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Bollettino ADAPT 27 gennaio 2020, n. 4
Al volgere di un ventennio importante per le politiche sociali e ambientali europee, la Commissione Europea torna a parlare degli effetti distributivi della transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio, analizzandone, in un nuovo report (The social dimensions of ‘greening the economy’. Developing a taxonomy of labour market effects related to the shift toward environmentally sustainable economic activities), le relative implicazioni sul mercato del lavoro.
Mentre l’attenzione politica si concentra sulle potenzialità occupazionali di settori emblematicamente classificati come Environmental goods and services sector – EGSS, l’indagine europea, criticando tale interpretazione restrittiva per la ricerca di connessioni di sistema tra lavoro e ambiente, si rivolge anche a settori e lavori che, pur non essendo rappresentativi del processo di transizione verde, hanno, nell’ottica di uno sviluppo sostenibile, importanti ripercussioni sul mercato del lavoro e sull’economia.
Lo studio, inoltre, conferma la necessità di combinare i dati connessi alla transizione verde dell’economia emergente con nuove disposizioni di natura sociale; sul punto, una recente indagine della DG Ambiente suggerisce che lo scenario più ambizioso del 2030 registra al massimo una crescita dell’occupazione di 700.000 unità concentrate principalmente nel settore della gestione dei rifiuti e controbilanciate da un calo relativamente importante del settore costruzioni e da una probabile scomparsa dei lavori “non ecologici” più tradizionali, confermando la già ribadita necessità di improntare la transizione energetica anche sulla dimensione sociale della sostenibilità.
Per raggiungere uno standard socialmente ottimale, dunque, la brusca riduzione dei posti di lavoro “brown” dovrà essere bilanciata da strumenti di welfare locale e politiche di investimento sociali nonché, facendo leva sul dialogo sociale, da misure di riprogettazione del lavoro e riclassificazione della professionalità.
La prima nuova intuizione del report è la registrazione della crescita, sia in termini assoluti che come percentuale dell’occupazione totale, del numero di lavori con una componente verde significativa.
Tuttavia, l’indagine sottolinea la tendenza nei settori tradizionali, plasmati su formazione e competenze specifiche, al mantenimento dello status quo dell’organizzazione del lavoro tradizionale, anche a fronte di forti pressioni ecologiche. I datori di lavoro in questi settori hanno, del resto, investito in capitale specifico che sembra difficilmente convertibile nell’uso e nelle finalità, creando un forte pregiudizio conservatore e una importante resistenza al cambiamento delle tradizionali modalità di organizzazione del lavoro.
Questo rafforza la prospettiva di altri studi in base ai quali i lavoratori con competenze tradizionali affrontano la transizione verde con prospettive più sfavorevoli, necessitando di interventi di politiche di sostegno (investimenti pubblici nella formazione associata alla transizione ecologica ma anche di misure come la ristrutturazione di fondi e piani sociali).
Queste constatazioni preannunciano una seconda serie di aggiustamenti con importanti effetti sul mercato del lavoro:
a) A causa di strategie aziendali incentrate sullo svolgimento di attività principali e connesse a vantaggi derivanti dal mercato unico europeo, le catene di approvvigionamento ad oggi coprono spesso l’intero continente con emissioni di CO2 significative e spesso non contabilizzate. La riduzione obbligata di emissioni di CO2 nelle catene di approvvigionamento produrrà, quasi inevitabilmente, un trasferimento dei fornitori in località più vicine agli impianti di assemblaggio (o viceversa: il trasferimento di impianti di assemblaggio nelle vicinanze fornitori), con effetti positivi per l’occupazione locale e lo sviluppo di competenze adeguate. D’altra parte però si prevedono effetti negativi nelle regioni di origine dei fornitori (o degli assemblatori finali);
b) Considerato che le sedi di destinazione dei fornitori o degli assemblatori saranno probabilmente scelte sulla base di vantaggi economici connessi ai bassi salari; si prevedono effetti importanti sull’economia nazionale e sui mercati del lavoro locali degli Stati membri dell’Europa centrale, dove molti fornitori sono situati dalla fine degli anni ‘90 (a meno che, naturalmente, gli assemblatori non si spostino nella parte occidentale del continente, non senza conseguenze connesse alle prevedibili proteste dei lavoratori).
Inoltre, la tendenza a muoversi verso un’economia a basse emissioni di CO2, accelerata dalle ambiziose politiche climatiche, potrebbe essere ostacolata dalla difficoltà di cambiare i modelli organizzativi tradizionalmente legati alla necessità di tutti i dipendenti di trovarsi nello stesso luogo allo stesso tempo.
Un problema analogo si prevede per i settori che seguono schemi organizzativi – compresi gli accordi sulla regolamentazione del tempo di lavoro – del primo periodo industriale. Sul punto si distinguono tre tipi di servizi:
– I servizi che richiedono la presenza nello stesso luogo e tempo di produttori e consumatori (si pensi alla ristorazione) e che provocano un alto tasso di pendolarismo;
– Le amministrazioni pubbliche e private che potenzialmente si adattano a riprogettazioni organizzative plasmate sulla sostenibilità ambientale;
– Servizi basati sulla conoscenza che (come numerose start-up tecnologiche) consentono l’utilizzo di telelavoro e smart working.
Riassumendo, il report suggerisce di accelerare il processo di greening alla base delle politiche climatiche attraverso l’adozione di modelli organizzativi capaci di ridurre fonti indirette di emissioni di CO2 -come il pendolarismo massiccio e il trasporto-.
Secondo l’indagine, infine, le politiche di promozione della sostenibilità potrebbero causare anche l’aumento di prezzi al consumo, determinando una pressione per l’innalzamento dei salari. È possibile, inoltre, che un aumento della domanda di alcune competenze specifiche possa determinare un aumento della retribuzione in alcuni settori, con effetti a catena, attraverso la contrattazione, sugli altri settori.
Alla base dell’indagine, dunque, vi è l’idea che i costi distributivi della transizione possono essere bilanciati non soltanto da una buona riprogettazione e riqualificazione del lavoro ma altresì da nuovi sistemi di determinazione dei salari connessi al lavoro verde (P. Tomassetti, Conversione ecologica degli ambienti di lavoro, sindacato e salari, in DRI, 2015, n. 2).
Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro
Università degli Studi di Bergamo