Diritto all’oblio per i malati oncologici: una proposta meritoria con il rischio di “effetto boomerang”

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Bollettino ADAPT 12 aprile 2023, n. 14 

 

Seguendo l’esempio di alcuni altri Paesi e sulla scorta delle iniziative europee in materia (Piano europeo di lotta contro il cancro – COM(2D21) 44 final; Risoluzione del Parlamento europeo del 16 febbraio 2022 su rafforzare l’Europa nella lotta contro il cancro – Verso una strategia globale e coordinata (2020/2267(INI)), anche l’ordinamento italiano sta cercando di rispondere ai rischi di discriminazione connessi alla condizione di malato oncologico, ancorché sia già intervenuta la guarigione, nell’accesso a determinati servizi (finanziari, bancari e assicurativi).

 

Si segnalano, in particolare, due disegni di legge: un primo progetto, Disposizioni per la prevenzione delle discriminazioni e la tutela dei diritti delle persone che sono state affette da malattie oncologiche (A.C. 413), presentato dall’onorevole Boschi, che alle specifiche tutele rispetto ai profili sopra-richiamati aggiunge l’estensione del “diritto all’oblio” anche alle procedure relative all’adozione di minori; un secondo ddl, Tutela del diritto all’oblio delle persone guarite da patologie oncologiche, elaborato in sede CNEL con relatore il consigliere Francesco Riva, che si segnala, in particolare, per la specifica attenzione alle ricadute lavoristiche della condizione di lavoratore guarito da malattia oncologica.

 

Concentrando l’attenzione su questo secondo disegno di legge per la sua rilevanza giuslavoristica, alla materia è dedicato l’articolo 2 del disegno di legge, rubricato Accesso al lavoro e certificazioni. L’articolo si compone di due disposizioni: con la prima, di carattere generale e che travalica l’ambito giuslavoristico, si riconducono le informazioni relative a patologie oncologiche pregresse al divieto di cui all’art. 9, par. 1, del Regolamento europeo per la protezione dei dati personali, qualora sia decorso un periodo di dieci anni dall’ultimo trattamento attivo e non vi siano state ricadute o recidive (cinque anni per patologie insorte prima del ventunesimo anno di età); con la seconda, di più stretta attinenza con la rubrica, con medesimi termini di decorrenza si prevede «in sede di rilascio o rinnovo di certificazioni richieste per lo svolgimento di funzioni o attività di qualsiasi genere o che comunque attestano l’idoneità fisica a tale svolgimento o lo stato di salute dell’interessato» il divieto di richiedere informazioni all’interessato relativamente a malattie oncologiche pregresse.

 

A fronte della meritoria attenzione rispetto alla tematica lavoristica, ricondotte nel quadro normativo vigente, queste proposte mostrano alcune rilevanti criticità.

Partendo dalla prima disposizione, occorre in primo luogo sottolineare come le informazioni relative a malattie oncologiche pregresse rientrino già oggi nel divieto di cui all’art. 9, paragrafo 1, del RGDP in materia di particolari categorie di dati. Tale divieto copre, infatti, include i dati relativi alla salute, cui devono essere ricondotte anche le «informazioni connesse allo stato di salute fisica o mentale passata, presente o futura dello stesso» (v. considerando 35). In questo senso, la disposizione – più che introdurre una ulteriore tutela – andrebbe a limitare (con violazione dell’art. 9 RGDP stesso) l’ambito applicativo del divieto, che risulterebbe ristretto ai dati relativi a stati patologici terminati da un determinato periodo di tempo. Occorre, peraltro, sottolineare che il divieto di cui al paragrafo 1 richiamato non trova applicazione al ricorrere di determinate condizioni, con la conseguenza che anche per le informazioni ricadenti nell’ambito applicativo definito dalla proposta di legge continuerebbero a trovare applicazione le condizioni di legittimo utilizzo previste dal RGDP, di cui alcune si riferiscono proprio all’ambito lavoristico.

 

Passando proprio a questo più specifico ambito, occorre, infatti, rilevare che la disciplina di protezione dei dati personali e le specifiche tutele in ambito lavoristico (artt. 5 e 8 Stat. lav.; TU di salute e sicurezza), già definiscono un sistema di garanzie particolarmente incisive rispetto al trattamento di informazioni relative allo stato di salute del lavoratore, ammettendolo soltanto per specifiche e circoscritte finalità e con il rispetto di stringenti requisiti procedurali in termini chi e come vengono trattate le informazioni. Proprio rispetto ad uno degli ambiti di legittimo trattamento dei dati relativi alla salute dei lavoratori (si veda il provvedimento del Garante n. 146 del 5 giugno 2019) – quello connesso alla verifica dell’idoneità allo svolgimento delle mansioni e al rilascio di eventuali certificazioni – interviene la proposta di legge, prevedendo che non sia possibile richiedere informazioni su patologie oncologiche decorsi dieci (o cinque) anni dalla guarigione. Al di là della formulazione letterale non proprio felice – che pare riferirsi al momento della richiesta e non alla patologia – si può osservare come il diritto all’oblio sembri sostanziarsi in questo caso, atecnicamente, come il divieto di prendere in considerazione stati patologici pregressi all’interno della valutazione relativa al rilascio di certificazioni o autorizzazioni funzionali all’accesso al lavoro. Vale, qui rilevare, però, che il trattamento di quei dati (e, quindi, anche la loro richiesta in sede di rilascio della certificazione) è già per le regole generali in materia di protezione dei dati personali sottoposto ai principi del trattamento, tra cui di particolare importanza risulta essere quello di minimizzazione. Ne consegue che, il trattamento di quel dato (comprensivo della sua raccolta e successiva conservazione) è già oggi legittimo se strettamente necessario alla verifica dell’idoneità, con finalità normalmente di tutela della salute e sicurezza del lavoratore, cosicché la richiesta di informazioni su malattie pregresse (compresa quella oncologica) dovrà essere attuata solo laddove vi sia una funzionalità con la tutela del lavoratore. Introducendo tale limitazione, allora, si finirebbe per definire per legge quali stati patologici pregressi rilevano a fini di salute e sicurezza, con una misura che per la sua generalità non può tener conto della peculiarità del caso concreto.

 

Chi scrive non è un medico, ma – salvo un orientamento in tale ambito scientifico particolarmente solido rispetto all’irrilevanza dell’informazione a fini di valutazione dell’esposizione a rischi – sarebbe forse preferibile attenuare il divieto, lasciando comunque uno spazio valutativo laddove anche stati patologici così risalenti potrebbero essere utili all’interno di una valutazione prevenzionistica.

 

In conclusione, se si condividono pienamente gli obiettivi della proposta integrativa del CNEL rispetto alla materia, le concrete misure tecniche per raggiungerli sembrano meritare un aggravio di approfondimento.

 

Emanuele Dagnino

Ricercatore di diritto del lavoro,

Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia

@EmanueleDagnino

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