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Bollettino ADAPT 19 ottobre 2020, n. 38
Con una risoluzione non legislativa adottata pochi giorni fa, il Parlamento Europeo ha esortato gli Stati della Unione a sfruttare appieno la garanzia europea per i giovani. In particolare, il Parlamento Europeo ha condannato la pratica dei tirocini non retribuiti, “che costituisce una forma di sfruttamento del lavoro dei giovani e una violazione dei loro diritti”, e invitato la Commissione a presentare un quadro giuridico che sia efficace e applicabile per la messa al bando di tali pratiche.
Le intenzioni dei parlamentari europei sono chiare e lodevoli, almeno in linea teorica. E la politica ha vinto la sua battaglia, quella di poter dimostrare, carte alla mano, di essere dalla parte dei giovani. La realtà, tuttavia, è molto più complessa e l’esperienza dei primi sei anni di “Garanzia Giovani” pare in realtà aver documentato, almeno in Italia e in parallelo con le normative regionali di implementazione dell’equo indennizzo per gli stage extracurriculari promosse dalla legge Fornero (vedi AA.VV., La regolazione dei tirocini formativi in Italia dopo la legge Fornero L’attuazione a livello regionale delle Linee-guida 24 gennaio 2013: mappatura e primo bilancio, ADAPT Labour Studies e-Book series n. 16/2013), l’esistenza di un grossolano equivoco di fondo. Quello di aver confuso un prezioso strumento di formazione e orientamento al lavoro basato sul metodo della alternanza con un vero e proprio contratto di inserimento al lavoro. Lo documenta non solo la “paghetta” per il tirocinante – che oscilla tra i 300 e gli 800 euro da Regione a Regione, alla faccia del tentativo di uniformazione sull’intero territorio nazionale che era poi il motivo ispiratore dell’intervento del legislatore nazionale in una materia di competenza regionale – ma anche il contenuto di una buona parte delle offerte di lavoro che, come con perseveranza documentiamo su Twitter (vedi da ultimo qui), riguardano spesso attività lavorative puramente esecutive e prive di qualunque valenza in termini di occupabilità dei giovani (scaffalisti, magazzinieri, commessi, banconisti, camerieri, bidelli, ecc.) che in buona parte sono coperte coi fondi pubblici del programma Garanzia Giovani.
Di questo equivoco avevamo subito parlato in fase di implementazione della legge Fornero (vedi M. Tiraboschi, Stage confusi con l’avvio al lavoro, in Il Sole 24 ore del 23 ottobre 2013), come subito avevamo segnalato il possibile effetto boomerang della linee guida Stato – Regioni in materia di tirocini (M. Tiraboschi, I troppi rischi di una scelta che può rivelarsi inadeguata, in Il Sole 24 Ore del 5 gennaio 2013), che avrebbero non solo legittimato ma anche incoraggiato comode vie di sfruttamento del lavoro giovanile, innescando una garbata polemica col Ministro Fornero che era intervenuta (sempre sul Sole 24 Ore del 12 gennaio 2013) in difesa delle buone ragioni della sua riforma.
Di questo equivoco pare, in realtà, se ne siano accorti il Governo e le stesse Regioni che hanno iniziato a non alimentare più, almeno in forma accessibile da parte di terzi, i costosi e oggi inutili portali pubblici di “Garanzia Giovani” con le centinaia di miglia di offerte di “lavoro” mediante il “contratto di stage” a pochi euro che abbiamo puntualmente mappato in questi sei anni di sperimentazione e di cui queste istituzioni non possono certo andare fiere. Eppure questi annunci si trovano in rete, come li trovano i nostri giovani costretti a passare da questo giogo per entrare in contatto col mondo del lavoro. La nuova “tipologia contrattuale” “Garanzia Giovani” (come si legge in qualche annuncio quando si parla di stage) è oramai un tópos del nostro mercato del lavoro. E forse è anche il prezzo che la cattiva politica accetta di pagare quando, con tanta ipocrisia, dopo aver abolito il contratto di inserimento al lavoro della legge Biagi tiene viva una assurda battaglia contro il lavoro a tempo genuino.
