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Una delle novità più rilevanti introdotte dal Decreto Fiscale è contenuta all’art. 19-bis. La disposizione in questione, rubricata Introduzione dell’articolo 13-bis della legge 31 dicembre 2012, n. 247, in materia di equo compenso per le prestazioni professionali degli avvocati, inizialmente concepita esclusivamente per la professione forense e, con una successiva modifica, estesa a tutti i professionisti di cui all’articolo 1 della legge 22 maggio 2017, n. 81 (Jobs Act degli autonomi), cerca di rispondere alla necessità di garantire un’adeguata remunerazione delle prestazioni professionali e di contrastare la logica del massimo ribasso nella contrattazione dei compensi. In particolare, il comma 1 specifica l’ambito di applicazione della misura, limitato ai soli rapporti professionali regolati da convenzioni predisposte unilateralmente con imprese bancarie, assicurative e grandi imprese (escluse quindi le microimprese e le PMI). Il comma 2 definisce equo il compenso proporzionato alla quantità e qualità del lavoro svolto, nonché al contenuto e alle caratteristiche della prestazione legale, tenuto conto dei parametri individuati dal decreto del Ministero della Giustizia per stabilire il compenso degli avvocati in caso di mancata determinazione consensuale o di liquidazione giudiziale. La disposizione individua un elenco di clausole (non ancora chiaro se si tratti di una lista esaustiva) di cui, in assenza di specifica trattativa, si presume (con presunzione relativa) il carattere vessatorio e per le quali la sanzione prevista è la nullità.
Nello specifico, si tratta di clausole che, anche in ragione della non equità del compenso pattuito, determinano un significativo squilibrio contrattuale a carico dell’avvocato. Sono, inoltre, indicate due tipologie di clausole per le quali è comunque esclusa la possibilità di provare che siano state oggetto di specifica trattativa o approvazione: si tratta della riserva al cliente della possibilità di modificare unilateralmente le condizioni del contratto e della facoltà di pretendere prestazioni aggiuntive che l’avvocato deve prestare a titolo gratuito.
Il meccanismo posto alla base della disposizione è una forma di tutela che opera ex post a solo vantaggio del professionista mediante l’accertamento da parte del giudice della nullità della clausola vessatoria o che stabilisce un compenso non equo (il termine di decadenza per la relativa azione è di 24 mesi dalla data di sottoscrizione). Sarà poi lo stesso organo giudicante a provvedere alla rideterminazione del compenso sulla base dei parametri individuati con specifico decreto.
Il comma 2 dell’art 19-bis interviene sui destinatari della misura, estendendone l’applicazione in quanto compatibile alle prestazioni rese dai professionisti di cui all’articolo 1 della legge 22 maggio 2017, n. 81 (Jobs Act del lavoro autonomo), a prescindere dal fatto che si tratti di professioni ordinistiche o non organizzate in ordini o collegi. I parametri di riferimento richiamati per la valutazione dell’equità del compenso sono quelli definiti dai decreti ministeriali di attuazione del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 (convertito dalla legge n. 27/2012 che ha soppresso le tariffe professionali) per la liquidazione giudiziale dei compensi in caso di mancato accordo tra le parti.
La disposizione interviene anche nei rapporti tra professionista e Pubblica Amministrazione, prevedendo espressamente a carico di questa l’impegno a garantire il principio dell’equo compenso per le prestazioni rese dai professionisti in esecuzione di incarichi conferiti dopo l’entrata in vigore della legge. L’articolo si conclude, al comma 4, con la previsione della clausola di invarianza finanziaria.
L’art 19-bis contenuto nel Decreto Fiscale è indice dell’attenzione del legislatore verso un problema concreto ed attuale, come quello del compenso delle prestazioni professionali e, in generale, del crescente interesse nei confronti del lavoro autonomo professionale e delle sue istanze. Analizzando nello specifico il contenuto della disposizione emergono, tuttavia, alcuni aspetti che richiedono un maggiore approfondimento; in particolare resta da esaminare il requisito della compatibilità che costituisce il presupposto necessario per l’estensione della norma oltre alla categoria degli avvocati, con il rischio che, se interpretato in senso restrittivo, ne risulti compromessa l’effettività nei confronti degli altri professionisti. Altro ostacolo alla sua applicazione consiste nell’individuazione dei criteri di riferimento sulla base dei quali valutare l’equità del compenso; mentre per le professioni ordinistiche si richiamano espressamente quelli già individuati da appositi decreti ministeriali, non è invece previsto alcun parametro specifico (o procedimento apposito per determinarlo), per i professionisti non iscritti a ordini o collegi, né per quelle attività che, sebbene svolte da professionisti ordinistici, non sono tra quelle individuate dai decreti stessi. Tale criticità rischia di compromettere l’attuazione del principio dell’equo compenso anche nei rapporti con la Pubblica amministrazione nonostante l’espressa previsione, venendo a mancare i necessari parametri di riferimento e, soprattutto, considerando il vincolo posto dalla clausola di invarianza finanziaria.
Si noti inoltre come la norma, occupandosi di clausole vessatorie, rischia di sovrapporsi alla tutela contrattuale già offerta dalle disposizioni della legge 81/2017, che garantisce il lavoratore autonomo da clausole abusive, stabilendone l’inefficacia quando determinano un eccessivo squilibrio contrattuale in favore del committente. Disparità di potere contrattuale a vantaggio del contraente forte che nella disposizione del Decreto Fiscale sembra però superabile (salvi i casi espressamente indicati) attraverso una specifica trattativa e approvazione, di cui deve essere eventualmente fornita prova in giudizio.
Chiara Dazzi
Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro
Università degli Studi di Bergamo