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Bollettino ADAPT 10 maggio 2021, n. 18
Nell’autunno del 2020, mentre la seconda ondata della pandemia sorprendeva il nostro Paese e il mondo, Bruno Manghi, sociologo torinese punto di riferimento di generazioni di sindacalisti soprattutto, ma non solo, appartenenti alla Cisl, stava scrivendo la prefazione a un mio libro: “Sapere, libertà, mondo”.
Fu così che lo chiamai per avere notizie del testo e ci rimasi un po’ male: per tutta la telefonata non mi parlò del mio volume sul sindacalista Pippo Morelli, frutto di dieci anni di lavoro e da lui ispirato, ma del libro di Michele Buonerba, che sarebbe stato pubblicato quasi contemporaneamente al mio da Edizioni Lavoro.
Manghi ne era davvero entusiasta, io conoscevo bene l’autore, segretario generale da oltre un decennio della Sgb Cisl dell’Alto Adige, ma raramente avevo sentito il “vecchio zio”, in ormai non pochi anni di conoscenza, così soddisfatto di un’opera contemporanea di riflessione sul sindacato e sulla rappresentanza.
Ebbene, anche se con autorevolezza infinitamente minore, dopo aver letto il volume, non posso che confermare la valutazione del nostro comune maestro: “Oltre la marginalità” del sindacalista altoatesino è un testo preziosissimo e coraggioso che affronta senza remore, come promesso nel sottotitolo, i nodi del rapporto tra buona rappresentanza e rappresentatività efficace.
Il testo del sindacalista bolzanino ha una serie di pregi: mette a frutto (e a “nudo”) decenni di esperienza sindacale diretta, prima nella categoria degli edili e poi a livello confederale e indaga, con grande rigore scientifico e documentativo, il lungo processo di indebolimento del soggetto sindacale in rapporto agli orientamenti strategici sociali ed economici del nostro paese e a livello globale.
Ovviamente il volume non si ferma alla disamina delle difficoltà, ma propone un ventaglio di “rigenerazioni” innovative.
Il testo di Buonerba è un viaggio, una riflessione sulla rappresentanza e sul suo riconoscimento ed efficacia sociale; un percorso che non si ferma ai dati quantitativi, ma insiste sulla qualità dei processi democratici, associativi e contrattuali, senza sconti, senza autoreferenzialità, senza pigrizia.
Sta forse proprio qui uno degli elementi di maggiore fascino del libro: è un testo di grande amore per il sindacato, si nutre della sua storia, del solco prezioso dei suoi passi, della sua identità, ma si concentra sulle esigenze nuove del mercato del lavoro, della tecnologia, dei cambiamenti antropologici e sociali e sulle risposte, i cambiamenti possibili, auspicabili, in alcuni casi urgenti, necessari, radicali.
Buonerba afferma: “nella società ci sarebbe una grande domanda di relazioni industriali efficaci se pensiamo al ridimensionamento delle tutele sul lavoro, ai salari reali che non aumentano, alla riduzione effettiva dei servizi pubblici e più in generale alle disuguaglianze divenute in certi ambiti addirittura insopportabili” e al tempo stesso prospetta una serie di innovazioni: “delle quali si parla troppo poco, ma che sono essenziali”.
Si parte da lontano, da quarant’anni di crisi del sindacato e da una data ormai spartiacque: il 1980.
Si affrontano quarant’anni di sfide di rinnovamento non pienamente colte e condizionate, oggi, anche dal fatto che l’urto economico e sull’influenza effettiva delle parti sociali sia stato assorbito soprattutto grazie a servizi, come quello fiscale, sviluppatisi a partire dai primi anni Novanta, senza arrestare i processi di messa in discussione del riconoscimento sociale del sindacato.
Dopo il capitolo introduttivo, di natura storica e progettuale, il libro affronta il tema del modello di rappresentanza, da troppo tempo, secondo l’autore, immutato.
La domanda di partenza, essenziale in un sindacato associativo come la Cisl, è se, nella vita sindacale, la partecipazione sia effettivamente esercitata. Il testo si sofferma sulla necessità, in particolare nei settori più fragili e frammentati, di “catturare” non “spettatori passivi”, ma di incontrare, informare, motivare lavoratori e lavoratrici interessati alla propria e altrui emancipazione.
Nel proprio racconto “personale”, Buonerba si sofferma, ad esempio, sulle difficoltà di rappresentare, coinvolgere i lavoratori dell’artigianato dell’edilizia, cui il sindacato dà certamente alcune risposte attraverso la contrattazione territoriale e la bilateralità, ma che rimangono, troppo spesso, rappresentati di “serie B”.
