Dizionario breve sul welfare aziendale a cura di ADAPT e AIWA

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Definizione

Il welfare contrattuale viene identificato con il welfare che trae origine da un contratto, sia esso individuale o collettivo (nazionale, territoriale o aziendale).

Nella prassi, con tale espressione, si identifica l’insieme delle prestazioni la cui fonte è la contrattazione collettiva a diverso livello, piuttosto che il contratto individuale. In tal senso, viene utilizzato come sinonimo di welfare contrattuale l’espressione welfare negoziale.

 

Di cosa parliamo

Tradizionalmente, si distingueva il welfare contrattuale dal welfare aziendale, considerato quest’ultimo come un insieme di servizi e prestazioni erogati ai lavoratori per iniziativa unilaterale e volontaria del datore di lavoro (atto paternalistico), senza nessun tipo di negoziazione o accordo tanto con le rappresentanze dei lavoratori, quanto coi singoli dipendenti.

 

Precisato che non esiste una definizione legale di welfare aziendale, è necessario precisare che la Legge di stabilità 2016 ha superato l’identificazione del welfare aziendale con i caratteri dell’unilateralità e della volontarietà, ribaltando culturalmente e tecnicamente la precedente impostazione. Infatti, la disciplina previgente escludeva dal reddito da lavoro dipendente opere e servizi di welfare solo se erogati su iniziativa volontaria e unilaterale dal datore di lavoro. Invero nel secondo comma dell’articolo 51 del TUIR, dedicato alle esenzioni dalla determinazione del reddito di lavoro dipendente, il legislatore tratteggia con lungimiranza anche i confini del «welfare contrattuale», ossia dei capitoli dedicati al welfare negoziato nei contratti collettivi – nazionali, territoriali, aziendali – o individuali.

 

Grazie alla Legge di stabilità 2016, infatti, le disposizioni in materia fiscale non solo permettono l’esclusione dal reddito da lavoro anche del contenuto dei piani di welfare contrattati, ma ne prevedono la piena deducibilità dal reddito di imprese soltanto se NON sono volontari, esattamente il contrario dello scenario previgente (nel caso di

“volontà unilaterale” la deducibilità, infatti, resta limitata, come in precedenza, al 5 per mille dell’ammontare delle spese per prestazioni di lavoro dipendente).

La scelta di incentivare in modo specifico il welfare negoziato si basa sull’idea che la fonte contrattuale, o quantomeno obbligatoria, meriti un particolare favore fiscale, in quanto può garantire meglio di scelte paternalistiche dell’impresa la finalizzazione equilibrata del welfare.

 

Inoltre la Legge di stabilità 2017, tramite un’interpretazione autentica, e quindi retroattiva, ha risolto un dubbio tecnico sorto fra gli addetti ai lavori, chiarendo che non sono da considerarsi reddito da lavoro anche le misure riconosciute dal datore di lavoro in conformità a disposizioni di contratti di lavoro nazionali o territoriali ovvero di accordo interconfederale, oltre che da contratto o regolamento aziendali.

Richiamando la normativa fiscale vigente, è dunque più corretto distinguere le tipologie di welfare aziendale tra “volontario”, unilateralmente concesso dal datore di lavoro senza alcuna costrizione di natura legale, contrattuale o regolamentare, e “obbligatorio”, ovvero costretto da una pattuizione sindacale o da un regolamento unilaterale. Nel caso di welfare aziendale obbligatorio originato da un accordo sindacale, si può, allora, parlare di welfare aziendale contrattuale.

 

Per ciò che riguarda l’ambito oggettivo di applicazione della norma, esso comprende una casistica molto ampia, riguardando quelle opere e quei servizi aventi finalità di educazione, istruzione, ricreazione, previdenza, assistenza sociale e sanitaria o culto, utilizzabili non solo direttamente dal dipendente, ma anche dai familiari di cui all’art. 12 del TUIR, in ordine ai quali, come affermato dalla precedente prassi (cfr. circolare 326 del 1997; circolare 238 del 2000), non vi è necessità che siano fiscalmente a carico per usufruire del beneficio.

