“Se vogliamo che tutto rimanga com’è, occorre che tutto cambi”. Questa sembra essere la linea seguita dal Jobs Act, in materia di Garanzia Giovani. Nessuna delle novità “semplificatrici” che in molti si aspettavano, hanno trovato posto nel Jobs Act. Il nuovo esecutivo si è, infatti, impegnato a dare seguito all’attuazione del Piano Nazionale definito sotto il Governo Letta, apportando solo quale “correzione a margine” per “garantire una più efficace attuazione del piano”.
Prima di entrare nel dettaglio delle modifiche introdotte, facciamo un passo indietro, per capire il contesto in cui queste vanno ad inserirsi ed avere un quadro più nitido dello stato dell’arte. Il 22 aprile scorso, il Consiglio dell’Unione Europea, ha adottato su proposta della Commissione, la Raccomandazione istitutiva del Sistema di Garanzia per i Giovani, impegnando gli Stati Membri a garantire ai giovani di età inferiore ai 25 anni, un’opportunità di lavoro o formazione entro 4 mesi dall’inizio della disoccupazione o dall’uscita dal sistema di istruzione formale. Si tratta di una misura di politica attiva che mira, quindi, per sua natura, non a creare posti di lavoro, ma a favorire l’occupabilità delle persone, attraverso la predisposizione di un sistema di servizi personalizzati, volti a gestire in un’ottica di placement, il tema delle “transizioni”. L’obiettivo è “l’attivazione” dei giovani NEET, ossia di quel gruppo di ragazzi che non studiano e non lavorano. A questi ragazzi guarda, cercando di dare delle risposte concrete, il piano europeo quando, attraverso l’individuazione di precisi step operativi, chiede agli Stati Membri di agire in fretta, predisponendo dei piani nazionali dettagliati per l’attuazione della Garanzia. Con l’obiettivo di dare seguito agli impegni comunitari, il nostro Paese ha istituito un’apposita Struttura di Missione (art. 5, D.L. 76/2013) a cui ha affidato il compito di porre in essere gli adempimenti preliminari all’attuazione della Garanzia nei territori. Si è cosi definito di concerto con le Regioni e con le Parti sociali, il Piano Nazionale di Attuazione, che lo scorso dicembre è stato presentato alla Commissione Europea e che attende ora di essere implementato nei territori sulla base delle linee guida in esso individuate. Successivamente, lo scorso 20 febbraio, il Governo ha raggiunto con le Regioni un accordo nell’ambito del quale sono state individuate le Linee guida per la definizione di una Piattaforma telematica nazionale per la gestione delle operazioni di registrazione dei ragazzi alla Garanzia.
Cosa è cambiato, dunque, rispetto al disegno originario? Le novità ci paiono enucleabili in 4 punti:
1. Innanzitutto si è allargato il target: i giovani coinvolti paiono essere non più i soli under 25 ma gli under 29. Si tratta di una previsione certo coerente rispetto al contesto italiano, nel quale rispetto al resto d’Europa, l’età media di conseguimento del titolo di laurea si aggira attorno ai 26 anni, ma che desta qualche perplessità. Invero anche il Governo precedente aveva previsto un possibile innalzamento della soglia a 29 anni dopo almeno sei mesi dall’avvio del Piano. La prudenza era giustificata dall’osservazione che l’ampiamento della forbice dell’età accorcia la coperta delle risorse, che rimangono invariate, mettendo a rischio le possibilità di garantire servizi di qualità all’universalità della platea. Si pone poi un ulteriore problema. Attualmente le Province Autonome di Trento e Bolzano, così come le Province Venete di Treviso, Padova e Verona, sono escluse dal Piano, in quanto presentanti per il range di età 15-24 anni un tasso di disoccupazione inferiore alla soglia del 25% fissata per l’accesso alle risorse del fondo YEI, ma che ora, con l’estensione della platea dei beneficiari potrebbero tornare in corsa rivendicando il loro diritto di partecipazione al piano di suddivisione delle risorse.
2. Attraverso l’eliminazione del requisito del domicilio quale condizione per usufruire delle azioni di politica attiva erogate dai servizi competenti e l’impegno a garantire la parità di trattamento alle persone in cerca di occupazione, indipendentemente dal luogo di residenza, si sono poste le basi per una gestione più equa ed efficiente delle pratiche intermediative, capace, almeno sulla carta, di premiare chi raggiunge davvero il risultato. Anche qui, le previsioni ci paiono ampiamente condivisibili in via di principio, ma dal punto di vista dell’operatività, ci sembra difficile ipotizzare che lo spostamento di fondi da una Regione ad un’altra avvenga senza alcuna difficoltà o appesantimento burocratico. E’ questo, non a caso, uno dei punti critici sollevati dalle Regioni al nuovo Ministro del lavoro nel corso del loro ultimo incontro, che non è servito per la stipula delle necessarie convenzioni per l’avvio del Piano.
