Fondi di solidarietà bilaterali: l’impianto normativo dopo la legge di stabilità 2014

Con un emendamento alla Legge di Stabilità 2014 presentato alla Camera – V Commissione Bilancio –, si sono introdotte alcune modifiche all’impianto delineato dalla riforma Fornero per la costituzione dei fondi di solidarietà bilaterali.
 
Innanzitutto si è definitivamente soppresso il termine – fissato da ultimo con il dl n. 76/2013 al 31 ottobre 2013 – per la costituzione di nuovi fondi o l’adeguamento di quelli già esistenti. In questo modo si è resa più libera l’attività delle parti sociali, che – con l’apposizione di un termine –, si erano viste sottrarre quell’autonomia sindacale che è garantita per espressa previsione costituzionale.
D’altra parte è fatta salva la previsione dell’obbligatorietà della costituzione di fondi residuali (art. 3, comma 19 l. n. 92/2012), a decorrere dal 1° gennaio 2014, nei settori in cui le parti sociali siano rimaste inerti.
 
Questa disciplina subisce ora una integrazione significativa, con l’aggiunta – in legge di stabilità – dei commi 19-bis e ter.
La prima novella statuisce che qualora le parti sociali stipulino accordi per l’istituzione di fondi in settori già coperti dal fondo residuale, i datori di lavoro non sono più soggetti alla disciplina del fondo residuale; ciò significa che la contribuzione sarà convogliata al nuovo fondo costituito, salvo casi specifici in cui siano già state deliberate le prestazioni di sostegno al reddito.
 
Il comma 19-ter invece si concretizza in una condivisibile previsione per cui si sospende l’obbligo di contribuzione al fondo residuale se al «1° gennaio 2014 risultino essere in atto procedure finalizzate alla costituzione di fondi di solidarietà bilaterali di cui al comma 4». Pare così volontà del legislatore incentivare le parti sociali a costituire detti fondi. La spinta però ha un limite (31 marzo 2014), allo scadere del quale viene comunque ripristinata l’operatività del fondo residuale, così da garantire in ogni caso il sostegno al reddito per quei lavoratori che sono impiegati in settori non coperti dalla normativa in materia di integrazione salariale.
 
Rimanendo nell’ambito dei fondi residuali, riscrivendo parte del comma 20 si stabilisce che questo dovrà assicurare le stesse prestazioni dei fondi di solidarietà bilaterali per una durata non inferiore (anziché non superiore, come da testo vigente) ad 1/8 delle ore lavorabili.
È bene dare atto di un’ulteriore significativa novella introdotta dal comma 20-bis, che fissa provvisoriamente allo 0,5% l’aliquota contributiva al fondo residuale, «allo scopo di assicurare l’immediata operatività del fondo» stesso.
La norma, se da una parte tende ad assicurare la contribuzione dei datori di lavoro sin dal 1° gennaio, dall’altra genera un’incertezza di fondo in quanto sarà comunque necessario un decreto ministeriale istitutivo che dovrà fissare anche le aliquote contributive nel rispetto dei criteri della riforma Fornero.
 
Infine è doveroso evidenziare l’ampliamento della portata della disciplina dei fondi di solidarietà bilaterali: sostituendo la lettera a, comma 11, art. 3 della legge Fornero, si ammettono tutele integrative rispetto a prestazioni connesse alla perdita del posto di lavoro o a interventi di integrazione salariale (in luogo della sola ASpI, come invece prevedeva la l. n. 92/2012).
 
Sebbene l’architettura delineata dal governo Monti sia stata nuovamente puntellata con apprezzabili disposizioni modificative, abrogative o nuove statuizioni, è evidente che rimane un limite fisiologico, che non può essere eliminato con la sola soppressione del termine del 31 ottobre 2013.
I fondi residuali introdotti all’articolo 3, comma 19 infatti sono previsti unicamente per quei settori sì esclusi dalla normativa della integrazione salariale, ma con riferimento a classi dimensionali che superino i 15 dipendenti; in questo modo si continua ad escludere una vasta platea di soggetti, impiegati in piccole aziende, che sono così destinati a non vedersi riconosciute le tutele che invece sono assicurate ai colleghi delle grandi industrie (cfr. S. Spattini, M. Tiraboschi Piccole aziende a rischio esclusione in Il Sole 24 Ore, 20 novembre 2013).
 
Da una lettura approfondita e complessiva della norma si può rintracciare un tentativo del legislatore di mantenere salda la spinta verso l’intervento il più ampio possibile delle parti sociali.
Se da una parte il comma 19-ter stabilisce che, nell’ipotesi di scadenza del termine del 31 marzo 2014 e di inerte attività delle rappresentanze sindacali e datoriali, sia ripristinato l’obbligo contributivo ai fondi residuali, dall’altra il comma precedente ammette il passaggio dal fondo residuale a quello costituito (in un momento successivo) per accordo tra le parti.
Tutto questo sostenuto dalla soppressione dei termini dei commi 4, 14 e 19, operata – come già ricordato – dalla legge di stabilità (art. 1, comma 185).
 
Rimane comunque da sottolineare che questo passaggio è possibile solo per imprese che occupino più di 15 dipendenti, proprio perché condizione necessaria è l’abbandono di un fondo residuale.
Certo è che non si può né obbligare né negare alle parti sociali di stipulare accordi per la realizzazione di fondi c.d. “puri”, cioè estranei all’impianto della riforma Fornero, magari indirizzati anche alle piccole imprese (come è avvenuto nel settore dell’artigianato, v. Bollettino speciale ADAPT, 20 novembre 2013, n. 26) che occupano meno di 16 dipendenti.
In questa materia, come in molte altre, resta in ogni caso più incisiva e conveniente l’azione responsabile delle parti sociali che sono le uniche in grado di fondare forti strutture bilaterali capaci di garantire svariate forme di sostegno al reddito per tutti i lavoratori, indipendentemente dalla base occupazionale delle aziende in cui questi operino.
Da questo punto di vista però non ci si può attendere un penetrante intervento normativo, poiché il legislatore è tenuto al rispetto del principio costituzionale della libertà e autonomia sindacale (art. 39, comma 1, Cost.).
 
Marco Menegotto
Studente di Giurisprudenza – Università degli Studi di Milano
 
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