 

Il welfare contrattuale nella contrattazione collettiva

Una presa di posizione unitaria sul welfare contrattuale è stata assunta dall’accordo fra CGIL, CISL e UIL del 14 gennaio 2016 relativo al nuovo sistema di relazioni industriali.

L’intesa include il welfare contrattuale tra gli i temi centrali di questo sistema, in quanto si ritiene che esso possa rappresentare un terreno di crescita del benessere organizzativo e di concertazione dei tempi di vita e di lavoro, nel quadro di un miglioramento della produttività e delle condizioni di lavoro. Per questo si afferma che il sindacato deve puntare alla diffusione di una contrattazione del welfare, piuttosto che assecondare la diffusione di forme unilaterali promosse dalle imprese e orientarlo in modo mirato rispetto alle caratteristiche dei singoli contesti, partendo dai bisogni reali delle persone, delle aziende, dei territori, e dei settori. Su questa base il documento segnala specificamente la necessità di diffondere la previdenza complementare e di promuovere lo sviluppo della sanità integrativa, auspicando la razionalizzazione e il riordino dei fondi esistenti.

 

Più specifiche sembrano essere le indicazioni della CISL che propone l’implementazione non solo della previdenza complementare ma di altre misure di welfare contrattuale intese a coprire le necessità familiari e a flessibilizzare orari e organizzazione del lavoro.

 

Anche Confindustria ha evidenziato la necessità di individuare una posizione organica di sistema su questi temi. Oltre ad auspicare una ridefinizione della normativa fiscale, si dà particolare rilievo al rilancio della previdenza complementare come parte di una revisione del sistema pensionistico in chiave di maggiore flessibilità. Quanto al welfare aziendale si sottolinea la necessità di definire una linea comune in merito al carattere alternativo/sostitutivo di queste misure rispetto ai trattamenti retributivi, agli obiettivi perseguibili con le iniziative in materia, nonché in merito al ruolo esprimibile dalla contrattazione aziendale e al suo rapporto con il welfare nazionale già sviluppato o sviluppabile dal CCNL di categoria.

 

Indicazioni più nette sul punto provengono da una organizzazione, la Federmeccanica, che rappresenta aziende particolarmente sensibili alle pressioni della concorrenza e del costo del lavoro. Nella piattaforma contrattuale proposta in occasione dell’ultimo rinnovo, l’associazione ha attribuito al CCNL la sola funzione di garanzia di livelli salariali di base, mentre ha dato grande rilievo al welfare, affermando che la funzione attribuita al contratto nazionale deve “fondarsi” sul potenziamento in particolare della sanità integrativa e della previdenza complementare. Tale piattaforma si è poi realizzata nel nuovo CCNL dei metalmeccanici, non a caso diventato buona pratica proprio nell’ambito del welfare contrattuale.

 

Riferimenti normativi

– 12, 51 e 100 D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR)

 

L’interpretazione dell’Agenzia delle Entrate

– Agenzia delle Entrate, Circolare n. 28/E, 15 giugno 2016

 

Riferimenti bibliografici

– E. Massagli, Le novità in materia di welfare aziendale in una prospettiva lavoristica, in M. Tiraboschi (a cura di), Le nuove regole del lavoro dopo il Jobs Act, Giuffrè, Milano 2016

 

– E. Massagli, S. Spattini, Cosa intendiamo quando parliamo di welfare aziendale? Un tentativo di mappatura concettuale di un concetto abusato, Bollettino ADAPT, 23 gennaio 2017

 

– T. Treu, Introduzione Welfare Aziendale, WP CSDLE “Massimo D’Antona”.IT – 297/16

 

– G. Zilio Grandi (a cura di), Stato sociale, lavoro e welfare aziendale ai tempi del Jobs Act, Note di Ricerca, Università Ca’ Foscari Venezia, Dipartimento di Management, 1/2017 

 

Per una analisi empirica della contrattazione collettiva:

 – AA.VV., La contrattazione collettiva in Italia, III Rapporto Adapt, Adapt University Press, 2016

 

Giada Benincasa

Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro

Università degli Studi di Bergamo

@BenincasaGiada

 

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