Allargando il campo, la riflessione si concentra sul contratto collettivo che, pensato per il lavoro subordinato, in molti ambiti pare non essere più cogente con la realtà produttiva, considerata anche l’ampia autonomia attraverso la quale sempre più si definiscono le mansioni.
Un tema affrontato in “Oltre la marginalità” è quello della “contrattazione di sito” e della necessità di coordinare e rappresentare al meglio i lavoratori di stabilimenti o ambiti collettivi (ipermercati, aeroporti etc.) dove si applicano allo stesso tempo diversi Ccnl; situazione aggravata dall’eccessivo numero di contratti nazionali esistenti, dal crescente “shopping contrattuale” delle imprese e dai tanti, troppi contratti pirata.
Un modello possibile che viene proposto come esempio virtuoso è quello partecipativo della tutela della salute e sicurezza dove, se in una determinata unità produttiva operano più aziende, il committente è responsabile dell’intero ciclo produttivo. Ma nel testo ci si spinge oltre, ipotizzando una soluzione davvero coraggiosa: “classificare i lavoratori sulla base delle abilità professionali che acquisiranno durante l’intero ciclo della vita superando l’attuale sistema che si fonda appunto sulle mansioni”.
Secondo l’autore, il sindacato, se vorrà essere ancora un soggetto in grado di determinare i cicli economici, dovrà necessariamente rigenerarsi attraverso un sistema di rappresentanza che gli permetta di rispondere ai nuovi bisogni emergenti della società.
Se dovessimo riassumere il libro in uno slogan sarebbe questo: “ripartire, con la contrattazione, dai territori, dalla prossimità”.
L’idea, forte anche delle esperienze maturate durante la pandemia, è quella di un ecosistema contrattuale basato sulle “reti di impresa”, e su una contrattazione territoriale interconfederale in cui soprattutto sanità integrativa, previdenza complementare, formazione continua, investimenti in vero welfare aziendale caratterizzato da una profonda relazione sussidiaria con i sistemi istituzionali regionali, siano i capisaldi di un’infrastruttura di rappresentanza che riparta dalle persone e dal loro ciclo di vita.
Di fronte al dilagare delle disuguaglianze, Buonerba propone non l’idea di un “pronto soccorso sociale”, ma quella di una “partecipazione attiva ai processi di prevenzione nell’ambito del lavoro povero in espansione”. Per non rinunciare a esercitare la rappresentanza occorre reinventarla, in funzione di un nuovo modello contrattuale che dovrebbe essere riformulato attraverso una serie di obiettivi: “mettendo al centro la persona nel territorio in cui vive”.
Anche i servizi per Buonerba, possono essere essenziali se saranno ampliati al fine di redistribuire il reddito prodotto e ciò sarà possibile solo se: “il territorio sarà messo al centro dei processi di integrazione tra pubblico, privato e privato sociale”.
Il fulcro della proposta del volume sta proprio qui: nuove frontiere di rappresentanza e contrattazione all’interno di un modello di welfare che possiamo definire come “dell’investimento sociale” volto alla crescita dell’individuo nell’ambito della comunità.
In questo ambito, la mutualità, gli enti bilaterali e la sanità integrativa potrebbero essere uno strumento di sostegno a quei lavoratori che non avranno una prospettiva di una crescita rilevante dei lavoro salari in assenza di un mutato quadro del sistema contrattuale.
Una sfida che, nell’ambito della sanità integrativa, ancor più che in quello della previdenza complementare, vede la necessità di una maggiore trasparenza e controllo del legislatore, oltre che un collegamento sistemico e pienamente sussidiario con la sanità pubblica.
Anche la previdenza complementare e, più in generale, il welfare aziendale, devono profondamente ripensarsi, valorizzando, da un lato, gli investimenti in economia reale e dall’altro ampliando di molto il proprio raggio di azione, troppo sbilanciato nel Nord del paese e nelle imprese medio-grandi.
La riflessione del libro non può esimersi dall’affrontare la questione della formazione professionale e continua, a partire dalle quattro “c”: “critica, comunicazione, collaborazione, creatività”.
Molto interessante l’indicazione di investire sulle “Cci”, le “Comunità di conoscenza e innovazione” che sono luoghi fisici e virtuali per promuovere la cooperazione a livello locale tra il mondo universitario, industriale e istituzionale, valorizzando i corpi intermedi di ciascun territorio.
