambiti di apprendimento.
Un secondo passo avanti è stato compiuto il 13 febbraio 2015, stavolta sul fronte della formazione formale con l’avvio della sperimentazione per la certificazione delle competenze di base nel primo ciclo di istruzione: una Scheda di certificazione delle competenze accompagnerà i tradizionali documenti di valutazione degli apprendimenti e dei comportamenti degli alunni, partendo dal presupposto che, come si legge nel Comunicato stampa del 17 febbraio del Ministero dell’istruzione «non è importante accumulare conoscenze, ma saper trovare le relazioni tra queste conoscenze e il mondo che ci circonda con l’obiettivo di saperle utilizzare e sfruttare per elaborare soluzioni a tutti quei problemi che la vita reale pone quotidianamente».
Le Linee Guida affiancate alla Scheda di certificazione delle competenze richiamano espressamente il Decreto 13 del 16 gennaio 2013, ricordando che esso riconosce anche alle scuole, insieme ad altri enti pubblici titolari o enti titolati, il compito di certificare «le competenze acquisite dalla persona in contesti formali, non formali o informali, il cui possesso risulti comprovabile attraverso riscontri e prove (art. 3, comma 1)» e che, sebbene queste disposizioni riguardino direttamente solo le scuole del secondo ciclo, rappresentano la prospettiva in cui si inseriscono le certificazioni delle competenze effettuate nel primo ciclo.
Buoni segnali, dunque, ma ciò che ancora manca è un sistema, o anche solo le precondizioni per la sua creazione, che considerato il ritardo dell’Italia nel contesto europeo avrebbero potuto essere costruite anche alla luce delle esperienze realizzate in Paesi molto più avanzati, tenendo conto delle criticità emerse. Da un lato, nonostante i progressi sul versante della validazione delle competenze maturate in contesti non formali ed informali, l’European inventory on validation of non-formal and informal learning, aggiornato nel 2014, mostra che in molti di essi occorre compiere ancora grandi sforzi sul fronte della creazione di sistemi unitari e organici, in grado di far comunicare formazione, lavoro, attività fuori mercato, ponendo il concetto di competenza a fattore comune. L’articolo di A. Zanotti, Certificazione delle competenze: quale significato e quale percorso nel volontariato? presenta i principali ostacoli ancora esistenti sul fronte della validazione e certificazione delle competenze maturate nelle “attività fuori mercato”, tra cui il volontariato, che pure tanto peso stanno assumendo nella qualificazione dei lavoratori, soprattutto i più giovani.
Anche sul fronte della certificazione delle competenze maturate sul lavoro, la varietà delle metodologie sviluppate e il crescente impegno da parte delle imprese (prevalentemente medio-grandi) non si accompagnano sempre ad una reale integrazione di tali pratiche nei sistemi nazionali di certificazione delle competenze. Spesso, infatti, le pratiche elaborate a livello aziendale non rispondono all’obiettivo di rendere trasferibili le competenze maturate dai lavoratori, quanto ad obiettivi interni di gestione e valorizzazione delle risorse umane che, sebbene importanti, non sono coordinati con le iniziative messe in campo dagli altri attori del mercato del lavoro (vedi lo studio del Cedefop del maggio 2014, Use of validation by enterprises for human resources and career development purposes).
Non si può che registrare, invece, come a più di due anni dall’emanazione del Decreto n. 13 del 16 gennaio 2013, molti pezzi del puzzle non siano ancora al posto giusto e come i passi compiuti non tengano conto delle evidenze sopra richiamati. Nessuna novità sul fronte della certificazione delle competenze maturate nei percorsi di apprendistato, che avrebbe dovuto fare da apripista al sistema nazionale, dopo il Decreto interministeriale del 16 settembre 2012 e la costituzione di un gruppo tecnico presso il Ministero del lavoro, incaricato di costruire il repertorio delle qualifiche previsto dall’art. 6 del Decreto legislativo n.167 del 2011. Alle criticità di un impianto già di per sé incoerente con quanto previsto dal Testo Unico – che voleva le competenze e le qualifiche degli apprendisti collegate ai sistemi di inquadramento del personale ed ai reali processi di lavoro, non create a tavolino – si aggiunge, dunque, la difficile implementazione degli strumenti messi a punto (sul punto vedi L. Casano, Certificazione delle competenze: quale valore nell’apprendistato?).
