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Bollettino ADAPT 21 giugno 2021, n. 24
Si è svolta a Roma, il 14 giugno, la presentazione della Relazione annuale sull’attività svolta nel 2020 dalla Covip, l’autorità istituita presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con compiti di controllo e vigilanza sulle forme di previdenza complementare presenti nel nostro Paese. L’appuntamento, come di consueto, rappresenta un’occasione per trarre alcune conclusioni sullo stato di salute dei fondi pensione e delle casse di previdenza, nonché per fornire utili indicazioni ai principali attori del settore. Tra questi, considerando il ruolo importante dei fondi negoziali nel panorama delle forme pensionistiche complementari (degli 8.150.559 iscritti nel 2020 alle forme pensionistiche complementari, sono 3.184.463 gli iscritti ai fondi negoziali), non possono mancare anche sindacati e associazioni datoriali, che di questi fondi sono i principali promotori attraverso la contrattazione collettiva. L’analisi di alcuni passaggi del corposo Rapporto sul 2020, aiuta infatti a mettere a fuoco i principali punti di forza, nonché alcuni elementi critici, riferiti ai fondi pensione negoziali.
Un primo dato sul quale riflettere rimanda al fatto che i rendimenti dei principali fondi pensione hanno retto alla complessa prova della pandemia. In generale, infatti, si segnala come, dopo lo “shock” iniziale legato alla prima fase di diffusione del virus Covid-19, i mercati finanziari abbiano fatto segnare un progressivo recupero, con effetti positivi anche per i fondi pensione. Nello specifico, i fondi negoziali, anche grazie a costi gestionali di gran lunga inferiori agli altri prodotti previdenziali, hanno guadagnato in media, al netto degli stessi costi di gestione e della fiscalità, il 2,9%. Si tratta di una prima indicazione, che testimonia la buona tenuta del sistema, anche in un anno così difficile, confermata dal fatto che i fondi negoziali hanno restituito rendimenti superiori al Tfr in azienda, che nello stesso periodo si è rivalutato, al netto delle tasse, dell’1,2%. Non si tratta, peraltro, dell’unico elemento positivo connesso alla fase emergenziale: nel corso dell’anno, la raccolta dei contributi è continuata con regolarità (con un lieve calo dei dati aggregati solo nel secondo trimestre del 2020), forte anche di un modello organizzativo che ha saputo adattarsi alle misure di contenimento del virus. Il rafforzamento dei canali telematici di scambio di informazioni potrà rappresentare, in questo senso, un valido strumento per rendere maggiormente “agili” le procedure di interlocuzione non solo con i soggetti che sono già iscritti, ma anche con i potenziali futuri aderenti, in quella che risulta la complessa sfida di raggiungere un numero sempre più ampio di lavoratori, anche tra le fasce finora più lontane dal mondo della previdenza complementare. Infine, un ultimo segnale che conferma la tenuta dei fondi di previdenza complementare riguarda l’utilizzo contenuto di anticipazioni e riscatti: la Covip sottolinea in questo senso che, nel corso del 2020, le richieste di anticipazioni e di riscatti sono diminuite per tutte le tipologie di forma pensionistica, tra cui anche i fondi negoziali. In merito a questi ultimi, l’Autorità segnala che i riscatti totali del 2020 sono stati 50.653, oltre 2000 in meno rispetto al 2019.
Nell’ambito di un’analisi complessiva sui fondi pensione negoziali, permangono però anche aspetti da approfondire e alcune importanti criticità, che la Relazione sul 2020 fotografia in maniera ben definita. Se è vero, da un lato, che il numero degli iscritti ai fondi negoziali è aumentato del 2,9% tra il 2019 e il 2020, con 257.573 nuove adesioni, questo dato è fortemente influenzato dai numeri sulle adesioni contrattuali. Nel complesso degli attuali iscritti ai fondi negoziali, infatti, 1,2 milioni di lavoratori lo sono divenuti in maniera automatica, per effetto dei meccanismi di alcuni contratti collettivi che stabiliscono il versamento da parte delle aziende del contributo datoriale per tutti i dipendenti a cui si applica il contratto, fatta salva la possibilità per i lavoratori, entro determinati termini, di manifestare un’espressa volontà contraria all’adesione. Questo elemento, naturalmente, alza di molto i numeri delle posizioni in essere relative ai fondi negoziali, rappresentando circa un terzo del totale. Tuttavia, considerando che tali strumenti vengono spesso previsti in settori caratterizzati da una certa discontinuità occupazionale (emblematico è il caso di Prevedi, il Fondo Pensione dei lavoratori delle imprese industriali ed artigiane edili ed affini, che su 945.252 iscritti totali, ne conta 918.935 “contrattuali”) le posizioni in essere presso i fondi rischiano di rimanere rilevanti solo “sulla carta”. Se infatti la singola posizione individuale del lavoratore non viene alimentata con flussi contributivi regolari, è altamente probabile che le somme accumulate nel fondo risultino insufficienti rispetto all’esigenza di disporre di un trattamento complementare adeguato al momento del pensionamento. I dati della Covip sul 2020 sembrano confermare tale preoccupazione, nel momento in cui l’Autorità evidenzia l’aumento delle posizioni in essere per le quali non risultano effettuati versamenti nel corso dell’anno e ricollega questo fenomeno ad alcune forme pensionistiche che beneficiano di meccanismi di adesione contrattuale, oltre che ad alcune piccole aziende che hanno subito in maniera importante gli effetti negativi della crisi pandemica.
