Negli ultimi anni, sono molte le aziende decise a mantenere come prioritarie strategie aziendali atte ad arginare e a combattere il fenomeno dell’assenteismo, tenendolo sotto controllo in termini quantitativi, al fine di limitarne l’incidenza tanto rispetto alla produttività quanto rispetto al costo del lavoro.
L’assenteismo aziendale è un fenomeno che si manifesta attraverso la ripetuta assenza di un dipendente dal posto di lavoro durante l’orario ordinario e che si può esprimere attraverso assenze ingiustificate, mancanza sistematica di puntualità o di rispetto dell’orario minimo di lavoro, uso sostenuto o eccessivo di permessi retribuiti, ovvero ricorso sistematico ai permessi per malattia.
In un rapporto sinallagmatico, entrambe le parti sono dovute, le une verso le altre, ad uno scambio di prestazioni e, nel caso del contratto di lavoro, l’assenza del lavoratore implica il venir meno della sua prestazione lavorativa. Infatti, se prendessimo come esempio l’assenteismo per malattia, questa deve intendersi come «[…] l’alterazione dello stato di salute che impedisce temporaneamente al lavoratore di rendere l’ordinaria attività lavorativa a favore del creditore della prestazione» (Messaggio Inps, 30 settembre 2011, n. 18654). Questo impedimento potrebbe non essere assoluto, comportando cioè la totale incapacità lavorativa, ma potrebbe riguardare le sole mansioni svolte abitualmente. Se così fosse, non vi sarebbe alcun dubbio circa l’obbligo del “malato” di rendersi comunque disponibile, offrendo al datore di lavoro una prestazione ridotta, compatibile con lo stato di salute, specie ove egli intenda dedicarsi ad altra attività lavorativa.
Nonostante l’assenza e la mancata prestazione di lavoro, rimangono determinati oneri a carico del datore di lavoro, rispetto al lavoratore. Tra questi si contemplano, nel caso della malattia, i giorni di carenza – a tal proposito si ricorda che l’indennità giornaliera di malattia a carico Inps spetta dal quarto giorno di malattia – più l’eventuale integrazione dell’indennità versata dall’Istituto previdenziale, laddove prevista dal Ccnl di riferimento.
Non solo. I datori di lavoro risentono, anche, della natura imprevedibile dell’assenteismo, che obbliga a modificare i programmi di lavoro e ad adottare provvedimenti per sostituzione del lavoratore assente (ad esempio, lavoro supplementare o straordinario per gli altri lavoratori, utilizzo di lavoro somministrato, incidenza su un eventuale piano ferie già programmato, ecc.). Inoltre le assenze, accrescendo i costi per l’impresa (indennità di malattia, calo della produttività, diminuzione della qualità, ecc.) incidono negativamente sulla posizione dell’azienda nei confronti della concorrenza.
Per questo, oltre alla mancata prestazione di lavoro, si aggiungono, per il datore di lavoro, determinati costi ed effetti negativi indiretti, che giustificano l’attenzione dell’azienda verso questo fenomeno.
Le principali cause dell’assenteismo
L’assenteismo nel suo insieme è indice di un cattivo clima lavorativo e di una organizzazione disfunzionale e non motivante per le persone, che presenta segnali molto chiari, quali, la crescita dei piccoli infortuni, gli incidenti, i litigi, le controversie, le lamentele, la scarsa coesione dei gruppi, il frazionismo sindacale, ecc. Tanto premesso, si può quindi ricondurre l’assenteismo a due cause principali. Da un lato la condizione di lavoro caratterizzata da precariato, crisi, paura di perdere il posto o la propria posizione, unitamente a cattivi rapporti con capi o colleghi, sono gli ingredienti principali per innescare quello stato di ansia perenne e malessere diffuso che chiamiamo stress da lavoro, quale prima possibile causa; la seconda, che investe la maggior parte dei casi di assenteismo, è il fenomeno della malattia che, se gestito correttamente da parte delle aziende, potrebbe essere fronteggiato con perdite inferiori in termini di produttività.