La partita è ancora aperta, e sembra particolarmente difficile da giocare anche sul fronte dell’alternanza scuola-lavoro: nonostante la crescente valorizzazione dell’istituto sul piano ideale e dei principi, anche in quest’ambito si attende ancora una “rivoluzione”, in direzione di una maggiore focalizzazione sui risultati dell’apprendimento e di una progettazione dei percorsi (fino alla valutazione) realmente basata sulle competenze. Al contempo, permangono forti incertezze su procedure e strumenti, che rappresentano ostacoli anche nelle poche esperienze di successo avviate nel nostro Paese (vedi il contributo di S. Caroli, Validazione degli apprendimenti e certificazione delle competenze nei percorsi di alternanza).
La certificazione delle competenze non ha rappresentato, come auspicato, un tratto qualificante dei percorsi di tirocinio (ma ha, semmai, anche su questo fronte determinato incertezze “paralizzanti” o nel migliore dei casi pezzi di carta poco qualificanti) né un elemento cardine di Garanzia Giovani, che ne ha sostanzialmente fatto a meno (vedi il recente e-Book ADAPT Garanzia Giovani, un anno dopo, a cura di U. Buratti, G. Rosolen, F. Seghezzi, che fa un bilancio delle iniziative e dei risultati ad un anno dall’avvio del programma).
Forse perché incerta è anche l’attuazione delle misure “di sistema” previste negli importanti Accordi Stato, Regioni, Enti locali, relativi all’ orientamento e alla creazione di reti territoriali per l’apprendimento permanente.
Sul primo fronte, a dicembre 2013 sono state emanate le Linee Guida del sistema nazionale di orientamento permanente e, con l’Accordo del 13 novembre 2014, sono stati definiti gli Standard minimi dei servizi e delle competenze degli operatori di orientamento. Sul secondo fronte, l’Accordo del luglio 2014 relativo alle Linee strategiche di intervento in ordine ai servizi per l’apprendimento permanente e all’organizzazione delle reti territoriali demandava a successivi atti (che non risultano emanati) l’individuazione di standard minimi e linee strategiche di intervento in ordine ai servizi e all’organizzazione delle reti. Tali interventi erano esplicitamente connessi all’implementazione del sistema nazionale di certificazione delle competenze e alla attuazione del programma Garanzia Giovani, costituendone premesse fondamentali: lo stallo del primo e gli esiti del secondo danno l’esatta misura di quanta strada si sia fatta.
Forse perché incerta è anche l’attuazione delle misure “di sistema” previste negli importanti Accordi Stato, Regioni, Enti locali, relativi all’ orientamento e alla creazione di reti territoriali per l’apprendimento permanente.
Sarebbe forse il caso, a fronte del susseguirsi di dichiarazioni di principio, impegni, accordi, orientamenti e linee guida, di fare un primo bilancio sullo stato dell’arte delle politiche attive nel nostro Paese, per capire se la direzione intrapresa sia effettivamente quella giusta e quali siano le ragioni dello stallo perdurante su vari fronti.
I temi richiamati in questa sede, non sembrano però trovare asilo fuori dai tavoli ministeriali né interessare gli attori del mercato del lavoro, tolti i pochi addetti ai lavori, ma è proprio su questi temi che si è giocata (e persa) la partita di Garanzia Giovani e in parte anche quella dell’apprendistato, in attesa che dalle carte e dagli schemi vengano fuori un impianto istituzionale, una cultura diffusa e un modello di governance “rivoluzionari”.
Lilli Casano
ADAPT Research Fellow
@lillicasano
Michele Tiraboschi
Coordinatore scientifico di ADAPT
@Michele_ADAPT
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Diritto alla occupabilità e competenze: la riforma del lavoro che ancora non c’è