Dopo tanti anni di delusioni e denunce cadute nel vuoto ci pare allora inutile sottolineare, una volta ancora, le illusioni della politica e ricordare che la qualità dei tirocini dipende non dalla “paghetta” ma dall’orientamento e dalla formazione dei giovani che non può non passare da una seria selezione dei soggetti abilitati alla loro attivazione e dalle attività di monitoraggio e certificazione degli esiti dei relativi piani e percorsi formativi. Una domanda però deve essere fatta e lo spunto ce lo ha dato la rilettura del volume dei coniugi Webb sulla storia del movimento sindacale recentemente proposta da Matteo Colombo ai lettori bollettino ADAPT (si veda M. Colombo, Rileggendo i classici del lavoro/4 – Apprendistato e rappresentanza nella “Storia delle unioni operaie” dei coniugi Webb, in Bollettino ADAPT del 12 ottobre 2020, n.37). Ebbene, perché il sindacato italiano non avvia al suo interno una riflessione di sistema e non fa sentire con più forza la sua voce sull’uso dei tirocini extracurriculari e sui tanti abusi a cui ha dato luogo il programma Garanzia Giovani?
Il punto, sia chiaro, non è quello di avviare una sterile e antipatica polemica con il sindacato, di cui riconosciamo il valore e l’importanza. E non si può negare che il sindacato sia una delle poche voci che denuncia l’abuso dello strumento, ma sempre a mezza voce perché non è facile prendere posizione contro uno strumento pensato per i giovani anche quando, nella sua pratica attuazione, alimenta sotterraneamente un mercato parallelo di manodopera invisibile e a basso costo. La storia insegna infatti che quello dei tirocini, sebbene riguardi soggetti formalmente privi di una occupazione, non è un capitolo secondario o marginale della tutela del lavoro nel suo complesso e nella sua complessità oltre la dimensione individuale di ciascuna singola esperienza di stage che può essere esaltante quanto mortificante. Proprio la storia del movimento sindacale dei coniugi Webb ci ricorda infatti, in contrapposizione frontale rispetto alle comode illusioni generate dalla politica, che le lotte più dure per affermare l’esistenza del sindacato come istituzione di regolazione del mercato del lavoro e determinazione dei salari non sono passate solo dal contrasto alle leggi che vietavano la colazione sindacale. Un capitolo centrale è sempre stato il controllo e la neutralizzazione dei tirocini di allora con cui le imprese cercavano di ridurre il costo del lavoro e paralizzare le rivendicazioni collettive al rispetto della regola comune.
Il rilancio del programma Garanzia Giovani impone l’avvio in Italia di un franco e onesto dibattito pubblico sugli stage. Sugli stage curriculari, svolti quando ancora i giovani sono inseriti nei percorsi educativi e formativi e che per questo sono la via maestra per l’occupabilità, e ovviamente anche sugli stage extracurriculari che sono i più delicati e abusati. E in questo dibattito il sindacato deve avere un ruolo centrale in una stagione che impone forti investimenti sulla formazione e le competenze delle persone. Una sfida tutta nuova perché impone probabilmente il passaggio dalla funzione meramente regolatoria e normativa del contratto collettivo di categoria a quella di strumento per la costruzione dei nuovi mercati del lavoro (che spesso sono mercati locali non nazionali) dove il ruolo dei tirocini è centrale anche rispetto al delicato rapporto con l’apprendistato il cui mancato decollo, almeno nella componente più nobile, è ancora una volta una questione sindacale e di concezione dell’essere e fare rappresentanza e non certo un puro problema di regole e divieti (in tema vedi M. Tiraboschi, Apprendistato e mestieri: una lezione dal passato per la IV Rivoluzione industriale, in Bollettino speciale ADAPT n. 2/2019).
Michele Tiraboschi
Coordinatore scientifico ADAPT
@MicheTiraboschi