Considerazioni a margine del convegno internazionale ADAPT – UNIBG “Il futuro del lavoro: una questione di sostenibilità”,
Bergamo 10-11 novembre 2016
Il VII Convegno Internazionale dal titolo “Futuro del lavoro: una questione di sostenibilità” organizzato dalla Scuola di Dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro, promossa dall’Università degli Studi di Bergamo e da ADAPT, si è svolto l’11-12 novembre a Bergamo.
In una delle sezioni del convegno si è discusso di geografia e lavoro in un mondo che cambia. Sono intervenuti vari ricercatori nel ruolo di relatori o discussant: Sergio Zilli (Università degli Studi di Trieste), Giuditta Alessandrini (Università degli Studi Roma Tre), Fabrizio Ferrari (Università degli Studi G. D’Annunzio), Alessandra Ghisalberti (Università degli Studi di Bergamo), Michele Tiraboschi (Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia) e Emanuela Casti (Università degli Studi di Bergamo). Il panel è stato moderato da Federica Burini (Università degli Studi di Bergamo).
L’obiettivo è stato quello di far emergere il ruolo strategico che assumono oggi le città di fronte alla mondializzazione e in relazione alla quarta rivoluzione industriale e alla riconfigurazione del mondo del lavoro. Da un lato, le tradizionali distinzioni tra funzione urbana e non urbana si stemperano difronte alla mobilità e alla interconnessione dei suoi cittadini; dall’altro, le imprese non possono più essere considerate nella loro materialità, ovvero costrutti di accommodation, ma vengono assunte come un insieme di reti di imprese e di capacità che possono produrre distretti di conoscenza che si costruiscono a partire da un substrato sociale e culturale e territoriale specifico per ogni territorio.
Dunque, la sfida è quella di comprendere come le conurbazioni urbane possano organizzare e valorizzare i saperi, i mestieri e le competenze imprenditoriali all’interno della rete mondiale, proiettandoli verso l’innovazione tecnologica e verso una dimensione che non sia esclusivamente locale ma, viceversa, globale.
Sebbene assai variegati, gli esempi portati alla sessione sono stati: il riordino amministrativo urbano in Italia e l’impatto sulla geografia del lavoro; i flussi di pendolarismo; lo spazio urbano come tela di fondo dell’innovazione contemporanea della mobilità degli immigranti; il recupero delle competenze; la nuova geografia del lavoro.
Sergio Zilli ha sottolineato il fatto che ogni evento attinente al mercato economico e alla regolamentazione produce e modifica il territorio. Facendo un excursus storico delle leggi che regolamentano la suddivisione territoriale in Italia e portando l’esempio dell’obsolescenza della definizione dei Sistemi Locali del Lavoro dell’Istat (611 unità), ovvero quei luoghi in cui “la popolazione risiede e lavora e quindi indirettamente tende a esercitare la maggior parte delle proprie relazioni sociali e economiche”, ha evidenziato che il reticolo amministrativo attuale italiano (Stato, Regioni, Province, Comuni e le città metropolitane) non coglie, se non in parte, le esigenze della popolazione e del territorio.
Fabrizio Ferrari ha relazionato su come si distribuisce territorialmente la popolazione e come il lavoro sia uno dei principali vettori per la modifica dell’organizzazione del territorio. Ha poi mostrato come i Sistemi Locali del Lavoro (SLL) rappresentano una griglia territoriale i cui confini, indipendentemente dall’articolazione amministrativa del territorio, sono definiti utilizzando i flussi degli spostamenti giornalieri casa/lavoro (pendolarismo). Mediante il caso di studio del pendolarismo per lavoro in Abruzzo, ha mostrato come i recenti mutamenti sul piano economico si siano tradotti in una crescente attrazione dei centri maggiori tanto da rendere la regionalizzazione funzionale sempre più polarizzata.
Alessandra Ghisalberti ha affrontato il tema dell’immigrazione cinese a Bergamo recuperando la territorialità come manifestazione delle radici culturali della diaspora, che si esprime tramite rappresentazioni multi-scalari. Il territorio costruito dall’immigrazione cinese, infatti, esibisce la propria identità mediante simboli e artefatti che pur nella loro aleatorietà, rimandano ai valori della diaspora. Quest’ultima recupera ciò che il cambiamento e l’esperienza della mobilità producono in un insieme di rappresentazioni che variano nel tempo e nello spazio. Tener conto delle specificità culturali derivanti dalla diaspora è importante per costruire una società multiculturale.
Un tema trasversale alla sessione ha riguardato il recupero delle competenze. Giuditta Alessandrini ha sostenuto il bisogno urgente di ampliare la dimensione interpretativa della nozione di competenza a fronte dei cambiamenti del mercato del lavoro. Mentre a livello europeo si sottolinea l’importanza delle competenze intese come skills, la tendenza reale è quella della convergenza tra la formazione professionale e l’adult education, dove l’apprendimento è un processo che perdura per tutta la vita ed è legato alla employability, differente dal passato dove l’adult learning era un settore a sé stante. Inoltre, le competenze vengono acquisite non solo nella vita lavorativa ma anche in quella privata.
Infine, la sessione ha offerto alcuni spunti di riflessione critica sulla nuova geografia del lavoro. A tale proposito Michele Tiraboschi ha posto un provocatorio interrogativo: dove ci porterà la grande trasformazione del lavoro in atto? Mediante la rete superiamo lo Stato-nazione. Le fabbriche perdono la loro funzione di localizzazione del lavoro, proiettandosi sui territori e diventando i nuovi luoghi che aggregano le persone e le tecnologie, ovvero gli hub dell’innovazione. Inoltre, i competence center potrebbero essere sedi di agglomerazioni che diventano dei facilitatori dell’innovazione.
Emanuela Casti è intervenuta sottolineando l’importanza di poter rappresentare questo nuovo scenario. Con la nuova geografia del lavoro superiamo la dimensione areale e recuperiamo la mobilizzazione di reti locali e globali, prospettiamo una nuova idea di urbano, in quanto il lavoro è profondamente legato al territorio. Quest’ultimo non può più essere definito da confini, ma deve essere prospettato mediante la sua funzionalità policentrica e reticolare. Ciò si scontra con la tradizionale rappresentazione topografica basata sui confini che oggi costituisce la principale difficoltà nel cogliere il cambiamento in atto nella geografia del lavoro. Conclude affermando che saremo in grado di padroneggiare il fenomeno della mondializzazione solo nel momento in cui saremo in grado di rappresentarlo.
Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro
Università degli Studi di Bergamo