Con l’avvio della fase istitutiva del fondo di solidarietà residuale, presso l’Inps, si aggiunge un importante tassello al complicato puzzle degli strumenti previsti dalla riforma Fornero per garantire un sostegno al reddito ai lavoratori che operano in settori non coperti dalle norme in materia di integrazione salariale.
Previsto per l’inizio del 2014, il fondo residuale non è ancora operativo, ma le sue caratteristiche sono state definite dal decreto ministeriale 79141 del 7 febbraio 2014, pubblicato prima nel sito internet del Ministero (si veda Il Sole 24 Ore del 24 maggio) e poi sulla Gazzetta ufficiale del 6 giugno.
Questo nuovo strumento tutelerà solo i dipendenti di aziende con più di 15 dipendenti, erogando un assegno pari alla cassa integrazione ordinaria a fronte di riduzione o di sospensione dell’attività lavorativa. L’aiuto potrà essere corrisposto per un massimo di tre mesi continuativi, con la possibilità di proroghe fino a un massimo di nove mesi in un biennio mobile. Il fondo viene alimentato con un contributo pari allo 0,5% della retribuzione mensile imponibile ai fini previdenziali, di cui due terzi a carico del datore di lavoro e un terzo in quota ai dipendenti. Per le imprese che riducono l’orario lavorativo scatta però un contributo aggiuntivo, solo a carico del datore di lavoro, pari al 3% delle retribuzioni perse per le aziende fino a 50 dipendenti e del 4,5% per quelle più grandi.
Nessuno, però, ora deve versare un euro, perché il primo passo spetta all’Inps, presso cui il fondo verrà istituito, chiamato a individuare i soggetti tenuti al contributo. Nel fondo residuale dovrebbero confluire le aziende dei settori in cui non è prevista la cassa integrazione e nei quali non sono stati istituiti fondi bilaterali ad hoc o adeguati quelli esistenti. A due anni di distanza dalla legge n. 92/2012 che ha introdotto questa novità, il quadro è ancora frammentato e il percorso attuativo è stato caratterizzato da continui rinvii delle scadenze previste in origine.
La riforma Fornero, peraltro, lascia la possibilità di ampliare il campo di intervento dei fondi assicurando una prestazione integrativa all’Aspi, erogando assegni straordinari in caso di esodi con pensionamento entro cinque anni, contribuendo al finanziamento di programmi formativi di riconversione o riqualificazione professionale.
Il preesistente fondo dei dipendenti postali, per esempio, è stato adeguato e oltre a “sostituire” la Cig prevede il finanziamento dei programmi formativi e assegni straordinari nell’ambito di piani di esodo. In questo caso il contributo ordinario è pari allo 0,5% mentre quello straordinario è dell’1,5 per cento. Situazione analoga nel settore assicurativo, dove però il contributo ordinario è dello 0,30%, più vicino al minimo indicato nella legge n. 92/2012.
L’artigianato è un altro comparto che si è adeguato alla legge, modificando il fondo bilaterale già esistente e introducendo un contributo in quota fissa, però attende l’emanazione del relativo decreto interministeriale. Confprofessioni ha sottoscritto un accordo con i sindacati per l’avvio di un sistema sperimentale per il triennio 2013-2015 che prevede un’integrazione del 20% rispetto all’Aspi in caso di sospensione dell’attività lavorativa, integrazione per chi percepisce la Cig in deroga, integrazione a fronte di contratti di solidarietà difensivi.
Altre intese sono state raggiunte nei comparti del credito cooperativo, trasporti e marittimo. I fondi settoriali, a differenza di quello residuale, possono includere, come nei fatti è avvenuto, anche le aziende con meno di 15 dipendenti.
Fondi di solidarietà bilaterali ancora in mezzo al guado