Nel Piano per il Lavoro messo a punto dal Governo Renzi, è prevista l’ennesima delega per la riforma dei servizi per il lavoro e delle politiche attive.
La principale “novità”, attorno alla quale ruotano tutte le altre, riguarda l’istituzione di un’Agenzia Nazionale per l’Impiego, a cui si ipotizza di demandare la gestione delle politiche attive e passive del lavoro e la loro riorganizzazione. Un’idea questa già presente nel Disegno di legge Fornero del 22 marzo 2012 – in cui si faceva riferimento alla necessità di creare un’ “Agenzia unica per la gestione delle politiche attive e passive” – ma che non ha mai visto la luce ed è stata poi almeno in parte ripresa dal d.l. Giovannini. A differenza della Struttura di Missione, istituita dal d.l. n. 76/2013, l’Agenzia Nazionale non si caratterizzerebbe però per essere una struttura di impronta centralista e pubblicista, ma piuttosto, e più opportunamente, sarebbe connotata da elementi di federalità e di apertura al mondo del lavoro vivente. Si prevede, senza però entrare nel dettaglio della sua composizione, che l’Agenzia sia partecipata dallo Stato, dalle Regioni e dalle Province autonome e che coinvolga le Parti Sociali nella definizione delle linee di indirizzo generali. Inoltre al fine di realizzare la tanto auspicata condizionalità tra politiche attive e passive si prevede che essa si raccordi con l’Inps e con tutti quegli enti che esercitano competenze in materia di incentivi.
L’idea che sta alla base di questa ennesima Delega per il riordino dei servizi per il lavoro, è quella della flexsecurity. Nulla di nuovo all’orizzonte, considerato che l’Europa ci chiede di andare in quella direzione dagli anni Novanta, e che, nei Paesi Scandinavi di politiche attive si parla dagli anni ’40 del secolo scorso. La criticità principale di cui sembra risentire anche questo disegno di legge e che ha condotto all’affossamento dei precedenti, riguarda l’aspetto delle risorse, che per la realizzazione della flexsecurity richiederebbe un bilanciamento tra quelle destinate alle politiche attive e quelle destinate alle politiche passive. Invece, ancora una volta si pretende di procedere ad un riforma “senza maggiori oneri” e ad un rilancio delle politiche attive a “a costo zero”. Un tale approccio, oltre a mettere seriamente a rischio la fattibilità dell’intervento riformatore, implica una svolta verso l’aspetto sanzionatorio delle politiche attive piuttosto che verso quello dell’occupabilità: se non si investe sulla qualità dei servizi alla persona ed in particolare sulla salvaguardia e sull’innalzamento della sua professionalità, il pericolo è che residui solo l’obiettivo dell’inclusione nel mercato del lavoro e di uscita dal sistema di sicurezza sociale senza la necessaria attenzione all’aspetto del capitale umano.
Veniamo ai dei principi individuati dal Jobs Act, quali criteri guida per la riforma dei servizi per il lavoro.
I primi due punti (lett. a e b) fanno riferimento ad una quanto mai opportuna razionalizzazione degli incentivi all’occupazione e all’autoimprenditorialità che nel nostro Paese si caratterizzano per essere quanto mai caotici ed inefficienti rispetto alla funzione che dovrebbe guidarli, finendo per tradursi in una sorta di “premio a sorpresa per aziende che avrebbero comunque assunto”.
È poi previsto un impegno programmatico a rafforzare e valorizzare l’integrazione tra pubblico e privato per migliorare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, senza tuttavia scendere nei dettagli del modello che dovrebbe orientare le relazione tra gli operatori (complementare, cooperativo ovvero concorrenziale). Si individuano, però, quanto meno i principi di governance che dovrebbero orientare il disegno di riforma: al livello nazionale-statale competerebbe l’individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni – che non vengono tuttavia dettagliati nel Piano ne con riferimento ai target, ne con riferimento ai servizi e nemmeno alle tempistiche in cui questi ultimi devono essere resi-, alle Regioni e alle Province invece spetterebbe il compito di programmare le politiche attive, e, agli operatori privati, tendenzialmente, ma non è esplicitato, quello di attuare gli indirizzi istituzionali operativizzandoli. Si realizzerebbero così i tratti di un sistema a governance pubblica e operatività privata, che troverebbe declinazioni diverse nei territori in funzione di diversi modelli relazionali di volta in volta scelti dalle amministrazioni competenti, non diversamente da quanto accade oggi.
Il penultimo punto esplicita l’obiettivo che, almeno sulla carta, pare ispirare il disegno di riforma ovvero “favorire il coinvolgimento attivo del soggetto che cerca lavoro”. Si tratta di un concetto che solo in parte richiama al principio di attivazione del c.d. Carrot and Stick e che pare in qualche modo smorzarlo per avvicinarsi ad approcci maggiormente attenti all’aspetto inclusivo. Tuttavia, l’assenza di previsioni di dettaglio non consente di esprimere un giudizio di valore sul provvedimento che allo stato si caratterizza per essere poco più di una dichiarazione di intenti.
Infine, l’ultimo punto prevede una valorizzazione del sistema informativo per la gestione del mercato del lavoro. Anche qui mancano disposizioni precise, ma pare leggersi una prosecuzione dell’impegno avviato dal ministro Giovannini per la costruzione della banca dati delle politiche attive e passive e della piattaforma nazionale telematica che dovrebbe ora entrare a regime entro il 1 maggio 2014 per consentire l’attuazione della Garanzia Giovani nel nostro Paese.
Formulare un giudizio sulle previsioni del Jobs Act in materia di riforma dei servizi per il lavoro è allo stato impossibile, troppi interrogativi rimangono aperti e ciò non depone certo a favore della credibilità e dell’efficacia di un serio processo riformatore, che pare rimanere solo nelle intenzioni che hanno animato il Jobs Act senza permearne i contenuti. La necessità di agire tuttavia è improrogabile, ce lo dice l’Europa, ma soprattutto ce lo chiedono il mondo del lavoro, i lavoratori e le imprese, che hanno bisogno di ritornare ad operare in un mercato più efficiente e trasparente. Speriamo di non ritrovarci tra qualche mese a commentare l’ennesimo annunciato tentativo di riforma, speriamo, insomma, che stavolta sia davvero la (s)volta buona.
Scuola internazionale di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro
ADAPT-CQIA, Università degli Studi di Bergamo
@GiuliaRosolen