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Definizione
Il regolamento aziendale è una delle fonti di regolamentazione del rapporto di lavoro e consiste in un insieme di norme adottate unilateralmente dal datore di lavoro nel rispetto delle disposizioni di legge e del contratto collettivo in attuazione dei diritti e dei poteri derivanti dal combinato disposto degli artt. 2086 e 2104 c.c.. Il regolamento aziendale, in seguito alle modifiche apportate al Tuir dalla legge di Stabilità 2016, è diventato, insieme ai contratti e agli accordi aziendali, uno degli strumenti attraverso il quale è possibile introdurre un piano di welfare aziendale usufruendo dei relativi benefici fiscali e contributivi.
Di cosa parliamo
Il nuovo art. 51, comma 2, lettera f) del Tuir, così come modificato dalla Legge di Stabilità 2016, prevede che non concorrono a formare reddito di lavoro dipendente “l’utilizzazione delle opere e dei servizi riconosciuti dal datore di lavoro volontariamente o in conformità a disposizioni di contratto o di accordo o di regolamento aziendale, offerti alla generalità dei dipendenti o a categorie di dipendenti e ai familiari indicati nell’art. 12 per le finalità di cui al comma 1 dell’art. 100”.
Prima della modifica, erano escluse dal reddito di lavoro dipendente le misure di welfare aziendale erogate volontariamente e unilateralmente dal datore di lavoro mentre, con la Legge di Stabilità 2016, il legislatore prevede l’introduzione di tre strumenti che legittimano tale esclusione dal reddito ossia il contratto, l’accordo e il regolamento aziendale. Relativamente al contratto e all’accordo aziendale, non sembrano esserci particolari dubbi interpretatiti in quanto questi, sono sempre stati due dei principali strumenti oggetto della contrattazione aziendale e quindi il loro inserimento in questo contesto pare essere lineare.
La scelta del legislatore di inserire anche il regolamento aziendale, invece, appare essere meno scontata. Per provare a comprendere quali siano le motivazioni a fondamento di questa scelta, può essere utile scostarsi dalla semplice letture del dettato normativo analizzando il contesto in cui si inserisce la riforma.
Già prima della Legge di Stabilità 2016 erano diffuse, soprattutto nelle imprese di grandi dimensioni, piani e misure di welfare, mentre le imprese di piccole e medie dimensioni presentavano percentuali di sviluppo inferiori a causa di una complessità di variabili tecniche e organizzative. Bisogna inoltre considerare che, nella maggior parte dei casi, le PMI non hanno la presenza di un sindacato al loro interno e questo fattore ha spinto le stesse aziende a introdurre misure di welfare principalmente attraverso strumenti informali e non strutturati.
In questo contesto, però, se le novità fossero state legate unicamente ai contratti e agli accordi aziendali, si sarebbe accentuata ulteriormente la forbice tra la diffusione del welfare nelle grandi imprese rispetto alle PMI. L’introduzione del regolamento potrebbe essere quindi vista come rimedio a questo divario e come tentativo di agevolare la diffusione e la formalizzazione dei piani di welfare anche nelle PMI, consentendo, inoltre, di superare l’informalità che contraddistingue ancora oggi il welfare delle PMI.
Il regolamento consentirebbe, quindi, di gestire le misure di welfare con maggiore agilità, senza il coinvolgimento della controparte sindacale ma con la possibilità di beneficiare comunque di tutti i benefici fiscali e contributivi di cui beneficerebbero le aziende a seguito di una ben più complicata e impegnativa contrattazione aziendale.
Questa considerazione fa però sorgere dei dubbi relativamente al fatto che il legislatore abbia voluto realmente mettere a disposizione delle aziende uno strumento che consentisse loro di escludere la controparte sindacale, soprattutto in considerazione del fatto che la logica di fondo dell’intervento normativo era proprio quella di rendere il welfare uno strumento oggetto di contrattazione.
