Finalmente la Direttiva Piattaforme: e ora?

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Bollettino ADAPT 28 ottobre 2024, n. 38

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«E quando avrete raggiunto la vetta del monte, è allora che comincerete a salire»

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Non era, forse, il caso di scomodare Il Profeta di Kahlil Gibran per commentare l’adozione di un atto normativo, benché lungamente atteso. Eppure, è proprio questa la sensazione che si vive di fronte al testo finale – quello atteso a giorni in Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea – della Direttiva relativa al miglioramento delle condizioni di lavoro nel lavoro mediante piattaforme digitali.

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Il percorso per giungere alla approvazione della Direttiva, d’altronde, è stato lungo e accidentato, con accelerazioni e fasi di stallo che, almeno fino al compromesso raggiunto nell’inverno scorso, facevano addirittura pensare che la vetta non sarebbe stata raggiunta. Ora che il traguardo è stato tagliato, però, è tempo di confrontarsi con la nuova salita all’orizzonte: la trasposizione della Direttiva negli ordinamenti nazionali, che dovrà intervenire entro due anni dalla entrata in vigore. Una salita che, per le peculiarità dell’ordinamento interno, potrebbe essere piuttosto impervia nel caso italiano, che sulla materia aveva già deciso di intervenire.

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Punti qualificanti della Direttiva – è stato ampiamente detto, ma è bene ribadirlo – sono l’azione volta a rendere, più chiara e agevole la qualificazione dei rapporti (di lavoro) che intercorrono tra piattaforme, eventuali intermediari e lavoratori delle piattaforme, aspetto per cui il tema è giunto alla ribalta del dibattito pubblico italiano già in tempi risalenti, e la disciplina del c.d. management algoritmico, ossia dell’uso di più o meno sofisticate tecnologie che consentono di automatizzare processi decisionali e di controllo per un efficiente funzionamento del servizio e per la gestione del rapporto tra piattaforma e lavoratore.

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All’interno della prima direttrice di intervento rientrano alcune disposizioni volte a garantire la “determinazione della corretta situazione occupazionale”, ossia a ricondurre all’area del lavoro subordinato i rapporti che, qualificati dalle parti come autonomi, debbano, invece, essere inquadrati come contratti di lavoro dipendente ai sensi delle discipline degli Stati Membri, tenendo conto anche della giurisprudenza dell’Unione Europea. A questo fine, oltre a richiedere procedure adeguate ed efficaci e a sancire a livello euro-unitario il ben noto principio del primato dei fatti sulla volontà cartolare espressa dalle parti, la Direttiva si affida al meccanismo della presunzione legale relativa (e, quindi, confutabile) di subordinazione «qualora si riscontrino fatti che indicano direzione e controllo» (art. 5), che trova applicazione nei procedimenti amministrativi e giudiziari (ad eccezione di quelli tributari, penali e di sicurezza sociale) in cui si dovrà determinare la corretta qualificazione dei rapporti. Questi potranno essere avviati tanto dal lavoratore, dai suoi rappresentanti, ma anche – quando necessario – da una autorità nazionale competente; gli Stati Membri sono, inoltre, chiamati a elaborare orientamenti e definire procedure che garantiscano l’efficace attuazione della presunzione legale.

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Alla seconda direttrice di intervento – relativa all’algorithmic management – sono, invece, dedicate diverse misure dirette a limitare gli usi impropri e pericolosi per i diritti e le libertà dei lavoratori, a garantire la sicurezza, la supervisione umana e la trasparenza delle pratiche manageriali attuate tramite sistemi di monitoraggio e decisionali automatizzati, ad assicurare il coinvolgimento dei rappresentati dei lavoratori tanto in termini di informazione quanto in termini di consultazione. A questo fine, la logica del divieto (es. no ai trattamenti relativi a particolari informazioni come stati emotivi, conversazioni private, attivismo sindacale o, ancora, no a utilizzi di tali sistemi che mettano indebita pressione ai lavoratori) viene integrata da una logica della trasparenza, della supervisione e del controllo costante del funzionamento dei sistemi adottati che, per essere effettiva, necessita di ampi spazi di intervento del soggetto sindacale a supporto delle richieste individuali (es. per il diritto al riesame delle decisioni prese dal sistema algoritmico) e quale interlocutore delle piattaforme riguardo l’adozione di queste tecnologie.

