Una «novità straordinaria» con un «bacino potenziale» di «900 mila giovani» che «nell’arco di 24 mesi riceveranno un’opportunità di inserimento» nel mondo del lavoro.
Parlava così il ministro del Welfare, Giuliano Poletti, all’inizio di aprile, 30 giorni prima del lancio ufficiale di Garanzia Giovani, il piano europeo rivolto ai Paesi con un tasso di disoccupazione giovanile superiore al 25%. Obiettivo: assicurare a chi non studia, non è impiegato e non è inserito in un percorso formativo (i cosiddetti Neet) un’offerta di lavoro, apprendistato o tirocinio entro quattro mesi dal termine degli studi o dall’inizio della disoccupazione.
In Italia partenza in salita. Un progetto ambizioso che costerà a Bruxelles 6 miliardi di euro. Di questi, 1,5 miliardi saranno stanziati per l’Italia, che ha deciso di alzare l’asticella e coinvolgere i giovani fino a 29 anni, mentre nello schema comunitario il meccanismo è previsto per gli under 25. Nel nostro Paese, dove i fondi saranno distribuiti in base al tasso di disoccupazione delle diverse aree, quello dello Youth Guarantee è stato un inizio decisamente in salita. Messo da parte il ritardo nello start concordato dal governo di Enrico Letta con l’UE, Garanzia Giovani sarebbe dovuto partire a marzo il problema si è trasferito sul fronte delle Regioni, le quali, salvo poche eccezioni, hanno dilatato i tempi per la firma delle convenzioni.
Solo 87 le aziende finora coinvolte. A quasi due mesi di distanza dal via, stando a quanto scritto nel report ministeriale pubblicato il 19 giugno sul sito garanziagiovani.gov.it, il numero di iscritti al programma ha raggiunto quota 89.809 (47.792 uomini e 42.017 donne). La nota dolente riguarda però il totale delle imprese finora coinvolte: appena 87 per un totale di 579 posti a disposizione. Per ora Poletti non sembra preoccupato dalle cifre, anche perché la sua intenzione è quella di chiedere all’Europa la possibilità di allargare lo Youth Guarantee anche agli studenti. «I rettori», ha spiegato a questo proposito l’ex numero uno di Legacoop il 20 giugno scorso al Senato, «ci hanno posto il problema di valorizzare i tirocini per i ragazzi che frequentano l’università». Regioni in ritardo: sette non hanno ancora un piano di attuazione Il piano Youth Guarantee è nato per agevolare l’entrata nel mondo del lavoro dei giovani. I problemi principali restano comunque legati ai ritardi accumulati dalle Regioni, che nell’ottica di Garanzia Giovani rappresentano lo snodo con i centri di pubblico impiego. Un recente monitoraggio del piano messo nero su bianco da ADAPT, l’associazione fondata da Marco Biagi che elabora studi sul lavoro, sottolinea come in queste regni il caos e siano ancora troppo poche quelle in grado di dare risposte effettive alle migliaia di ragazzi registrati.
«Fallimento? no, ma cè tanto da fare». Si può già parlare di un flop totale? «Rimane unopportunità che non possiamo permetterci di perdere», dice a Lettera43.it Giulia Rosolen, ricercatrice ADAPT e responsabile del gruppo di ricerca su Garanzia Giovani, ma «il rischio di un fallimento è elevato se non si agisce in tempi brevi». In che modo? «Occorre una riforma dei servizi per il lavoro che traduca in fatti concreti le indicazioni europee, maggiore chiarezza sugli incentivi alle imprese che assumono e una valorizzazione dell’apprendistato quale canale formativo, che non deve essere confuso con i tirocini come stanno facendo molte Regioni», aggiunge Rosolen.
«Fuori gioco imprese e parti sociali». Ma il rallentamento nello sviluppo dello Youth Guarantee è stato dovuto anche a un corto circuito comunicativo fra ministero, imprese e parti sociali. Questi ultimi due soggetti, sostiene Rosolen, «non sono stati coinvolti a sufficienza». Ciò ha portato a «una disomogeneità evidente fra opportunità e numero di domande». Per questo «bisogna creare delle sinergie in modo da coinvolgere le aziende, soprattutto quelle di piccole dimensioni, informandole sui contenuti del progetto: se si consulta il portale di Garanzia Giovani curato dal ministero ci si rende conto che i pochi inserimenti di offerte di lavoro sono quelli delle agenzie per il lavoro».
L’incapacità di fare rete. Il problema è stato dunque la fase di partenza di Garanzia Giovani. «A luglio 2013», spiega ancora la ricercatrice ADAPT, «è stata istituita una struttura di missione di stampo pubblicistico che ha lavorato ininterrottamente fino alla fine dell’anno per elaborare il piano nazionale di attuazione. In quella fase di progettazione occorreva coinvolgere di più il mondo del lavoro, le parti sociali, gli operatori privati. Fare sistema. Ora stiamo pagando il prezzo dell’incapacità di fare rete con le difficoltà di rendere operativo quel disegno che rischia di rimanere un castello di carta».
L’esempio francese. Inoltre, stando a quanto afferma Rosolen, il percorso sarebbe potuto essere un altro: «La Francia è partita con una sperimentazione limitata ad alcuni territori per capire il funzionamento del progetto per poi apportare le modifiche necessarie a espanderlo su scala nazionale. Forse la nostra ambizione è stata eccessiva: volendo fare troppo rischiamo di non fare niente».
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Garanzia giovani, ritardi nel progetto