Fondo Sociale Europeo contro la disoccupazione, una proposta

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Bollettino ADAPT 20 maggio 2019, n. 19

 

Un Fondo sociale europeo per l’occupazione: questa è la proposta di Günter Schmid[1] per riavvicinare i cittadini europei all’Unione. Il professore tedesco, tra i principali ideatori della teoria dei mercati transizionali del lavoro, in un opinion paper pubblicato per l’Osservatorio Sociale Europeo analizza e prosegue il dibattito intorno all’idea di una European Unemployment Insurance (di seguito EUI).

 

L’opportunità di un intervento comunitario contro la disoccupazione si riconosceva già nel 1975, quando il Marjolin Report, interrogandosi sull’unione monetaria, affermava che una comunità solidale reale non potesse non preoccuparsi di redistribuire il reddito (anche da una nazione a un’altra). Giunta l’Unione monetaria e sopraggiunta la grande crisi del 2008, l’appello a un’Unione che fosse anche sociale è rimasto inascoltato. Non è un caso che il paper sia stato pubblicato appena qualche settimana prima delle elezioni europee: l’autore infatti individua nella mancanza di solidarietà una delle ragioni dell’attuale “movimento populista antieuropeo”.

 

Il sostegno europeo ai disoccupati è stato storicamente ipotizzato secondo due schemi: quello “genuino” e quello della “riassicurazione”. Nel primo modello i disoccupati percepirebbero il sussidio direttamente dall’Unione Europea mentre nel secondo lo Stato membro riceverebbe dei fondi ad hoc per sostenere i costi del proprio sistema previdenziale in periodi di particolare stress.

 

Lo schema genuino, in realtà, sembra precluso dall’ordinamento comunitario poiché l’art. 153 TFUE stabilisce che solo gli Stati membri possono «definire i principi fondamentali del loro sistema di sicurezza sociale». Per queste ragioni, ad esempio, László Andor, Commissario europeo per l’occupazione, gli affari sociali e l’integrazione, durante il suo mandato (2010-2014), propose tuttalpiù un Fondo orientato a una funzione stabilizzatrice a scopo anticiclico per stimolare la domanda interna in fase di recessione.

 

Chi propone lo schema della riassicurazione procede dalla convinzione che la sicurezza sociale debba, almeno per il momento, rimanere nelle mani degli Stati membri. Un EUI genuino, infatti, imporrebbe un livello di governance centrale e accentrato che contraddirebbe il principio di sussidiarietà.

 

Nel 2018 due europarlamentari – il tedesco von Weizsäcker e lo spagnolo Fernández – hanno proposto a robust European Unemployment Insurance, immaginando un sistema miscellaneo, composto da un elemento di “auto-assicurazione” e uno di “riassicurazione”. Ciascun Paese membro avrebbe dovuto effettuare un versamento pari allo 0,1% del proprio PIL in un Fondo appositamente creato. La maggior parte di tale versamento sarebbe stata vincolata e destinabile esclusivamente allo stesso Paese versatore (qui la dimensione auto-assicurativa) e un’altra a una riserva condivisa e accessibile da tutti i Paesi membri in caso di grave crisi (qui la dimensione di riassicurazione). In caso di necessità ciascuno Stato, inoltre, ove la propria quota fosse insufficiente, avrebbe potuto chiedere un prestito dalle quote degli altri paesi o dai mercati finanziari.

 

Schmid si mostra perplesso rispetto a tale proposta, nella misura in cui risulta orientata prevalentemente alla stabilizzazione macroeconomica piuttosto che a un’effettiva riattivazione dei disoccupati e a un sostanziale protezioni dei livelli di reddito. E qui arriva la proposta dell’autore: la creazione di un nuovo fondo, un European Employment and Social Fund, che coniughi una funzione riassicurativa, nel supportare i Paesi membri che non dispongono delle risorse necessarie, con una di assicurazione sociale che copra le perdite reddituali causate dalla disoccupazione. La proposta nasce dalla convinzione che i lavoratori sovvenzionati con generosi sussidi trovano una nuova occupazione più velocemente di coloro che hanno percepito beneficia marginali (o non ne hanno percepito alcuno). L’obiettivo, infatti, potrebbe essere quello di coprire almeno il 66% dei disoccupati, erogando loro sussidi che non siano inferiori al 50% dell’ultima paga, per almeno 26 settimane.

 

Sul lungo periodo, ritiene Schmid, sarebbe auspicabile la creazione di un’imposta europea autonoma per finanziare il fondo. Si può discutere cosa tassare, se le retribuzioni dei lavoratori, il valore aggiunto o le rendite da capitale ma l’idea, comunque, è quella della formica che accumula risorse per l’inverno: una stima ragionevole prevede un versamento pari allo 0,2% del PIL di ciascun paese membro, per un totale annuo di 32 miliardi di Euro (su un budget europeo annuo di 160 miliardi) cioè l’1% del PIL europeo, contro il 20% del PIL di cui consta il bilancio federale degli Stati Uniti.

 

Il Fondo svolgerebbe una funzione solidaristica che si inserisce nel contesto dell’unione monetaria dove coesistono livelli di sviluppo economico differenti: nell’ottica proposta da Schmid i Paesi con bilancia commerciale positiva dovrebbero supportare quelli con bilancia negativa. L’intervento dell’EESF, combinato con lo sviluppo dell’Agenzia per l’impiego europea (EURES), impegnata a intrecciare domanda e offerta di lavoro nel territorio europeo, e con la promozione di mobilità professionale, rappresenterebbe un passo importante nella lotta alla disoccupazione.

 

Un primo step in questa direzione, magari in attesa di una riforma dei trattati verso un’Unione fiscale, potrebbe essere quello di unire il già esistente Fondo Sociale Europeo con il Fondo di adeguamento alla globalizzazione. Si tratterebbe comunque di risorse limitate ma non va sottovalutato il valore simbolico di un’erogazione proveniente dall’Unione Europea a favore dei cittadini che vivano una transizione occupazionale e un situazione di insicurezza economica: il Fondo potrebbe rappresentare il primo mattone di un’Europa federale e sociale su cui costruire una vera cittadinanza europea.

 

Giorgio Impellizzieri

ADAPT Junior Fellow

@Gimpellizzieri

 

[1] Insegna all’Università libera di Berlino ed è uno dei massimi teorizzatori dei mercati transizionali del lavoro. Per un’introduzione sul tema si veda G. Schmid Transitional Labour Markets: A New European Employment Strategy, Wissenschaftszentrum Berlin für Sozialforschung Discussion Paper, 1998, FS I 98-206; G. Schmid, Full Employment in Europe. Managing Labour Markets Transitions and Risks, Edward Elgar Publishing Limited, 2008; L. Casano, La riforma nel mercato del lavoro nel contest della nuova geografia del lavoro, in Diritto delle relazioni industriali, 2017, fasc. 3 pp. 634-687.

 

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