Giovani, Terzo Settore e Industria 4.0

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Lo scorso 1 e 2 febbraio, a Milano, si è svolta la XIII convention del Gruppo Cooperativo Gino Mattarelli (CGM), dal titolo “Tutta un’altra impresa! Sociale, Creativa, Sostenibile”. Il focus, come è possibile evincere dal titolo stesso, è stato rivolto alla “nuova” impresa sociale che viene oggi a giocare un ruolo di primo piano all’interno del variegato mondo del Terzo Settore, anche e soprattutto alla luce del processo di riforma normativo che il legislatore ha messo in atto.

 

Tante sono state le tematiche trattate durante le varie sessioni, plenarie e parallele, tenutesi durante le due giornate: dall’inclusione di soggetti svantaggiati alla generazione dell’impatto sociale, dalla finanza sociale alla rigenerazione degli spazi urbani e territoriali, dal lavoro al rapporto tra cooperazione sociale e welfare aziendale, tematiche tutte che ben si muovono all’interno del c.d. paradigma dell’economia civile. Tra i vari interventi, particolare interesse ha suscitato quello del prof. Stefano Zamagni, che ha provato a focalizzare l’attenzione sul ruolo della cooperazione sociale all’interno delle sfide che ci vengono poste dalla grande trasformazione in atto.

 

La tesi di fondo dell’intervento dell’economista civile è che “nel prossimo futuro, l’impresa sociale e la cooperazione sociale conosceranno un nuovo Risorgimento”. La cooperazione rappresenta infatti, il modello migliore per realizzare la IV Rivoluzione industriale e, allo stesso tempo, garantire sviluppo economico, sociale e innovazione. A detta di Zamagni, quella che stiamo vivendo è una vera e propria grande trasformazione di tipo polanyiano (sul tema si veda: F. Seghezzi, La nuova grande trasformazione. Lavoro e persona nella quarta rivoluzione industriale, ADAPT University Press, 2017). Stiamo, in pratica, vivendo il passaggio dalla seconda modernità alla post-modernità, dettata dalla fine del neoliberismo, inteso come ciclo storico. La crisi del 2008 ha messo in luce tutte le fragilità di un sistema economico basato, da un lato, sullo scambio finanziario che ha generato quella grande ed illusoria euforia che ha portato ad investire non tanto sul capitale fisico, quanto piuttosto sul capitale finanziario e, dall’altro lato, sul neoconsumismo, ovvero il consumo infinito, a debito. La crisi, in pratica, ha avuto l’onere di sciogliere le ultime resistenze del neoliberismo.

 

Ma cosa c’è dopo il neoliberismo? Secondo Zamagni, non è facile – in quanto non esiste ancora – dare una risposta concreta a tale interrogativo, ma possono comunque essere rintracciati alcuni aspetti – rappresentanti delle vere e proprie sfide da affrontare e da implementare – per rispondere alla domanda.

 

Innanzitutto, occorre una nuova concezione di innovazione sociale, il cui concetto così come conosciuto, non è sbagliato, ma è ormai obsoleto rispetto all’attuale contesto. L’interpretazione che fu data da Robert Edward Freeman nel 1984 (si veda: Freeman, Strategic Management: a Stakeholder Approach, Pitman, London 1984) deve essere rivista in modo innovativo e questo è compito che spetta proprio ai vari attori dell’economia sociale, dagli operatori e cooperatori, ai volontari e agli imprenditori sociali.

 

In secondo luogo, occorre una diversa concezione del lavoro e un ripensamento delle forme di lavoro all’interno delle nuove forme d’impresa. Quelle conosciute nel Novecento devono essere considerate come forme ormai superate in quanto si rifanno al fenomeno giuridico della subordinazione, intesa come condizione oggettiva di dipendenza nei confronti di chi ha la proprietà dei mezzi di produzione che, di fatto, determina modi, luoghi e tempi della prestazione lavorativa. Ma oggi grandi opportunità ci vengono offerte dalle nuove tecnologie della IV Rivoluzione Industriale, la cui caratteristica principale, che la differenzia dalle precedenti, è che non si basa su una determinata scoperta innovativa di prodotto, bensì sulla convergenza di diverse tecnologie, anche distanti tra loro. È proprio questo che rompe, di fatto, il presupposto della subordinazione, permettendo quindi al lavoratore di non dover dipendere da chi è proprietario dei mezzi di produzione. Proprio su questo aspetto, trova fondamento la tesi di fondo lanciata da Zamagni: vengono così a crearsi i presupposti per ricercare e rincorrere la forma della cooperazione nell’organizzazione del lavoro, anche al fine di cogliere i vantaggi offertici dalla tecnologia. Cooperazione utile, da un lato, per gestire l’economia delle piattaforme, dall’altro, per liberare la persona del lavoratore dalla dipendenza della subordinazione.

 

In terzo luogo, Zamagni ha sottolineato come serva un’innovazione sociale che sia capace di tenere insieme fini e mezzi e che operi su quattro fronti: (1) ridisegni i modelli di servizio alla persona attraverso logiche ispirate alla personalizzazione e alla co-produzione; (2) ridisegni alleanze e modelli di affidamento con la PA con l’intento di favorire la creazione di governance plurali; (3) si proponga come attore di sviluppo locale a base comunitaria e (4) conversi con quella finanza particolarmente attenta a parametri di impatto sociale. L’impresa sociale deve, quindi, essere vicina ai bisogni delle persone e delle comunità e, allo stesso tempo, deve operare ed essere fautrice di un modello di civilizzazione che metta al centro la libertà delle persone.

 

Nel promuoversi come strumento di inclusione, l’impresa sociale ben può rappresentare una importante opportunità per i tanti giovani che guardano con sempre maggiore attenzione a nuove forme di partecipazione e di condivisione. Come ha affermato il presidente del CGM Stefano Granata, «L’idea che i giovani hanno della comunità fa convergere le dimensioni di globale e locale: si potenzia sempre più la consapevolezza di vivere in un mondo interconnesso (non solo dalle tecnologie ma soprattutto da fattori economici, politici e ambientali) e allo stesso tempo guardano alla propria comunità locale attraverso la lente di nuovi paradigmi legati all’innovazione, alla sostenibilità e all’inclusione. Se è vero che le nuove generazioni sono sempre più orientate a un’idea di sviluppo che unisca la produzione di valore economico a quella di valore sociale, l’impresa sociale può rappresentare per loro un grande bacino di opportunità». Ma può e deve dare risposte anche a quella categoria di giovani che, per livello di istruzione (ad esempio i neet), per contesti sociali difficili o per disagi familiari, faticano a trovare sbocchi lavorativi, situazione che si tramuta in una difficoltà di inclusione sociale (cfr. S. Granata, L’impresa sociale? Diventi la casa dei talenti dei nostri giovani, in vita.it, 3 febbraio 2018).

 

La grande trasformazione che stiamo vivendo ci consegna la fine di un sistema socio-economico e, allo stesso tempo, ci pone di fronte a nuove e stimolanti sfide, dentro le quali l’impresa sociale ben può giocare un importante ruolo di protagonismo, proprio grazie alla sua capacità di generare nuova occupazione e grandi opportunità per i giovani.

 

Valerio Gugliotta

Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro

Università degli Studi di Bergamo

@valerio_gugliot

 

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