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Bollettino ADAPT 28 novembre 2022, n. 41
In Regione Campania, tra il 2014 e il 2019, sono stati avviati quasi 120mila tirocini cosiddetti extracurriculari, cioè al di fuori dei percorsi scolastici e universitari. Un numero enorme se rapportato ai dati regionali sull’occupazione, in particolare giovanile. Nel 2021 il tasso di occupazione regionale è stato pari al 41,3% (28% nella fascia 15-34 anni), il tasso di disoccupazione al 19,7% (31,9% nella fascia 15-34 anni) e la popolazione attiva al 51,5% (41,1% nella fascia 15-34 anni).
Analizzando questi numeri si può affermare che il tirocinio sia diventato lo strumento più diffuso per l’ingresso dei giovani campani nel mercato del lavoro. E così è anche grazie alla scelta di Regione Campania di liberalizzare ampiamente lo strumento con attenzione più alla finalità occupazionale che a quella formativa propria del tirocinio quantomeno se proposto a un giovane nel passaggio dalla scuola al lavoro.
La conseguenza di questa scelta è stata la proliferazione di tirocini di dubbia natura e utilità, a cui le imprese ricorrono non per investimenti formativi ma, spesso, per fuggire dal lavoro subordinato, con ricadute nefaste sull’intero tessuto produttivo regionale. Dal lato imprenditoriale, infatti, l’utilizzo degli stage per mascherare rapporti di lavoro dipendente costituisce una pratica di concorrenza sleale, mentre, dal lato dei lavoratori, la possibilità accordata alle imprese di ingaggiare manodopera a basso costo, grazie anche alle agevolazioni del programma europeo “Garanzia giovani”, lungi dall’essere una misura volta all’inserimento nel mercato del lavoro dà luogo a vere e proprie sacche di lavoro povero e senza diritti, caratterizzate da precarietà e brevità dei rapporti.
È da sottolineare anche che, in un mercato del lavoro con un tasso di occupazione particolarmente basso, le imprese possono in ogni momento trovare sul mercato nuovi tirocinanti senza mai assumere dipendenti, generando una “guerra tra poveri” e cioè tra quanti, bisognosi di lavorare, sono disposti ad accettare anche rapporti di breve durata e senza diritti.
La massiccia diffusione dei tirocini in Campania non è dunque un investimento sul futuro e questo spiega lo scarso impatto su due fenomeni che caratterizzano, in negativo, la regione e le prospettive per il futuro: emigrazione giovanile e lavoro nero. A tal fine, dunque, sarebbe necessaria una drastica inversione di tendenza. E perché questo accada è necessario un intervento istituzioni nazionali ma anche regionali che ripensi in modo radicale il sistema di ingresso dei giovani nel mercato del lavoro. Se necessario anche arrivando all’abolizione dei tirocini. In un contesto come quello campano, infatti, solo una misura del genere, abbinata al rilancio del contratto di apprendistato come strumento principale di inserimento nel mercato del lavoro, potrebbe essere utile a garantire i diritti della persona che lavora ed evitare possibili abusi.
Scuola di dottorato in Apprendimento e innovazione nei contesti sociali e di lavoro
ADAPT, Università degli Studi di Siena