In tal senso, nella maggior parte dei casi, i datori di lavoro tentano di ridurre l’assenteismo rafforzando le procedure e i controlli sui lavoratori assenti attraverso provvedimenti normativi e disciplinari ma anche attraverso attività preventive (si pensi alla direttiva quadro dell’UE sulla salute e sicurezza sul lavoro). Nonostante gli sforzi, gli interventi non sono ancora abbastanza incisivi ed efficaci tanto da contrastare il problema. In questo contesto, compito delle sezioni HR aziendali, dati alla mano, è sicuramente quello di comprendere la natura del fenomeno, in una particolare realtà territoriale, stabilendo la veridicità dell’evento e quindi aprire un canale di dialogo con il dipendente il quale, sempre meno di frequente, si sentirà legittimato ad assentarsi dal posto di lavoro. Determinata, quindi, la malattia come principale causa dell’assenteismo capiamo ora come gestirlo.
Come poter far fronte all’assenteismo per malattia? Quali le possibili soluzioni adottabili dall’azienda?
Rispetto a quanto sopra, possiamo dire che l’assenteismo per ragioni legate alla malattia può manifestarsi in due ordini di casi: se la malattia è reale, e l’azienda può aver contribuito al determinarsi di uno stato di stress per il lavoratore, quest’ultima dovrà cercare di porvi rimedio, anche tramite misure di welfare aziendale che interessano le esigenze della popolazione aziendale;se la malattia non è (molto probabilmente) reale, il fenomeno dovrà essere il più possibile analizzato e poi arginato.
Quindi, come gestire il problema e come scoraggiare le false malattie?
Il primo passo risiede nell’implementazione di un sistema periodico di controllo realmente efficace. A tal proposito i software gestionali a supporto delle HR dovrebbero avere campi di rilevazioni tali da garantire il corretto flusso delle assenze e da misurare il numero di certificati medici, suddividendoli per classi di durata tenendo in conto che, tendenzialmente, le malattie continue e di breve durata sono quelle più suscettibili al controllo. Spesso, infatti, la finta malattia ricade il lunedì o il venerdì e nei casi di durata pari ad un giorno è molto difficile per l’azienda richiedere in giornata la visita fiscale. La breve malattia, oltre ad essere nella maggior parte dei casi non reale, è quella che grava di più sull’azienda in quanto oltre a determinare una imprevedibile situazione, incide in maniera diretta sull’azienda, causa i tre giorni di carenza carico azienda.
L’assenza, insieme al disagio che questo implica, in casi estremi e in presenza di particolari fattispecie, può costituire anche causa di licenziamento. Una fattispecie da citare in merito è sicuramente il periodo di comporto: infatti, il lavoratore durante la malattia ha diritto alla conservazione del posto per il tempo previsto dal Ccnl ma, decorso il termine, il datore di lavoro ha diritto a recedere dal contrato di lavoro con regolare preavviso e in presenza di determinate condizioni.
Laddove il datore di lavoro avesse motivo di sospettare circa la reale sussistenza della malattia del lavoratore, ha la possibilità di contestare il certificato medico, attestante lo stato di malattia del dipendente (Cass. 10 maggio 2000, n. 6010, Trib. Milano, 16 settembre 1998). Il datore di lavoro ha la possibilità di domandare in giudizio la verifica dell’attendibilità della certificazione prodotta dal lavoratore, anche se non ha richiesto una visita di controllo (Cass. 27 dicembre 1997, n. 13056).
La natura di “atti pubblici” dei certificati redatti da medici del Servizio Sanitario Nazionale conferisce a tali documenti la fede pubblica, fino a querela di falso, per ciò che concerne la provenienza del documento da parte del pubblico ufficiale che lo ha firmato ed i fatti che lo stesso attesta di aver compiuto o essere avvenuti in sua presenza (Cass. 22/05/1999, n. 5000). Viceversa, la fede pubblica non si estende alla diagnosi, e dunque ai giudizi relativi allo stato di malattia e all’impossibilità temporanea della prestazione. Tali valutazioni, pur essendo dotate di un elevato grado di attendibilità in ragione della qualifica del pubblico ufficiale, non sono vincolanti per il giudice, che può anche decidere di sconfessarle in presenza di elementi probatori di segno contrario.
Fin’ora, nel giudizio di valutazione attestante l’effettivo stato di malattia del dipendente, è stato dato rilievo ad alcune circostanze, ritenute rilevanti, tra cui ad esempio, l’incongruenza tra la prognosi e la diagnosi, ovvero l’incongruenza tra la prognosi (o la dignosi) e la terapia prescritta al lavoratore, oppure è stato accordato rilievo alla tardività della visita medica rispetto all’inizio della malattia, che ha privato di attendibilità una dignosi riferita ai periodi pregressi, oppure, le circostanze complessive di fatto e il comportamento del lavoratore, ecc..
