La rivisitazione della disciplina dei fondi di solidarietà contenuta nel Titolo II del decreto legislativo n. 148 del 14 settembre 2015 si colloca in chiara continuità con l’obiettivo già manifestato dal legislatore del 2012 (art. 3 legge n. 92/2012) di riscrivere in maniera organica la normativa in materia di ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro per quelle imprese escluse dal campo d’applicazione definito dal Titolo I dello stesso decreto n. 148/2015.
È certamente ambizioso l’obiettivo di approdare ad un superamento del vecchio sistema di politiche passive del lavoro che ha caratterizzato una stagione difficile per il sistema delle piccole e medie imprese italiane iniziata nel 2009 con la grande crisi e che, sebbene si auspica stia volgendo al termine, ha segnato un radicale cambiamento del sistema economico e produttivo. La cassa integrazione in deroga concepita come strumento anticiclico di salvaguardia del reddito e dei livelli occupazionali dei dipendenti di quelle aziende escluse dal campo d’applicazione della cassa ordinaria e straordinaria ha rappresentato l’unico salvagente in un periodo lungo e complesso di crisi ed incertezza. Significativi, in tal senso, i dati contenuti nel rapporto annuale INPS del 2014 che ricordano come nello stesso hanno l’Istituto ha erogato prestazioni per 1,3 miliardi di euro circa ed ha autorizzato 240 milioni di ore di cassa in deroga. Cifre che confermano la necessità non più procrastinabile di rivedere l’impianto delle politiche passive al fine di mettere in campo un sistema ordinario di sostegno al reddito in costanza del rapporto di lavoro.
L’impianto del decreto n. 148/2015 ha cercato, quindi, di colmare quelle lacune che la legge 92 aveva soprattutto in relazione al campo d’applicazione dei fondi di solidarietà ampliando l’obbligatorietà della copertura fino ai datori di lavoro che occupano mediamente più di cinque dipendenti. Tale obbligo di contribuzione ed adesione al fondo di solidarietà residuale riguardava, infatti, nella legge n. 92 (art. 3 comma 19) esclusivamente quelle tipologie di datori di lavoro e classi dimensionali comunque superiori ai quindici dipendenti appartenenti a sistemi di rappresentanza nei quali non c’erano stati accordi collettivi volti all’attivazione di un fondo di solidarietà bilaterale spurio (comma 4, art. 3 legge n. 92/2012) o puro (comma 17, art. 3 legge n. 92/2012). La disciplina dei fondi di solidarietà lasciava comunque campo libero alle parti sociali di estendere la copertura anche alle imprese di dimensioni più piccole.
La sostanziale innovazione disegnata dalla normativa in vigore sembra essere, senza ombra di dubbio proprio questa: un riconoscimento sostanziale della necessità di avere un sistema ordinario e realmente universale di tutela in costanza del rapporto di lavoro per i dipendenti delle piccole e medie imprese. A tal fine, entro il 31 dicembre 2015, i datori di lavoro appartenenti a settori che non rientrano nell’ambito di applicazione del Titolo I e non hanno costituito fondi di solidarietà bilaterali (art. 26) o adeguato i fondi di solidarietà alternativi (art. 27) a quanto previsto dalla nuova normativa confluiranno nel fondo di integrazione salariale (art. 29). Lo stesso art. 29 delinea in maniera precisa il doppio canale di contribuzione obbligatoria che scatterà dal 1° gennaio 2016 e che riguarderà in maniera proporzionale sia le aziende che hanno in forza dai 5 ai 15 dipendenti (0,45%) sia quelle che occupano mediamente più di 15 dipendenti (0,65%)
La disciplina dei fondi di solidarietà bilaterali alternativi prevista dall’art. 27, per i due settori (artigiano e della somministrazione) a cui si applica tale modello, rileva sostanziali novità. I suddetti comparti, unici ad aver adeguato il proprio sistema bilaterale alle finalità già previste dalla legge 92 costituendo, quindi, Fondi di solidarietà bilaterali alternativi già operativi, dovranno assicurare nel nuovo assetto, almeno una delle due prestazioni previste al comma 3 dell’art. 27: assegno ordinario (pari a quello di cui all’art. 30, comma 1) e/o assegno di solidarietà (di cui all’art. 31 sempre per un periodo massimo non inferiore alle 26 settimane).
Al fine di garantire tali prestazioni, le parti sociali del settore artigiano e della somministrazione dovranno sottoscrivere, entro il 31 dicembre 2015, accordi e contratti collettivi in cui si definisca a decorrere dal 1° gennaio 2016 un’aliquota ordinaria di finanziamento non inferiore allo 0,45% della retribuzione previdenziale imponibile. In mancanza di tali condizioni, come già detto, i datori di lavoro in questione confluiranno nel fondo di integrazione salariale.
La sintesi del nuovo assetto è funzionale a formulare alcune considerazioni circa l’impianto della riforma evidenziando i principali nodi che ne scaturiscono.
In primo luogo, sarà da valutare la gestione del periodo transitorio necessario all’acquisizione da parte dei diversi fondi delle risorse necessarie ad erogare le prestazioni e che lo stesso decreto individua a decorrere dal 1 luglio 2016. Si può ipotizzare a tal proposito un’ultima e definitiva appendice della cassa integrazione in deroga a copertura dei primi sei mesi del 2016 (articolo 2, commi 64, 65, 66 e 67, della legge n. 92/2012).
