Professoressa Elsa Fornero, a inizio ottobre, dopo il via libera al Jobs Act al Senato, aveva dato 18 a Matteo Renzi. Adesso che voto gli dà?
«Dal 18 siamo passati al 20. In particolare per il coraggio e la determinazione che ha dimostrato, anche in Europa, per abbassare le tasse sul lavoro».
E sull’articolo 18, invece? «Sui licenziamenti economici mi pare il proseguimento del percorso che avevamo tracciato noi. Nella sua formulazione originaria anche la nostra riforma cancellava il reintegro. Fu poi per insistenza di Bersani, e con l’esplicito accordo di Casini e Alfano, che inserimmo quella formula che permette il reintegro solo quando il motivo economico è manifestamente insussistente. Ma già adesso chi vince una causa ottiene quasi sempre un’indennità. Non cambia molto».
La vera battaglia è stata sui licenziamenti disciplinari.
«Sì, e la soluzione trovata mi sembra rischi di essere in parte sbagliata e in parte illusoria».
Perché sbagliata?
«Il governo vorrebbe sostanzialmente abolire la discrezionalità del giudice. Ma, così come ci sono lavoratori che si comportano male, ci possono essere anche datori di lavoro che si comportano male. E se c’è una controversia a decidere deve essere un terzo. Non vedo chi se non un magistrato».
L’idea del governo, però, è che il reintegro scatti solo se l’azienda accusa il lavoratore di un reato falso.
«In questo temo che la soluzione trovata possa essere illusoria. Il margine di discrezionalità che si mette fuori dalla porta potrebbe rientrare dalla finestra. La questione non è così semplice come sembra».
Dicono tutti di aver vinto.
«Non mi sorprende. Il merito interessa molto meno del riflesso politico. Non credo che ci sia un solo imprenditore, italiano o straniero, che non assuma perché ha il problema dell’articolo 18, così come cambiato da noi. È solo un simbolo sul quale mettere la bandiera».
Il governo ripete che le nuove regole valgono solo per i nuovi assunti. Per chi ha un contratto non cambia nulla. Sarà davvero così?
«Credo che nel medio termine le nuove regole saranno applicate a tutti. So bene che l’impostazione è dire si comincia e poi si estende. Ma, se si ritengono migliori queste norme, bisognerebbe avere il coraggio di dire che le modifiche riguarderanno tutti i lavoratori privati, anche quelli già assunti. E, perché no, anche i dipendenti pubblici. Altrimenti si perpetuano le diseguaglianze».
Lo sciopero dei sindacati?
«Una risposta politica ad un’impostazione politica del problema. Anche loro giocano sul piano del “vinco io” lasciando perdere il merito».
E il ministro Poletti che non parla dal palco della Uil?
«Non voglio dare giudizi sulle scelte altrui. Posso solo dire di non aver mai rifiutato il dialogo, nemmeno quando sapevo di avere interlocutori ostili».