Abbiamo intervistato Michele Tiraboschi, professore di diritto del lavoro all’Università di Modena e Reggio Emilia, presidente di ADAPT (Associazione italiana per gli studi internazionali e comparati in diritto del lavoro e relazioni industriali) e direttore del Centro Studi Internazionali e Comparati “Marco Biagi”, sulla Garanzia Giovani, il Piano nazionale rivolto a tutti i giovani tra 15 ed i 29 anni che non studiano, non lavorano e non sono impegnati in nessun percorso formativo.
Questi dati possono essere letti da diversi punti di vista. In primo luogo evidenziano un problema di comunicazione, nonostante i numerosi fondi spesi a tale scopo. Che circa la metà dei giovani italiani non conosca questo strumento significa che non ha avuto la diffusione annunciata, non solo sui canali nazionali, ma anche e soprattutto su quelli locali. Possiamo però estrapolare un secondo ordine di riflessioni a partire da questi dati: uno dei problemi dei giovani italiani è l’inattività. Sappiamo infatti che circa l’85% dei giovani è senza lavoro e non lo sta cercando. Certo, molti sono a scuola, ma il dato resta comunque molto basso rispetto alla media europea e internazionale. Per questo è probabile che la scarsa conoscenza del piano Garanzia giovani sia data anche dal fatto che pochi di loro cercano un lavoro e, quando lo fanno, non passano dai canali istituzionali, che potrebbero parlagli del piano, ma da una rete di conoscenze e passaparola che oggi non è più in grado di consentire un vero incontro tra domanda e offerta.
Nel dibattito sul mercato del lavoro si parla molto di Art.18, molto meno di Garanzia Giovani: perché?
Il dibattito italiano sul mercato del lavoro risente molto di categorie ideologiche ancora presenti nella mentalità comune. I media non aiutano su questo, continuando ad incentrare articoli, commenti e polemiche sul tema dei licenziamenti quando ormai è un problema più che secondario. Penso che si parli poco di Garanzia giovani perché non si è colta la vera portata del piano, ossia che non è solo una serie di incentivi per l’assunzione dei giovani, ma una vera sfida per aumentarne l’occupabilità. È come se nel dibattito non si riuscisse mai ad andare oltre una visione di superficie, si parla infatti molto di politiche attive del lavoro, accusando l’Italia di non svilupparle a dovere, ma non appena ci viene offerta (con Garanzia giovani) la possibilità e la copertura finanziaria per metterle in pratica tutto tace, e nessuno se ne interessa.
Lei ha scritto che a fare le spese del malfunzionamento di Garanzia Giovani saranno gli stessi under30 italiani. Un’occasione perduta per le nuove generazioni? E che conseguenze ci saranno?
Al momento i giovani stanno già pagando il malfunzionamento del piano. Circa 150mila dei 200mila iscritti al piano non sono ancora stati contattati neppure per un primo colloquio informativo, questo porta ad un aumento della sfiducia nei confronti delle istituzioni e del mercato del lavoro stesso. Non giustifico certo il gran numero di giovani inattivi ma credo che mettere decine di migliaia di ragazzi in fila davanti ad una porta chiusa non sia stata una scelta saggia. Credo che il fallimento di Garanzia giovani sarebbe un’occasione perduta soprattutto per il nostro Paese, oltre che per la generazione degli under 30. Come ho detto, infatti, il piano europeo è, e rimane, una delle più grandi opportunità per modernizzare il sistema delle politiche attive del lavoro. Senza canali che sappiano aiutare l’incontro tra domanda ed offerta è difficile pensare che la presenza di incentivi economici possa da sola favorire l’aumento di occupazione. La conseguenza più grave sarebbe proprio quella di aumentare il numero di giovani che hanno studiato ma che non riescono a trovare imprese e realtà pronte ad investire su di loro.
Adapt e Repubblica degli Stagisti hanno promosso un monitoraggio online sulla Garanzia Giovani. Come sta andando? E quali dati emergono?
Il sondaggio è iniziato da pochi giorni e l’andamento è molto positivo. Al momento possiamo rilevare come l’attuazione di Garanzia giovani nelle diverse zone d’Italia si stia svolgendo in un clima di grande confusione. Dalle prime storie raccolte abbiamo racconti grotteschi di giovani la cui iscrizione al piano è stata cancellata inspiegabilmente dopo alcune settimane, giovani a cui è stato chiesto di trovare loro aziende presso cui farsi assumere, zone d’Italia nelle quali non è presente nessuna impresa che ha presentato offerte di lavoro tramite il piano europeo. Ci auguriamo che le testimonianze dei giovani possano spronare regioni e Ministero a un miglior funzionamento del piano, a partire dal portale nazionale, rispetto al quale ADAPT ha presentato un decalogo per risolvere numerosi problemi riscontrati.
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