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È pienamente legittima ed efficace la riduzione dell’orario di lavoro in applicazione di un’intesa specifica di prossimità che agisca in deroga alla legge se sottoscritta dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, ma solo ove vengano integralmente rispettati i vincoli dettati dall’art. 8 del Decreto Legge 13 agosto 2011, n, 138. È questa la conclusione cui è giunta la Sezione Lavoro del Tribunale di Grosseto con la sentenza n. 203 del 12 settembre 2017.
Il provvedimento del giudice di merito riapre l’eterna querelle relativa all’efficacia e validità dei c.d. contratti di prossimità che, nel rispetto di talune condizioni vincolanti, possono intervenire anche in deroga a disposizioni di legge.
Nel caso di specie, la dipendente di una cooperativa lamentava che il proprio orario part-time, convenuto con la datrice di lavoro nella misura di venti ore settimanali, avesse subito una “modifica unilaterale” attraverso una riduzione del predetto orario di lavoro in misura pari a 2,5 ore settimanali, senza che vi fosse stato un accordo fra le parti del contratto di lavoro, come previsto dall’allora decreto legislativo 25 febbraio del 2000, n. 61, sostanzialmente trasfuso nel CCNL di riferimento [1]. Sul punto, la Società convenuta precisava che la riduzione dell’orario di lavoro era stata adottata a seguito di un apposito accordo stipulato con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative, allo scopo precipuo di evitare di procedere a licenziamenti collettivi, stanti le difficoltà congiunturali manifestatesi nel tempo.
L’intesa – con la quale si conveniva una riduzione dell’orario di lavoro pari al 12,5% per tutta la forza lavoro operante nell’area del grossetano – veniva “accettata” da tutti i lavoratori ad eccezione della ricorrente, e ratificata dagli stessi dipendenti nel corso di un’assemblea sindacale. La datrice di lavoro, peraltro, aveva prospettato alla lavoratrice la possibilità di integrare l’orario mancante effettuando le 2,5 ore settimanali presso un’altra sede e in altra fascia oraria, ma sempre nella stessa città e nell’ambito del medesimo appalto. Proposta che, tuttavia, veniva rifiutata dalla ricorrente.
Come anticipato, il giudice di prime cure argomenta la piena legittimità della deroga alla normativa in materia di orario di lavoro – avvenuta a valle di specifico accordo di prossimità – in quanto integralmente soddisfatti i requisiti oggettivi, soggettivi e finalistici richiesti dalla normativa di riferimento. Infatti, il dirompente articolo 8 del Decreto Legge 13 agosto 2011, n, 138, convertito con la legge 14 settembre 2011, n. 148, legittima le c.d. “intese specifiche di prossimità” ad operare in deroga alle disposizioni di legge riguardanti le materie espressamente richiamate, oltre che in deroga alle regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro. Il legislatore del 2011 pone però una serie di “paletti” che possono sintetizzarsi come segue:
– sottoscrizione dei contratti collettivi aziendali o territoriali da parte di associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale, ovvero dalle loro rappresentanza sindacali operanti in azienda;
– rispetto di un criterio maggioritario relativo alle predette rappresentanze sindacali;
– finalizzazione delle intese all’occupazione, alla qualità dei contratti di lavoro, all’adozione di forme di partecipazione dei lavoratori, all’emersione del lavoro irregolare, agli incrementi di competitività e di salario, alla gestione delle crisi aziendali e occupazionali, agli investimenti e all’avvio di nuove attività;
– le intese devono riguardare, tassativamente[2], la regolazione delle materie previste dalla disposizione, che abbracciano tra le altre l’organizzazione del lavoro;
– il rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dalle normative comunitarie e dalle convenzioni internazionali sul lavoro;
– estensione dell’efficacia a tutti i lavoratori (c.d. erga omnes).
Nel merito, il Tribunale ha sancito che il criterio di rappresentatività sia stato «certamente» rispettato, come emerso, peraltro, da un’analisi del verbale di accordo sindacale, così come la condizione di finalizzazione dell’intesa, volta alla gestione di una crisi aziendale e occupazionale. Pertanto, tale intesa, muovendosi senza dubbio nel rispetto dei principi posti a livello costituzionale, comunitario e internazionale, presenta – proprio ai sensi dell’art. 8 del Decreto Legge 13 agosto 2011, n. 138 – tutte le caratteristiche per una valida applicazione ed estensione erga omnes (quindi anche nei confronti dei lavoratori non iscritti ad alcun sindacato)[3], derogando alla disposizione di legge che, per la modifica dell’orario di lavoro, avrebbe richiesto un accordo fra le parti individuali del rapporto di lavoro.