Buonerba propone poi di rivedere radicalmente l’assetto contemporaneamente troppo frammentato (a livello settoriale) e troppo accentrato (a livello territoriale) dei fondi interprofessionali per la formazione continua.
I contratti collettivi, inoltre, dovranno sì prevedere il diritto (anche soggettivo) alla formazione, ma anche la determinazione dei tempi, dei costi e del contenuto della stessa.
In sintesi, il sindacato ha la grande opportunità di giocare un ruolo importante nel futuro delle nostre società a condizione di una sua rigenerazione territoriale che lo renda un animatore di “comunità intraprendenti” e al tempo stesso si giochi nella dimensione delle comunità che fanno e si fanno impresa.
L’autore cita André Gide: “nessuno scopre nuove terre se non accetta di perdere di vista un po’ di spiaggia”, ed è consapevole della radicalità di alcune delle sue proposte, specialmente all’interno di una confederazione come la Cisl che fa, fin dalla propria fondazione, delle federazioni di categoria il proprio asse portante.
L’obiettivo dichiarato è quello di rafforzare la relazione esistente tra coloro che negoziano e coloro che sono i destinatari del negoziato, attraverso un’idea forza: un rapporto sussidiario e non gerarchico dei livelli della contrattazione e una governance delle organizzazioni che favorisca la partecipazione attiva degli iscritti, soprattutto in tempi in cui le sedi sindacali si frequentano sempre più per soddisfare un bisogno (di solito individuale) e sempre meno per sviluppare processi democratici o di semplice discussione.
L’autore ci ricorda che: “il futuro non si prevede, si costruisce, ma per costruirlo, attraverso un pensiero strategico, dobbiamo anticiparlo, imparando dai mega-trend, già oggi piuttosto indicativi” (si pensi solo alla questione della sostenibilità).
Se il sindacato sarà percepito dalle persone come il soggetto che si prende cura della loro salute, della loro formazione, della loro buona occupazione, del loro reddito e, in generale, del loro benessere, sarà in grado di dimostrare come le trasformazioni sociali, anche a livello globale, potranno essere, se non completamente condizionate, gestite e governate, avendo cura delle nuove vulnerabilità e valorizzando, “democratizzando” le nuove opportunità che: “esistono e vanno colte”.
Un testo: “Oltre la marginalità” immerso nel futuro, ma che si è nutrito di un filone antico di critica propositiva e di ripensamento progettuale sul fenomeno sindacale. Si pensi, solo per fare alcuni esempi, al celebre volume del 1977 di Bruno Manghi, edito dal Mulino: “Declinare crescendo. Note critiche all’interno del sindacato” o al testo di dieci anni dopo dello stesso autore: “Passaggio senza riti. Sindacalismo in discussione” (Edizioni Lavoro, 1987), fino al saggio di un intellettuale-sindacalista purtroppo ingiustamente dimenticato: Mario Zoccatelli: “L’innovazione difficile. Crisi e cambiamento nel sindacato italiano” (Edizioni Lavoro, 1989).
Infine una figura di grande spessore: operaio, sindacalista, intellettuale: Domenico Paparella. Un sindacalista cislino che, in un testo del 2008 (“Il divenire della Cisl. Il modello organizzativo ieri, oggi e domani”) aveva anticipato, almeno parzialmente, alcune delle intuizioni di Buonerba, in particolare sull’evoluzione delle strutture territoriali del sindacato e le relazioni che avrebbero dovuto intercorrere tra esse e lo sviluppo delle federazioni di categoria.
Se, in sintesi, l’azione collettiva deve fare i conti con la frammentazione delle esperienze e con la molteplicità delle condizioni, essa dovrà percorrere alcune precise linee di sviluppo: tenere insieme i diversi, accettare e valorizzare la citata frammentarietà delle condizioni, dare peso alle persone, alle loro capacità, ma anche alle loro aspirazioni e ambizioni.
Sono le sfide ambiziose per il sindacato del futuro che si costruiscono a partire dalle soggettività plurali, ma interconnesse, dei territori.
Sfide che, come ci hanno insegnato i nostri padri e i nostri maestri e, come è ben chiaro a Michele Buonerba e al suo preziosissimo testo, non possono essere solo “ipotizzate”, ma che vanno democraticamente e coraggiosamente discusse, continuamente aggiornate e, insieme, costruite concretamente, a partire dal nostro presente.
Francesco Lauria
Centro Studi Cisl