La legge di Bilancio stringe sull’equo compenso. Lo fa ricalcando in larga parte la bozza “Orlando” uscita dal Consiglio dei ministri e al vaglio, la prossima settimana, della commissione Giustizia della Camera. L’ambito di intervento, pertanto, è ristretto a una sola categoria – gli avvocati – e, sull’altro versante, alle imprese bancarie e assicurative, e più in generale al contraente privato non riconducibile al concetto europeo di micro/piccole/media impresa (raccomandazione 2003/361/Ce).
Rispetto all’idea di equo compenso “erga omnes” – target dell’ipotesi promossa dall’ex ministro Sacconi – l’area coperta dalla norma in gestazione è più ristretta, non solo per la limitazione agli avvocati – unici beneficiari della protezione legislativa – ma anche e soprattutto per l’esclusione della pubblica amministrazione sul versante del contraente forte e del consumatore persona fisica.
Dopo aver richiamato la definizione di equo compenso – «proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, nonchè al contenuto e alle caratteristiche della prestazione legale» – l’articolo della bozza di Bilancio tipizza una serie di clausole considerate vessatorie di default, e cioè fino a prova contraria (prova che può essere raggiunta da un’adeguata e dimostrabile «trattativa specifica»)…
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