Senza volere entrare nel merito delle discussioni che, all’indomani dell’entrata in vigore del Decreto Legge 13 agosto 2011, n, 138, hanno animato la dottrina in riferimento al “riassetto” delle fonti del diritto del lavoro, è qui opportuno evidenziare che le possibilità di deroga in pejus della materia dell’orario di lavoro sono strette, da una parte, da precisi vincoli di natura costituzionale e comunitaria (si pensi alla durata massima dell’orario giornaliero di lavoro, alla gestione delle ferie e del riposo settimanale), dall’altra, dai limiti imposti dalla disciplina contributiva e previdenziale. Infatti, è intuibile coma ad una riduzione dell’orario di lavoro corrisponda una proporzionale riduzione della retribuzione e, di riflesso, dell’imponibile contributivo. Proprio per questo la giurisprudenza ha talvolta messo in guardia rispetto alla necessità di salvaguardare l’imponibile contributivo anche a fronte della riduzione dell’onere retributivo in capo al datore di lavoro (Cass., 14 luglio 2014, n. 16089).
Peraltro, successivamente all’entrata in vigore dell’art. 8 del d.lgs. 138/2011, si sono susseguite sentenze, fra le quali quella in commento (ma, in senso conforme, anche Trib. Venezia, Sez. Lavoro, 24 luglio 2013)[4], che hanno legittimato una riduzione dell’orario individuale di lavoro a valle di accordi di prossimità, con estensione erga omnes ove sottoscritti in esatto adempimento di quanto disposto dal citato articolo 8.
Pertanto, sembra affermarsi un orientamento volto a prendere atto della mutata dinamica di sviluppo dei rapporti individuali e collettivi di lavoro, che oggi, sempre di più, trovano una concreta realizzazione proprio in quella dimensione territoriale e aziendale fortemente valorizzata dal legislatore del 2011 e già all’epoca individuata come la sede più adatta per individuare liberamente le criticità di un determinato contesto produttivo e per offrire soluzioni pertinenti, nel quadro dei vincoli – questa volta inderogabili – di natura costituzionale, comunitaria ed internazionale.
Di conseguenza, più che interrogarsi ancora su una presunta destrutturazione delle fonti del diritto del lavoro, sarebbe opportuno chiedersi quali altri strumenti, lontani dalle logiche di natura assistenzialistica che hanno pervaso le precedenti stagioni di politica del lavoro, siano meglio in grado di assicurare un adeguato contemperamento degli interessi in gioco, senza abbandonarsi al modello di una spinta deregolazione diretta a «superare ogni mediazione sindacale»[5], ma incentivando, al contrario, il grado di responsabilizzazione delle parti sociali, magari attraverso un «rinvio pieno e convinto a relazioni industriali libere e responsabili»[6], come quello operato dal confidente legislatore del 2011.
Scuola internazionale di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro
ADAPT, Università degli Studi di Bergamo
[1] Attualmente, come noto, la disciplina del contratto di lavoro a tempo parziale (c.d. “part-time”) è contenuta interamente nell’ambito del c.d. Codice dei Contratti, ovvero il decreto legislativo n. 81 del 2015.
[2] La Corte Costituzionale, con sentenza n. 221 del 4 ottobre 2012, nel legittimare in via di fatto la contrattazione di prossimità, ha precisato che l’elencazione delle materie negoziali è da ritenersi tassativa. Inoltre, la Corte ha ritenuto che «trattandosi di norma avente carattere chiaramente eccezionale, non si applica oltre i casi e i tempi in essa considerati», in ottemperanza all’art. 14 delle disposizioni sulla legge in generale (c.d. “Preleggi”).
[3] Sull’efficacia erga omnes di tali accordi collettivi decentrati, il giudice del Tribunale di Grosseto si avvale, nella sua argomentazione, anche di una sentenza precedente in tal senso (in particolare, Trib. Torino, Sez. Lavoro, 23 gennaio 2012).
[4] Il Tribunale di Venezia ha ritenuto di ricondurre l’accordo sindacale che comportava la riduzione dell’orario di lavoro dalle 38 ore previste nei contratti individuali di lavoro a 34 ore settimanali, alla tipologia di accordi introdotta dall’art. 8 del d.lgs. 138/2011, in quanto sottoscritto dalle sigle sindacali rappresentanti la maggioranza dei lavoratori al fine di evitare di procedere a licenziamenti collettivi una volta constata l’impossibilità di assorbire la totalità delle ore di lavoro inerenti il precedente appalto. L’intesa viene quindi resa “applicabile a tutti i lavoratori” anche nei suoi effetti derogatori del contratto individuale di lavoro.
[5] TIRABOSCHI M., L’articolo 8 del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138: una prima attuazione dello “Statuto dei lavori” di Marco Biagi, in Diritto delle Relazioni Industriali, 2012, 1/XXII, p. 90.
[6] TIRABOSCHI M., Op. ult. cit., p. 90