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Bollettino speciale ADAPT 18 marzo 2020, n. 3
In un panorama di incertezza ed in continuo mutamento come quello attuale emerge una costante: la realtà del lavoro domestico e di cura nei confronti di anziani e non autosufficienti non viene, ancora una volta, presa in considerazione dai diversi provvedimenti finalizzati al sostegno delle imprese e alla tutela dei lavoratori a fronte dell’emergenza Covid-19. Esclusione confermata anche dal recente decreto legge n. 18/2020, cosiddetto “Cura Italia”.
Secondo i dati del 2019 dell’Associazione Nazionale Famiglie Datori di Lavoro Domestico – Domina, il numero di coloro che accudiscono principalmente parenti e malati, nel nostro paese, si aggira intorno ai due milioni (di cui circa 860 mila lavoratori contrattualizzati, il resto in nero). Nonostante questo dato e nonostante siano proprio i lavoratori del settore socio-assistenziale ad essere tra i più esposti al rischio di contrarre il virus, il dibattito accesosi in Italia relativamente alle misure di salute e sicurezza da adottare sul lavoro e nei confronti dei lavoratori a causa dell’emergenza in corso non ha riguardato i lavoratori domestici e gli assistenti familiari, la cui attività non parrebbe soggetta alle restrizioni di cui al DPCM dell’11 marzo 2020. Non sorprende dunque che gli stessi non siano stati contemplati neanche all’interno del recente “Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro” negoziato dal Governo e dalle parti sociali. Pertanto, in assenza di indicazioni chiare e precise fornite dalla politica, è intervenuta ancora una volta Domina, fornendo una serie di linee guida utili a far chiarezza su quali attività possano o non possano svolgere i lavoratori domestici, in questo periodo di grande incertezza e in cui le disposizioni varate dal Governo sono in continuo divenire. Secondo quanto suggerito dal Vademecum dell’Associazione Domina per il lavoro domestico, anche nei confronti di colf e badanti sarebbe importante adottare, laddove possibile, misure estremamente precauzionali, interrompendo la prestazione lavorativa o, nel caso in cui ciò non fosse possibile, rispettando a pieno le indicazioni fornite dal Governo, limitando il più possibile gli spostamenti dal domicilio dell’assistito e rispettando le norme igieniche suggerite per evitare il contagio. Ciò soprattutto in considerazione del fatto che la stragrande maggioranza dei lavoratori domestici e di cura gestisce ed accudisce soggetti potenzialmente a rischio, tra i quali malati cronici, non autosufficienti e anziani, maggiormente esposti al rischio di contrarre il virus in forma più severa.
Il quadro si chiarisce con la pubblicazione del decreto n. 18/2020: colf e badanti sono rimasti esclusi anche dagli ammortizzatori sociali in deroga. Il d.l. c.d. Cura Italia infatti non riconosce ai datori di lavoro domestico la possibilità di avvalersi di cassa integrazione in deroga o del fondo di integrazione salariale. Le associazioni di categoria suggeriscono alle famiglie-datori di lavoro di concordare con il lavoratore lo smaltimento di ferie retribuite maturate o la fruizione di permessi non retribuiti, ma molte famiglie, per paura del contagio, hanno già deciso di interrompere i rapporti di lavoro con i propri collaboratori domestici, esponendo tale categoria di lavoratori ad una condizione di forte disagio e incertezza.
Così come la previsione inserita all’interno del nuovo decreto, per cui il datore di lavoro non può recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’art. 3 della l. 604/1966 esclude dalle tutele proprio i lavoratori domestici e di cura, i quali sono assoggettati a differenti regole per il recesso e per i quali continueranno a valere le regole ordinarie.
Le uniche previsioni ad oggi previste a sostegno non solo di colf e badanti, ma anche delle famiglie che usufruiscono dei loro servizi, sono relative alla sospensione degli adempimenti contributivi. Sono infatti attualmente sospesi i termini relativi ai versamenti dei contributi previdenziali e assistenziali e dei premi assicurativi per l’assicurazione obbligatoria dovuti dai datori di lavoro domestico in scadenza nel periodo dal 23 febbraio 2020 al 31 maggio 2020 (art. 37 del d.l. 18/2020).
Inoltre, con gli artt. 47 e 48 del d.l. c.d. Cura Italia, sono state introdotte ulteriori previsioni sempre al fine di poter garantire maggiore tutela a malati, disabili ed anziani non autosufficienti. È stata innanzitutto prevista dall’art. 47 la sospensione dell’attività di centri diurni e strutture a carattere socio sanitario e socio educativo, al fine di evitare aggregazione di soggetti potenzialmente a rischio.
Contestualmente è stato previsto, con l’art. 48, che, data la particolare situazione del nostro paese, le pubbliche amministrazioni forniscano, avvalendosi del personale già disponibile, prestazioni in forme individuali domiciliari o a distanza, rese sempre e comunque nel rispetto delle direttive sanitarie negli stessi luoghi in cui si svolgono normalmente i servizi ed evitando aggregazioni.
Infine, merita sicuramente un cenno la problematica del lavoro irregolare, estremamente diffuso nel settore legato al lavoro domestico e di cura. Se infatti, come emerso finora, si auspica che vengano adottate misure più efficaci, in grado di garantire maggiori tutele nei confronti di colf e badanti regolarmente assunti, è altrettanto vero che dei due milioni di lavoratori impiegati nel settore, solo poco più di ottocentomila sono impiegati con regolare contratto di lavoro. Vi è, pertanto, una larga platea di lavoratori irregolari, spesso immigrati, impossibilitata a recarsi presso il domicilio dell’assistito in quanto non in grado di addurre “comprovate esigenze lavorative” (si veda il DPCM dell’8 marzo 2020), e che non potrà aspirare ad ammortizzatori sociali di alcun tipo per far fronte al mancato guadagno dei giorni di isolamento forzato. Una condizione, la loro, messa ancor più in evidenza dal periodo difficile e senza precedenti che il nostro paese sta attraversando e che, si auspica, solleciterà in futuro una riflessione sulla esigenza di immaginare canali che facilitino l’ingresso di questi lavoratori nella economia formale. Ciò soprattutto considerando il rischio di incremento ulteriore del lavoro nero nel settore, anche a causa della carenza di previsioni per queste categorie di lavoratori all’interno dei provvedimenti attualmente adottati al fine di contenere l’emergenza sanitaria in corso.
Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro
Università degli Studi di Bergamo
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