3. Un’altra “novità” riguarda il posticipo dell’apertura del Portale telematico nazionale al 1 maggio 2014. Qui, a lasciare perplessi non è tanto la proroga del termine, che tutti ci immaginavamo, quanto piuttosto la conferma, senza variazioni, della “procedura”. Potremo scrivere pagine intere sulla complessità della Piattaforma, sulla ridondanza delle informazioni che vengono richieste e sulla macchinosità del meccanismo di registrazione (chi ci ha provato afferma che per portare a compimento l’iscrizione al portale ci vorrebbe un tempo compreso tra i 30 e i 45 minuti), ma l’aspetto che maggiormente ci lascia dubbiosi riguarda proprio la scelta di individuare nella registrazione al Portale il presupposto per l’accesso alla Garanzia. Una scelta che non ci pare funzionale rispetto ai destinatari e all’obiettivo della loro attivazione. E’ proprio l’approccio alla questione, più attento alle procedure che ai risultati, che ci pare discutibile. Se il fulcro del piano è davvero costituito da quel milione e mezzo (ovvero due milioni e trecento mila se consideriamo gli under 29) di ragazzi che non studiano e non lavorano, si sarebbe dovuto partire da loro, dalle loro caratteristiche per raggiungerli, intercettarli e rispondere poi in maniera efficiente ai loro bisogni. Se a loro si fosse guardato davvero, ci si sarebbe accorti che dietro alla loro inattività si nascondono spesso storie di disagio ed esclusione sociale foriere di uno scoraggiamento innanzi al quale una Garanzia così concepita davvero poco può. Secondo una recente indagine condotta su vasta scala a livello transnazionale da Eurofound il gruppo dei NEET è infatti composto da soggetti con caratteristiche diverse: tra questi vi sono i giovani disabili, i giovani con un background di immigrazione, i giovani con un basso livello di istruzione, i giovani i cui genitori sono stati o sono disoccupati o che a loro volta hanno un basso livello di istruzione. Va da se che ognuno di essi presenta esigenze diverse, a cui non si può pensare di rispondere in modo indifferenziato, attraverso una generalizzata “presa in carico” a cui far corrispondere un pacchetto standard di servizi, per di più corrisposti conseguentemente ad un’astrusa procedura telematica di registrazione.
Anche in questo caso, infine, le Regioni sono il “convitato di pietra” degli slogan presentati ieri. Non è mistero, infatti, che i tecnici dei territori abbiano più di qualche dubbio sull’infrastruttura informatica, che non dialoga (per ora) con quelle regionali.
4. Veniamo all’ultimo punto, che è anche forse quello più significativo. Si prevede che le funzioni ad oggi svolte dalla Struttura di Missione “passino” alla costituenda Agenzia Nazionale Unica per la gestione delle politiche attive e passive ponendo così le premesse per la realizzazione di un più efficiente sistema di servizi per il lavoro basato su una più stretta sinergia tra operatori pubblici e privati. Nella nuova struttura dovrebbero essere coinvolte anche le Parti Sociali. Si tratta senz’altro di un passo in avanti voluto da tutte le forze politiche. Peccato che nel Piano presentato ieri non si entri nel merito individuando nel dettaglio la composizione dell’Agenzia e i tempi di attuazione.
In particolare nell’attuazione della Garanzia Giovani, andavano maggiormente coinvolti gli uffici di placement di scuole e università, oltrechè tutte quelle realtà che seppure in forma deformalizzata, svolgono attività volte a facilitare l’incontro tra domanda e offerta, agendo da facilitatori delle transizioni. La sensazione è che si sia persa, di nuovo, un’occasione per cambiare rotta. Ci aspettavamo scelte più decise e innovative, per esempio un rilancio dell’apprendistato di I e III livello, non tanto in una prospettiva di semplificazione ma di investimento nella loro diffusione soprattutto in quei settori dove si svilupperanno i lavori e le competenze del futuro.
Presidente di ADAPT
@E_Masssagli
Scuola internazionale di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro
ADAPT-CQIA, Università degli Studi di Bergamo
@GiuliaRosolen