Formazione, ricerca e imprese: un’alleanza possibile?

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In Italia la spesa pubblica destinata alla ricerca è scesa da circa 10 miliardi di euro nel 2008 a poco più di 8,5 miliardi nel 2017. Il nostro Paese investe in istruzione e formazione solo il 3,9% del Pil contro una media europea del 4,7% (investono meno solo Slovacchia, Romania, Bulgaria e Irlanda) e conta un numero di laureati tra i 30 e i 34 anni di 13 punti percentuali inferiore rispetto alla media Ue. Sono solo alcune delle tendenze poco virtuose in materia di istruzione, formazione e ricerca evidenziate dal 52° Rapporto Censis, alle quali si aggiungono la diffusa condizione di sovraistruzione e l’elevata incidenza dell’highly skilled exchange rate, ossia il valore associato al rapporto tra i flussi in uscita e i flussi in entrata di persone in possesso di istruzione terziaria: 28mila sono i laureati che hanno lasciato l’Italia nel 2017 secondo un recente report dell’Istat, il 4% in più rispetto al 2016. Nel settore privato, inoltre, si riscontra un basso numero di ricercatori, progettisti e creativi rispetto alle altre economie sviluppate dell’area OCSE.

 

Se la dottrina economica prevalente è concorde sul fatto che non vi sia Paese in grado di percorrere un cammino di crescita, sviluppo e innovazione in assenza di politiche pubbliche di supporto alla formazione del capitale umano, diverse sono le proposte e i modi di concepire tali politiche. Queste tematiche sono state dibattute lo scorso 4 dicembre durante la presentazione dello studio svolto da ADAPT per Zamperla S.p.A. dal titolo Una alleanza tra mondo della ricerca e imprese per l’occupazione dei giovani. Per una via italiana al modello Fraunhofer Gesellschaft, una ricerca che indaga la relazione tra giovani e lavoro nel mercato italiano – con particolare riferimento ai profili professionali in possesso di istruzione terziaria e altamente qualificati – e approfondisce i dispositivi organizzativi e contrattuali sui quali è possibile innestare stabili alleanze tra filiera formativa, mondo della ricerca e tessuto produttivo.

 

Quello sperimentato dalla Germania con Fraunhofer-Gesellschaft, un’organizzazione finalizzata alla ricerca investita dallo Stato tedesco del ruolo di raccordo tra imprese e università, rappresenta uno dei modelli cui l’Italia potrebbe fare riferimento per una diversa impostazione del sistema di formazione e dei modi di fare ricerca. Si tratta di una rete di centri di ricerca applicata – che nel complesso occupano circa 25000 persone – distribuiti tra i vari Länder e contraddistinti da un forte legame, formale e progettuale, con le università del territorio. Il direttore di ogni centro di ricerca è al contempo un docente universitario e anche i dipendenti collaborano con l’università in qualità di docenti a contratto, lecturers e tutors, ruolo che consente loro di sperimentare nuove metodologie didattiche incentrate su casi di studio pratici e di individuare studenti di talento da avviare a collaborazioni con i team di ricerca presso i laboratori Fraunhofer. Sotto il profilo della sostenibilità finanziaria, le risorse economiche di cui beneficia Fraunhofer-Gesellschaft provengono in parte dal governo centrale e da bandi pubblici e in parte da privati (nella misura, rispettivamente, di un terzo per ciascuno dei tre canali): questo sistema di finanziamenti permette agli istituti di rimanere in costante contatto con il mercato e in ascolto dei fabbisogni espressi dalle imprese, senza tuttavia che il ruolo dei Fraunhofer possa ricondursi a quello di semplici sviluppatori di tecnologie o consulenti, dal momento che spesso sono gli istituti stessi a proporre i contenuti di ricerca alle imprese e a orientarle rispetto ai temi di frontiera.

 

Un robusto sistema dell’incontro tra domanda e offerta di competenze professionali elevate e con esso un mercato del lavoro di ricerca nel settore privato, innestato su una forte collaborazione tra aziende e mondo della ricerca: sembrano queste le precondizioni da soddisfare e alle quali la progettazione normativa dovrebbe tendere per la messa a punto di sistemi economici di rete moderni fondati sulla condivisione di conoscenze e saperi. Il carente sviluppo di un mercato del lavoro di ricerca e della relativa organizzazione e disciplina, come sottolineato dal prof. Michele Tiraboschi, è legato alla persistente incapacità da parte delle pubbliche istituzioni di mettere la persona al centro dei modelli di sviluppo economico e al mancato ammodernamento dei modi di fare impresa (si veda in tal senso M. Tiraboschi, L’inquadramento giuridico del lavoro di ricerca in azienda e nel settore privato: problematiche attuali e prospettive future, in DRI n. 4/2016). Oggi infatti il know-how è sempre più diffuso tra le varie professionalità presenti in azienda e non è più concentrato soltanto ai vertici, pertanto il valore si crea congiuntamente in azienda e in sinergia col territorio: l’alleanza tra tutti gli attori diventa dunque auspicabile e necessaria.

Tre proposte progettuali possono essere suggerite per realizzare una via italiana al modello Fraunhofer-Gesellschaft: promozione dei dottorati industriali e più in generale di metodi formativi di carattere duale, in cui prassi e teoria si incontrano favorendo così l’allineamento delle competenze; riconoscimento e valorizzazione del lavoro di ricerca nel settore privato; riorganizzazione dei centri di competenza ad alta specializzazione per Industria 4.0.

 

Poche ed isolate sono ad oggi le esperienze in Italia orientate nella direzione di una più profonda e funzionale collaborazione tra formazione, ricerca e mondo produttivo, alcune delle quali sono state discusse al convegno. Si può citare ad esempio il caso degli istituti tecnici superiori (ITS), su cui si è soffermato il direttore di Federmanager Academy Federico Mioni. Questi istituti sono meno diffusi rispetto ai loro omologhi tedeschi in Germania – in totale, nel nostro Paese, si contano un centinaio di ITS e una platea di quasi 12000 iscritti – ma si contraddistinguono per l’alto tasso di occupabilità riscontrato tra i suoi studenti a 12 mesi dal conseguimento del diploma.

In fondo, se il modello tedesco può insegnarci qualcosa, oltre che per le riuscite esperienze di apprendistato duale, cogestione e Fraunhofer-Gesellschaft, è per il fatto di concepire l’impresa come un bene sociale, capace di creare un valore che può costituire un bene comune e condiviso. Il progressivo e tangibile affermarsi di paradigmi di produzione incentrati su metodi e tecniche di innovazione aperta e collaborativa porta con sé la necessità di superare la concezione di impresa che agisce nel sistema economico come monade per il mero scambio di beni e servizi. Le trasformazioni in atto impongono infatti di adattare la riflessione su unità di analisi più estese dell’azienda, allargando la lente di indagine sulle alleanze triangolari, esistenti e potenziali, tra le filiere della formazione, della ricerca e il tessuto aziendale. Queste alleanze sembrano poi indispensabili per la creazione di un mercato legato al lavoro di ricerca in impresa, la cui costituzione rappresenta uno dei presupposti su cui poter fondare i nuovi modelli di produzione della Quarta rivoluzione industriale, in competizione tra loro non tanto per le tecnologie di nuova generazione, quanto semmai per attrarre cervelli e professionalità che sappiano governare tali tecnologie.

 

Saverio Ascari

ADAPT Junior Fellow

@saverioascari

 

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