Divisione del lavoro di genere: l’evoluzione storico-sociale del lavoro di cura domestico

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Bollettino speciale ADAPT 28 ottobre 2024, n. 6
 
La divisione del lavoro che tutte le società umane hanno conosciuto è quella basata sul genere, che attribuiva spazi e compiti ben distinti alla componente femminile e a quella maschile. Nelle società preindustriali la dipendenza fra generi per il sostentamento del nucleo familiare era reciproca e la differenza stessa fra lavoro produttivo e riproduttivo non rispecchiava il dato di realtà, essendo ogni attività finalizzata quasi esclusivamente all’auto-produzione. Questo significa che tanto l’uomo quanto la donna contribuivano in modo diverso ma equivalente alla riproduzione del nucleo familiare.
 
Con l’avvento del capitalismo industriale e il progressivo aumento della dipendenza dalle merci prodotte sul mercato, i rapporti di forza fra uomini e donne cambiano radicalmente. Gli uomini dalle campagne si spostano nelle fabbriche ed entrano nel mercato, mentre le donne preservano il proprio ruolo nel contesto domestico. Questa separazione muta le dinamiche di potere fra generi, relegando la componente femminile a una condizione di subordinazione e dipendenza economica. Per questo, secondo Gary Becker, il matrimonio costituiva un contratto stipulato a tutela soprattutto della donna, la quale poteva specializzarsi nelle mansioni domestiche senza temere di essere abbandonata (Becker, 1981).
 
Ma se agli inizi della rivoluzione industriale la divisione del lavoro di genere si è organizzata come naturale prosieguo dell’organizzazione agricola del lavoro, per cui alla donna spettava la responsabilità della cura e all’uomo la fatica, prima nei campi e poi in fabbrica, e le aspettative sociali verso il genere femminile si esaurivano nel ruolo domestico, con la progressiva espansione del mercato, culturale oltre che economica, anche la donna, per scelta o per necessità, è stata chiamata a entrarvi. È nel contesto della società industriale quindi che la separazione fra lavoro produttivo e riproduttivo si pone in modo sostanziale, ereditando la distinzione fra lavoro produttivo e improduttivo elaborata dagli economisti classici (Smith e Marx in primis, (su questo si veda S. Negri, Il lavoro casalingo: un percorso di letture, in questo bollettino), che svaluta il lavoro riproduttivo, non considerando come il mercato stesso dipenda in modo strutturale da quel lavoro ombra, come lo ha definito Ivan Illich, che consente all’economia di prosperare (Illich, 1981).
 
Nel tempo quindi la figura della casalinga si è cristallizzata nell’immaginario collettivo, oltre che nella quotidianità di milioni di persone: storicamente sono state identificate così le “madri di famiglia” ovvero coloro che «pur non facendo un lavoro salariato, sono utili alla collettività, in quanto hanno cura dell’allevamento dei bambini» (onorevole Teresa Noce, Assemblea Costituente, Terza Sottocommissione, 11 settembre 1946). Se quindi la visione del lavoro riproduttivo come proficuo in termini sociali ed economici ha caratterizzato una certa fase storica, si pensi ad esempio che l’art. 37 della nostra Costituzione riconosce la necessità di proteggere la lavoratrice alla luce della “sua essenziale funzione familiare” (ovvero di moglie e di madre) (Kostoris Padoa-Schioppa, 2006), è indubbio che nel tempo sia prevalsa la concezione delle casalinghe come soggetti improduttivi, in linea con la posizione classica di cui sopra. Eppure, se la «lavoratrice capo di famiglia è quella che mantiene la famiglia e per mantenere la famiglia fa un lavoro» allora «la donna lavoratrice non è soltanto l’operaia, bensì anche quella che, avendo una numerosa prole da allevare, non può lavorare» (onorevole Teresa Noce, Assemblea Costituente, Terza Sottocommissione, 13 settembre 1946).
 
Senza ora entrare nel merito delle ragioni e delle circostanze che portano o meno le donne a dedicarsi in via esclusiva al lavoro di cura domestico, invece che inserirsi nel mercato del lavoro salariato, è in generale utile evidenziare come la figura della casalinga ha influenzato l’evoluzione dello Stato Sociale e le conseguenze generate da questa influenza. Per lungo tempo la famiglia, quale società naturale e formazione sociale essenziale, ha infatti garantito entro sé stessa il soddisfacimento dei propri bisogni agendo da «importante agenzia di redistribuzione di risorse economiche e di cura» (Saraceno, 2021). Questo è uno dei motivi per i quali le politiche per la famiglia hanno avuto per decenni nei sistemi di welfare un ruolo marginale.
 