Inoltre, durante l’assenza per malattia, il datore di lavoro può richiedere la visita domiciliare di controllo (c.d. visita medico fiscale), senza rischiare, in alcun modo, di incorrere in una condotta di mobbing, anche laddove dovesse richiedere frequenti e continue visite di controllo per il dipendente (Cass. 01/08/2008, n. 21028).
Per il lavoratore permane il vincolo contrattuale con il datore di lavoro ed è solo sospeso l’obbligo di rendere la propria prestazione. Permane quindi un obbligo di diligenza in capo al lavoratore che non dovrà ritardare o impedire la propria guarigione e sarà obbligato a rendersi reperibile alle visite di controllo. Qualora il lavoratore fosse assente alla visita di controllo (salvo possibili giustificazioni), questi va incontro a possibili sanzioni. Ciò che rileva in questi casi è l’irreperibilità o l’assenza del lavoratore, e non la sussistenza o meno dello stato della malattia. L’attestazione del medico dell’inesistenza della malattia o la riduzione della prognosi non determina alcuna trattenuta.
Quando il datore di lavoro riceve il referto che attesta la mancata reperibilità del lavoratore al controllo, questo deve essere formalmente invitato a comunicare gli eventuali documentati motivi che giustificano la sua irreperibilità durante le fasce orarie, dato che, in assenza di “giustificato motivo” (art. 4, comma 14, DM 25.2.1984), il lavoratore perde il diritto al trattamento economico.
Oltre a quanto descrive l’Inps nella sua circolare del 26 luglio 1988 n. 166, rispetto alle trattenute al lavoratore, a seconda che si tratti di assenza alla prima, seconda o terza visita di controllo, ciò non esclude che il datore valuti i fatti anche sotto l’aspetto disciplinare, e ciò, soprattutto, se il lavoratore non ha reso possibile l’accertamento quando, oltre a risultare assente alla visita di controllo, non si presenta alla successiva visita ambulatoriale. In tale caso, va valutata l’opportunità di rivolgere al lavoratore contestazioni disciplinari scritte, ex art. 7, l. n. 300/1970, con apposita ulteriore lettera distinta dalla richiesta dei motivi di assenza.
Ipotesi ancora più grave per il lavoratore si verifica nel caso in cui, assente per malattia, sia trovato a svolgere un’altra attività. La condotta del lavoratore assente per malattia deve essere improntata al rispetto dei principi di correttezza, buona fede, diligenza e fedeltà, pertanto, la violazione di tali principi legittima l’applicazione delle sanzioni disciplinari, fino a giustificare un licenziamento, se è trovato a fare un altro lavoro. Alcuni esempi possono essere:
a) Nell’ipotesi in cui l’attività sia sufficiente a far presumere l’inesistenza della malattia;
b) E quando tale attività possa pregiudicare o ritardare la guarigione e quindi il rientro del lavoratore in servizio (Cass. 24/04/2008, n. 10706; Cass. 05/11/2009, n. 23444; Cass. 28/10/2010, n. 22029);
c) Non rileva la circostanza che l’altra attività sia resa a titolo gratuito (ad esempio, a favore di un parente) od oneroso (Cass. 15/12/2000, n. 15827);
d) Lo svolgimento delle medesime mansioni – oltre ad essere totalmente ingiustificabile, è di per sé stesso idoneo a compromettere o comunque ritardare la guarigione, legittimando il licenziamento del dipendente (Trib. Roma 31/05/1999).
Contrariamente a quanto sopra è possibile che il lavoratore si dedichi legittimamente a quelle attività – lavorative e non lavorative – che non ritardino o non impediscano la guarigione. I casi quasi sempre “concessi” sono costituiti dalle attività amatoriali, hobbistiche e sportive (Cass. 27/02/2008, n. 5106).