Per sciogliere questo dubbio interpretativo e definire meglio questo strumento, occorre prendere in considerazione la definizione che viene fornita dall’Agenzia delle Entrate con la Circolare 28/E del 15 giugno 2016 la quale specifica che la deducibilità dei costi carico del datore di lavoro, oltre il limite del 5 per mille è determinata dalla “erogazione dei benefit in conformità a disposizioni di contratto, di accordo o di regolamento che configuri l’adempimento di un obbligo negoziale”.
Infatti, qualora il “regolamento” venga considerato come atto “volontario” del datore di lavoro, ai sensi del comma 100 del Tuir sarebbe possibile fruire della deducibilità solo nei limiti del 5 per mille delle spese per prestazioni di lavoro dipendente; se, invece, il regolamento fa sorgere un obbligo negoziale, allora la deducibilità sarebbe piena ai sensi dell’art. 51, comma 2, lettera f) del Tuir.
La convivenza di queste due nature, sembra essere confermata anche dalla stessa Agenzia delle Entrate tramite l’Interpello n. 954 – 1417/2016, il quale limita la deducibilità delle spese sostenute dal datore di lavoro al 5 per mille perché la società interpellante: “avrà facoltà di cessare unilateralmente e discrezionalmente l’implementazione e l’efficacia del Piano Welfare al termine di ciascun anno di riferimento, senza che da questo possa derivare alcun successivo obbligo nei confronti dei collaboratori, né per far sorgere diritti di qualsiasi natura in capo a questi ultimi”.
Da questo ultimo interpello, emerge che, in ragione della duplice natura attribuita al regolamento aziendale, non tutti i regolamenti aziendali contenenti misure di welfare possono fruire dei benefici previsti dall’art. 51, comma 2 lettera f) del Tuir. È necessario che nel regolamento emerga chiaramente la volontà negoziale unilaterale di erogare le prestazioni di welfare e che lo stesso non possono essere discrezionalmente disapplicato dal datore di lavoro.
Il Regolamento aziendale nella prassi e nella contrattazione collettiva
Il regolamento aziendale, per sua natura, così come descritta fino a questo momento, si pone in una posizione di confine tra volontarietà e obbligazione negoziale.
È certo che il regolamento aziendale non sia uno strumento oggetto della contrattazione collettiva e per questo motivo non è possibile avere evidenze di regolamenti all’interno della contrattazione stessa. Tuttavia, l’analisi dei contratti collettivi di secondo livello suggerisce che, in diversi casi, all’interno dei contratti aziendali viene fatto un rimando esplicito alla sottoscrizione di un regolamento.
Si configura in questo modo una situazione per cui il contratto collettivo aziendale esplicita la volontà di introdurre un piano di welfare aziendale ma la reale implementazione di tale piano avviene tramite un regolamento aziendale. In questo modo la previsione contrattuale del piano fa sorgere il diritto alle agevolazioni fiscali e contributive piene ai sensi dell’art. 51 del Tuir e il regolamento diventa semplice strumento attuativo di una volontà precedentemente contrattata.
Questo procedimento, sembra essere inoltre perfettamente in linea con quanto previsto dalla norma perché il regolamento aziendale, pur rimanendo un atto unilaterale del datore di lavoro configura a tutti gli effetti l’adempimento di un obbligo negoziale che non deriva dalla natura stessa del contratto ma dal contratto che ne ha “abilitato” il suo utilizzo.
Riferimenti normativi
– Artt. 51 e 100, D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR)
– Artt. 2086 e 2104 c.c.
L’interpretazione dell’Agenzia delle Entrate
– Agenzia delle Entrate, Circolare n. 28/E, 15 giugno 2016
– Agenzia delle Entrate, Interpello n. 954 – 1417/2016
Riferimenti bibliografici
– E. Massagli, Le novità in materia di welfare aziendale in una prospettiva lavoristica, in M. Tiraboschi (a cura di), Le nuove regole del lavoro dopo il Jobs Act, Giuffrè, Milano 2016
– D. Grandi; A. Moriconi, PMI e welfare: quali regole per il regolamento?, bollettino ADAPT, 7 novembre 2016
Per una analisi empirica della contrattazione collettiva
– AA.VV., La contrattazione collettiva in Italia, III Rapporto Adapt, Adapt University Press, 2016
Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro
Università degli Studi di Bergamo