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Si tratta di un complesso di misure e di regole, ben articolato, che guarda a tutte le fasi del rapporto dall’assunzione al recesso e che, in buona misura, trova applicazione a tutti i lavoratori che operano sulle piattaforme a prescindere dalla classificazione operata dalle parti o dalla eventuale riclassificazione, aprendo così la tutela anche ai lavoratori autonomi e riconoscendo nuovi spazi di rappresentanza in quest’area.

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Lasciando da parte la terza parte dell’intervento normativo euro-unitario, finalizzata a garantire l’effettività delle tutele tramite idonei meccanismi di ricorso e garanzie per chi decide di azionarle, si deve osservare come tanto con riferimento alla questione classificatoria quanto con riferimento al management algoritmico la Direttiva è destinata ad impattare su discipline interne che già insistono sulla materia.

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Senza entrare nel dettaglio di una analisi normativa che merita (e ha già riscontrato) un diverso livello di approfondimento, occorre innanzitutto interrogarsi sulla portata dell’obbligo di introdurre una presunzione relativa e sui suoi effetti rispetto al difficile assestamento di quell’art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 81/2015 in materia di etero-organizzazione che, qualificato come norma di disciplina, al ricorrere di determinate circostanze fattuali riconnette l’applicazione della disciplina del lavoro subordinato. Un articolo 2, comma 1, che in passato è stato visto proprio dal legislatore italiano come referente per il lavoro da piattaforma, laddove ha voluto specificare che le disposizioni relative alla etero-organizzazione «si applicano anche qualora le modalità di esecuzione della prestazione siano organizzate mediante piattaforme anche digitali». In questo senso, la distinzione tra i fatti significativi ai fini della presunzione legale e quelli significativi relativamente alla etero-organizzazione, già discussa e discutibile con riferimento alla tradizionale applicazione del metodo tipologico in materia di subordinazione, sarà destinata a creare nuove tensioni sul piano sistematico e su quello operativo.

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Quanto poi agli obblighi informativi, è noto che – nell’ambito del recepimento della Direttiva Trasparenza e con un successivo intervento “correttivo” con il c.d. d.l. Lavoro del 2023 – il legislatore interno ha anticipato quello europeo introducendo un obbligo informativo oggi applicabile a tutti i datori e committenti pubblici o privati (quindi non solo alle piattaforme) che utilizzano «sistemi decisionali o di monitoraggio integralmente automatizzati deputati a fornire indicazioni rilevanti ai fini della assunzione o del conferimento dell’incarico, della gestione o della cessazione del rapporto di lavoro, dell’assegnazione di compiti o mansioni nonché indicazioni incidenti sulla sorveglianza, la valutazione, le prestazioni e l’adempimento delle obbligazioni contrattuali dei lavoratori» (art. 1-bis, co. 1, d.lgs. n. 152/1997). La disposizione, fortemente debitrice di precedenti fasi di discussione della Proposta di Direttiva, a fronte di un ambito applicativo soggettivo più ampio, prevede un ambito applicativo oggettivo (che si vorrebbe) ([1]) più ristretto e, comunque, parzialmente disallineato da quello della Direttiva. Non solo, come emerge dal ddl governativo in materia di intelligenza artificiale (su cui E. Dagnino, Verso una regolazione dell’Intelligenza artificiale: prime note sui profili lavoristici del disegno di legge di iniziativa governativa, Bollettino ADAPT 13 maggio 2024, n. 19), la disciplina di cui all’art. 1-bis è il riferimento anche per gli specifici obblighi informativi previsti dal Regolamento IA, rispetto al quale pure risulta non conforme in termini di definizione dell’oggetto dell’obbligo informativo.

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Preso tra questi due fuochi è evidente che il legislatore non potrà limitarsi, come spesso ha fatto, ad una trasposizione letterale e adesiva della Direttiva: inizia una salita tecnicamente molto impegnativa per un legislatore che dovrà essere in grado di armonizzare la normativa interna ben oltre i limiti del lavoro da piattaforma.

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([1]) Come era prevedibile, non la pensa così la prima giurisprudenza in materia, su cui (E. Dagnino, Il diritto interno: i sistemi decisionali e di monitoraggio (integralmente) automatizzati tra trasparenza e coinvolgimento, in M. Biasi (a cura di), Diritto del Lavoro e Intelligenza Artificiale, Giuffré, 2024, pp. 147-171)

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Emanuele Dagnino

Assegnista di ricerca
Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia

@EmanueleDagnino

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