Un secondo elemento, inoltre, induce a un’ultima riflessione per le parti sociali, impegnate nelle politiche contrattuali e nelle iniziative di informazione e sensibilizzazione in materia di previdenza complementare. All’interno delle 300 pagine della Relazione, rivestono un peso particolare i dati riguardanti la partecipazione alla previdenza complementare delle fasce più giovani della popolazione lavorativa, nonché della forza-lavoro femminile. Si tratta di due tra le categorie maggiormente soggette a carriere discontinue, e che per questo, spesso, hanno storie contributive frammentate, che rendono più difficile raggiungere un trattamento pensionistico pubblico dignitoso al termine della propria carriera. Il quadro che presenta la Covip mostra che giovani e donne, che per i motivi appena delineati necessiterebbero maggiormente di soluzioni integrative, appaiono invece come i “punti deboli” del mondo della previdenza complementare. In primo luogo, va sottolineato che solo il 17,4% degli iscritti ai fondi (considerando tutte le diverse tipologie di fondi pensione complementari, quindi non solo i fondi negoziali) ha meno di 35 anni, con un sostanziale immobilismo di questa percentuale tra il 2017 e il 2020. Inoltre, i dati evidenziano che, sul totale degli iscritti ai fondi, la componente femminile appare minoritaria, dato che le donne rappresentano il 38,3% degli iscritti totali. Si tratta di uno squilibrio “trainato” dai fondi negoziali, in cui la componente femminile è maggiormente sottorappresentata rispetto alla media, con le adesioni delle donne che rappresentano il 27% del totale. Per spiegare queste storture del sistema, come sottolinea la Covip, non basta ricollegarle al minor tasso di partecipazione alla forza lavoro delle due categorie. Sia le donne che i giovani, infatti, una volta entrate nella forza lavoro, hanno comunque una minor propensione a partecipare alla previdenza complementare: con riferimento alle prime, si tratta del 17% in meno rispetto agli uomini, mentre per quanto riguarda i giovani, l’autorità evidenza una partecipazione della fascia di età 25-34 anni inferiore del 21% rispetto alla fascia di età 35-44 anni.
Agire su questi squilibri appare quindi come un passaggio fondamentale che le parti sociali sono tenute ad affrontare, per far sì che la previdenza complementare possa rappresentare un valore aggiunto per una sempre più ampia platea di soggetti, e non semplicemente per quelle fasce di lavoratori già ampiamente garantite, in possesso di risorse finanziarie aggiuntive da investire nei piani pensionistici integrativi.
Sin dai primi commenti, i sindacati hanno evidenziato sul punto la necessità di interventi di carattere fiscale, per rendere più agevole e conveniente l’iscrizione delle fasce più deboli del mercato del lavoro. In questo ambito, è sicuramente auspicabile che il tema entri nelle discussioni tra governo e parti sociali, in vista di una riforma complessiva del sistema previdenziale italiano. Questo passaggio “politico”, tuttavia, necessità di essere accompagnato da ulteriori azioni, maggiormente autonome, delle stesse parti sociali. I casi del CCNL Somministrazione del 2019, nonché dell’ultima tornata di rinnovi contrattuali del settore metalmeccanico, dimostrano che un sistema incentivante per le fasce più deboli – nel primo caso, si tratta dei lavoratori somministrati, mentre nel secondo degli under35 – può essere costruito anche attraverso soluzioni coraggiose e pragmatiche della contrattazione collettiva, capaci di individuare condizioni di adesione più favorevoli per determinati destinatari, accompagnate da adeguate campagne di informazione e sensibilizzazione. I prossimi incontri tra governo, sindacati e associazioni datoriali, nonché i prossimi importanti rinnovi nazionali in fase di costruzione, ci diranno se le parti sapranno cogliere davvero questa sfida.
Scuola di dottorato in Apprendimento e innovazione nei contesti sociali e di lavoro
ADAPT, Università degli Studi di Siena