In questo contesto socioeconomico si è sviluppato un filone specifico del femminismo italiano, sotto l’impulso del gruppo padovano fondato tra le altre da Mariarosa Dalla Costa nel 1971, il quale elaborò un’approfondita riflessione sul lavoro domestico delle donne, che contribuì alla vasta mobilitazione internazionale che, a partire dai primi anni Settanta, prese corpo attorno alla richiesta di un salario per le casalinghe (Dalla Costa, 1996).
 
La tesi sostenuta dai movimenti femministi affermava che il capitalismo tende a escludere le donne dal lavoro produttivo relegandole al lavoro riproduttivo dentro la famiglia per evitare di dover socializzare il lavoro domestico attraverso servizi che avrebbero un costo elevato. E in effetti, una delle principali conseguenze dell’ingresso delle donne nel mondo del lavoro è quella che potremmo definire una “esternalizzazione” dei compiti idealmente affidati alla casalinga, afferenti sia alla cura dei figli/familiari che alle attività domestiche, dalla quale ha avuto origine un vero e proprio “mercato del lavoro di cura” (Casano, 2022).
 
L’evoluzione socioeconomica che ha portato alla creazione di un mercato del lavoro di cura è legata principalmente ai mutamenti avvenuti nella rappresentazione e nell’auto-rappresentazione delle donne e, in particolare, del loro ruolo nell’ambito sociale e familiare (Vitali, 1970). Non solo, proprio l’aumento dell’occupazione femminile, insieme all’invecchiamento della popolazione, ha assunto una funzione centrale nello sviluppo delle politiche sociali e del mercato del lavoro. Il progressivo venir meno della donna come unica responsabile delle attività di cura ha contribuito fortemente alla messa in campo di politiche (pubbliche e privatistiche) di supporto alla famiglia.
 
A tal proposito, è interessante notare quanto evidenziato dal Rapporto “Family (Net)Work – Laboratorio su casa, famiglia e lavoro domestico” – pubblicato da Assindacolf e dal Centro Studi e Ricerche Idos – secondo cui il fabbisogno di assistenza e di collaborazione familiare rappresenta circa 1milione e 25mila persone, mentre il fabbisogno di collaborazione domestica è pari a oltre 1milione e 262mila. Questo significa che a prevalere non è la domanda verso le attività di cura della persona, ma di gestione dell’ambiente domestico.
 
In un quadro caratterizzato da un aumento consistente della domanda di lavoro di collaborazione domestica, alimentato dalla domanda delle famiglie e dall’incremento altrettanto consistente dei flussi di stranieri in cerca di lavoro in Italia, lo status di “donna angelo del focolare all’interno della famiglia” è andato via via destrutturandosi a favore di nuovi e variegati paradigmi discriminatori che associano il lavoro di cura e di collaborazione domestica a lavoratori stranieri o a lavoratori in condizioni socio-economiche di svantaggio (vedi Martini, 2024, G7 Lavoro e Occupazione: le indicazioni per il lavoro nel settore di cura).
 
In questo senso, il ritrarsi della figura ormai anti-moderna della casalinga e il parallelo aumento del fabbisogno di servizi di cura, tendenze che spingono verso una sempre più marcata esternalizzazione del lavoro di cura, aprono nuovi e inevitabili fronti critici sui quali continuare a riflettere.
 
Chiara Altilio

PhD Candidate ADAPT – Università di Siena

@chialtilio
 
 Ilaria Fiore

PhD Candidate ADAPT – Università di Siena

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Silvia Loponte

PhD Candidate ADAPT – Università di Siena

@LoponteSilvia
 
Giorgia Martini

PhD Candidate ADAPT – Università di Siena
@martinigiorgia8
 
Riferimenti bibliografici essenziali
 
Becker G., A Treatise on the Family, Cambridge University Press, 1981

Casano L. (A cura di), Verso un mercato del lavoro di cura: questioni giuridiche e nodi istituzionali, Adapt University Press, 2022

Dalla Costa, M., & Dalla Costa, G. F. (Eds.). (1996). Donne, sviluppo e lavoro di riproduzione: Questioni delle lotte e dei movimenti (Vol. 271). FrancoAngeli;

Illich, I. Lavoro ombra, Mondadori, 1981

Assemblea costituente, Terza Sottocommissione, Resoconto stenografico della seduta 11 settembre 1946 e 13 settembre 1946

Schioppa, F. K. P. (2006). La donna lavoratrice a 60 anni dalla Costituzione italiana. Rivista di politica economica, 96(7/8), 135

Saraceno C., Il welfare. Tra vecchie e nuove diseguaglianze, Il Mulino, 2021.

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