La legge Fornero aveva da poco limitato la reintegra nei licenziamenti economici ai soli motivi «manifestamente insussistenti». Dopo qualche mese il tribunale di Bologna annullò un recesso a seguito di chiusura di un punto vendita perché la lavoratrice, in part-time, non si era voluta spostare in altro punto vendita dove operavano solo lavoratori full time. Licenziamento nullo e quindi niente indennizzo ma reintegra. Lo stesso anno un altro magistrato ha applicato la tutela reale a una impresa metalmeccanica che aveva licenziato un dipendente per aver inviato al proprio responsabile gerarchico una mail offensiva per la società. Secondo l’articolo 18, comma 5, della legge 92, poteva bastare il ristoro economico.
Niente: il giudice ha disposto la più severa reintegra. La legge 92 ha marginalizzato la tutela reale, ma è stato un intervento tecnico molto complesso, e la discrezionalità dei giudici è rimasta ampia. Di qui la preoccupazione, in tema di certezza del diritto, che la conferma di Matteo Renzi del reintegro per i licenziamenti disciplinari possa non risolvere il problema. Oggi, infatti, per i licenziamenti disciplinari scatta la tutela reale solo se il fatto non sussiste o è punito dai contratti collettivi di lavoro con sanzioni conservative. Per tutti gli “altri casi” c’è solo l’indennizzo.
Il punto è che «trattandosi di licenziamenti individuali sarà facile per il lavoratore richiedere l’intervento del giudice argomentando che, in realtà, è un licenziamento discriminatorio o disciplinare ha sottolineato il professor Michele Tiraboschi -. E quindi la situazione resta confusa. Peraltro già ora la legge Fornero rimanda a tipizzazioni di giusta causa o giustificato motivo contenute nei contratti collettivi e nei codici disciplinari cercando di vincolare i giudici, ma questo non funziona mai». Ciò perché «dire che un fatto è punito con sanzioni conservative in molti casi è impossibile. Le formule contenute nei contratti collettivi sono totalmente generiche da poter includere o escludere tantissime ipotesi», ha aggiunto il giuslavorista Giampiero Falasca. Del resto diverse sentenze della corte di Cassazione (una recente della sezione Lavoro del giugno 2013) hanno espressamente detto che l’elencazione delle ipotesi di giusta causa di licenziamento contenuta nei contratti collettivi ha valenza meramente esemplificativa. E quindi il giudice può sempre verificarle.
Questo è il punto: «Le casistiche principali di licenziamenti disciplinari sono furti dimodicovalore, insulti, rimborsi spese un po’ gonfiati, assenze per malattia e svolgimento di altre attività, ma sono tutte fattispecie interpretabili e c’è ampia discrezionalità deigiudiciin ordine alla qualificazione del licenziamento in termini di giusta causa o giustificato motivo», ha sottolineato il giuslavorista Giacinto Favalli. E ciò crea incertezza per imprese e lavoratori Ci sono poi le criticità introdotte dal nuovo rito Fornero: c’è la difficoltà di capire come si applica e a Milano, il primo grado, e la Corte d’Appello sono in aperto contrasto sulle regole da seguire per le opposizioni, fermo restando che da una città all’altra sono diverse le interpretazioni sui casi compresi nel rito. Gli ampi margini di discrezionalità esistono anche nell’accordare la tutela monetaria.
Un caso singolare è raccontato dal giuslavorista Stefano Salvato. Un’ordinanza del tribunale di S.M. Capua Vetere ha ritenuto sproporzionata la sanzione del licenziamento per giusta causa nonostante il contratto collettivo prevedesse come causa di licenziamento la “recidiva in qualsiasi mancanza”. Nel caso di specie la proporzionalità tra i fatti addebitati al lavoratore (recidiva) e la sanzione espulsiva del licenziamento non poteva essere oggetto di sindacato da parte del giudice e ciò in ragione della chiara previsione contenuta nel contratto collettivo. «Nonostante ciò ha spiegato Salvato il giudice disattendendo le prescrizioni contenute nell’articolo 3o del collegato Lavoro (legge n.183/2010) ha ritenuto di discostarsi dalla norma del contratto collettivo considerando la sanzione del licenziamento per giusta causa eccessiva e sproporzionata, riconoscendo al lavoratore l’indennità risarcitoria massima pari a 24 mensilità».
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Disciplinari, rischio incertezza del diritto