A testimoniare la criticità di tale passaggio, si evidenzia che nel caso specifico, la bilateralità artigiana, aderendo al modello previsto art. 3, comma 17 della legge n. 92/2012, aveva adeguato il proprio sistema bilaterale alle finalità previste dalla normativa per il riconoscimento di un’indennità ai lavoratori sospesi con intervento integrativo della bilateralità pari al 20% dell’indennità stessa, confermando quel principio del cofinanziamento degli enti bilaterali che già in passato il legislatore aveva adottato sia con la legge n. 2/2009 che con la legge n. 263/1993 per i contratti di solidarietà difensivi. Con l’abrogazione del comma 17 dell’art. 3 della legge n. 92/2012 operata dal d.lgs. n. 148/2015 poi ribadita dal messaggio INPS n. 6024 del 30 settembre 2015 il legislatore ha così determinato una carenza di tutele per il periodo 24 settembre-31 dicembre 2015. Le parti sociali dell’artigianato, tuttavia, con un accordo interconfederale del 13 ottobre 2015 sono intervenute per colmare tale vuoto, individuando una prestazione erogata dal Fondo di solidarietà bilaterale dell’artigianato pari al 40% dell’indennità per lavoratori sospesi dall’attività lavorativa. Il Ministero del lavoro è intervenuto poi, per sanare, anche se in parte, «un evidente vuoto di tutele, a causa del venir meno di una misura prevista, seppur in via sperimentale, sino a tutto il 2015» ritenendo ammissibile il riconoscimento dell’indennità ASpI per sospensioni che decorrono dal giorno prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 148/2015 (23 settembre 2015) fino al 31 dicembre 2015 (v. Circolare 20 ottobre 2015, n. 27).
Il quadro presentato impone, perciò, una riflessione circa la sostenibilità finanziaria dei fondi di solidarietà in un momento di transizione da un sistema contraddistinto dalla cassa in deroga, ad uno strumento ben più delimitato quale quello attuale. Non è un caso che sia la disciplina dei fondi di solidarietà alternativi (art. 27, comma 5, lett. b) che quella del fondo di integrazione salariale (art. 29, comma 4) faccia riferimento all’erogazione di prestazioni nei limiti delle risorse finanziarie acquisite dai fondi stessi. In tal senso le imprese e le parti sociali saranno chiamate ad una prova difficile di utilizzo di tali strumenti nell’arco di un biennio.
È importante sottolineare che le disponibilità finanziarie e, quindi, il campo d’azione della bilateralità non venga esclusivamente monopolizzato dalle prestazioni di tutela del reddito in costanza di rapporto di lavoro. Con tutte le sue criticità, la bilateralità sta percorrendo un sentiero di adeguamento sempre più consistente delle sue finalità e delle prestazioni che eroga alle esigenze delle imprese e dei lavoratori. Il campo della salute e della sicurezza sul lavoro, della formazione continua e di tutte quelle prestazioni e servizi di natura contrattuale descrivono un sistema di relazioni industriali dinamico e radicato sul territorio. Il futuro della bilateralità si gioca proprio su un campo più ampio di quello della tutela del reddito in costanza del rapporto di lavoro e su questo terreno le parti sociali avranno il compito di sviluppare in maniera sempre più rapida ed efficace politiche di supporto alle imprese e ai lavoratori.
Sebbene, come già detto, sia apprezzabile lo sforzo compiuto dal legislatore di allargare il campo d’applicazione della normativa alle imprese che occupano mediamente più di 5 dipendenti (5 milioni di lavoratori circa è occupato in imprese che occupano mediamente da 1 a 19 dipendenti:), al di sotto di tale asticella esiste ancora un universo abbastanza ampio che rimarrebbe privo di adeguate tutele. I dati a disposizione confermano che il sistema imprenditoriale italiano si contraddistingue per una cospicua presenza di micro imprese, con meno di 5 dipendenti mediamente in forza: 1.125.000 imprese circa, il 70% del totale e 2.341.000 lavoratori circa, il 19% del totale (Dato INPS, anno 2010).
È rilevante, perciò, interrogarsi in generale circa il senso di uno strumento che individua nel requisito dimensionale il criterio principale d’accesso ad un insieme di tutele standardizzate. La volatilità dei mercati e delle produzioni impongono una riflessione approfondita sulla necessità di rendere la tutela in costanza di lavoro funzionale alle esigenze di mercato, ed è altrettanto importante ragionare su settori e sistemi di produzione che essendo caratterizzati da attività ad alto contenuto tecnologico e di know-how si potranno sempre più contraddistinguere per non essere marcatamente labor intensive. Tali imprese potrebbero perciò “avere mercato” ed essere competitive, ma si troverebbero ad essere totalmente prive di strumenti di tutela in costanza di lavoro nelle situazioni di normale oscillazione anche stagionale del mercato, tali comunque da non intaccarne le potenzialità di mercato.
Se esiste, infatti, una lezione che più di ogni altra può essere colta dalla storia della cassa integrazione in deroga, è sicuramente quella che riguarda la necessità di ricalibrare il sistema delle tutele in maniera efficiente puntando ad un meccanismo che salvaguardi il futuro di imprese e lavoratori che sono in grado di essere competitivi sul mercato, favorendo attraverso politiche attive adeguate la riqualificazione e l’aggiornamento professionale di lavoratori e imprenditori che sono in possesso di competenze obsolete. Proprio, la bilateralità, con i suoi fondi interprofessionali di settore per la formazione continua ha già in casa un mezzo adatto a rispondere in maniera adeguata alle esigenze del settore di riferimento offrendo un mix coerente di politiche del lavoro attive e passive.
Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro
ADAPT, Università degli Studi di Bergamo
@AChiriatti