Il “mito” della tecnologia liberante si rivela una forma molto avanzata di sfruttamento e subordinazione, di schiavitù diffusa e a bassa intensità con un alto potere di deterritorializzazione. Una chiave per capire.
Quando si parlava di fine del lavoro
Nel 1995 – ovvero più di vent’anni fa – Jeremy Rifkin pubblicava un libro che sarebbe diventato paradigmatico nel dibattito globale sul mondo del lavoro: La fine del lavoro, il declino della forza lavoro globale e l’avvento dell’era post-mercato (Baldini&Castoldi, Milano 1995). Il libro generò un acceso dibattito e vide schierarsi decine d’intellettuali a favore o contro le tesi sostenute dall’autore. Non so quanti ricordino l’ipotesi conclusiva del volume che credo sia utile riproporre in questa occasione.
Scriveva a quel tempo Rifkin: “Il lavoro umano inutilizzato è il fatto fondamentale della prossima epoca, e la questione alla quale sarà necessario trovare una risposta se si vuole che la civiltà riesca a superare l’impatto della Terza rivoluzione industriale. […] Per questa ragione, trovare un’alternativa al lavoro nell’economia di mercato è una questione determinante, sulla quale si devono confrontare tutte le nazioni del mondo; per prepararsi per l’era post-mercato sarà necessario dedicare la massima attenzione alla costruzione del terzo settore e al rinnovamento della vita sociale a livello locale…
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