Il problema rimane però quello di capire come riesce, il datore di lavoro, a sapere cosa fa il dipendente malato. Premesso che il datore non può fare effettuare accertamenti sanitari e controlli sulle infermità da parte di altro suo personale (art. 5 L. 300), può comunque impiegare addetti alla vigilanza e investigatori privati, per accertare se il dipendente si dedica o meno ad un’altra attività. L’indagine, se volta ad accertare un fatto materiale puro e semplice, e, quindi, di un illecito disciplinare, è legittima (Cass. 15 ottobre 2013, n. 23365; Cass. 26 febbraio 1994, n. 1974).
L’arma più forte è però costituita dalle visite di controllo, le sole che possono accertare se quel lavoratore è effettivamente malato o no, per questo le indagini investigative del datore hanno quindi valore sussidiario (Cass. 21/03/2011, n. 6375).
Alcuni esempi in cui il licenziamento è risultato legittimo
Lavoratore assente per malattia… |
…che viene visto esercitare la caccia nei boschi all’umido e con postura non compatibile con la malattia (lombo-sciatalgia) (Cass. 22 febbraio 2013, n. 4559)… |
Il licenziamento é legittimo |
…collabora nei lavori di ristrutturazione del locale dove a giorni sarebbe stato trasferito l’esercizio commerciale di cui era titolare il dipendente (Cass. 5 febbraio 2013, n. 2612)… | ||
…effettua servizio ai tavoli della clientela presso un locale pubblico durante la malattia (Cass. 29 novembre 2012, n. 21253)… |
Una sentenza del 15 ottobre 2013, mette in luce gli errori da evitare in condizioni di questo tipo. Dal testo della sentenza si deduce che nella contestazione disciplinare, l’azienda:
- · Deve specificare il numero delle volte in cui il dipendente è stato visto lavorare durante l’assenza per malattia, così che non possa essere giustificata come attività occasionale;
- · Deve essere specificata la presunta attività svolta, così da permettere una reale valutazione delle eventuali conseguenze negative sul processo di guarigione.
Da ciò si deduce che, per agire in maniera efficace, è necessaria una costante (e quindi più costosa) sorveglianza a distanza del dipendente, una rigorosa valutazione di quanto acquisito in tal modo, con diretto riferimento alle mansioni normalmente disimpegnate dal lavoratore e ad eventuali notizie circa la patologia sofferta, la puntuale redazione della lettera di contestazione che non si limiti ad allusioni e vaghi sospetti ma puntualizzi tutti i fatti, i dati e le circostanze che sono noti.
Nel contratto individuale di lavoro, possono essere menzionate alcune ipotesi, oltre al comporto, che tipizzano la possibilità di incorrere in un licenziamento legato alla malattia nei casi in cui ci sia una falsificazione del certificato medico o altra documentazione sanitaria, nei casi in cui sussista il procurarsi delle ferite da sé, anche per negligenza, lo svolgimento presso altri di mansioni identiche a quelle proprie dovute a favore del datore di lavoro, la reiterata assenza alle visite di controllo presso il domicilio indicato sul certificato.
Da quanto emerge, la problematica reale risiede nel disagio che l’assenteismo provoca all’azienda e nell’impatto che questo provoca sui costi aziendali diretti e indiretti. Un primo passo verso l’attività a supporto delle aziende, per cercare di limitare l’assenteismo, risiede nel controllo dello stesso attraverso gli strumenti a disposizione delle sezioni HR tali da garantire la gestione del problema.
Nello specifico, l’assenza per malattia potrebbe essere arginata attivando, da parte dell’azienda, politiche aziendali volte ad adibire temporaneamente il dipendente “malato” ad altre mansioni fino alla ripresa totale, evidentemente compatibili con lo stato di malattia. Rappresenterebbe un ottimo rimedio per ridurre i costi diretti ed indiretti ricadenti sull’azienda. Tale collaborazione di tipo quasi orizzontale è auspicabile in contesti dotati di un clima aziendale attento alle singole problematiche dei dipendenti perché l’assenteismo, prima che combatterlo attraverso gli strumenti formali, lo si può prevenire attraverso una efficace gestione del clima organizzativo interno. Le finte malattie, invece, dovrebbero essere arginate attraverso controlli più capillari e prendendo, qualora ce ne siano gli estremi, provvedimenti forti in grado di trasmettere alla popolazione aziendale un messaggio di “attenzione” e di allarme rispetto a questi fenomeni.
@GAlessandri8
Roberta Monte
@monte_roberta
Scuola internazionale di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro
ADAPT-CQIA, Università degli Studi di Bergamo