Caro direttore, Francesco Giavazzi sul Corriere di ieri ci mette in guardia contro un rischio: da quando i nuovi rapporti di lavoro a tempo indeterminato saranno assoggettati alla nuova disciplina del licenziamento senza articolo 18, nessuno che oggi goda di questa vecchia protezione sarà più disposto a perderla; donde il rischio che si azzeri la mobilità volontaria, causa di un milione e mezzo di spostamenti ogni anno. Giavazzi non considera due cose. La prima è che la maggior parte della mobilità volontaria già oggi si manifesta prevalentemente nella metà della forza lavoro non protetta dall’articolo 18: imprese fino a 15 dipendenti, contrattisti a termine, collaboratori continuativi, dirigenti. La riforma mira proprio ad aumentare la mobilità nell’area che invece è in qualche misura «ingessata» dalla protezione forte contro il licenziamento, dove prevale la figura del «posto fisso a vita».
La seconda cosa che Giavazzi non considera è che già oggi chi lascia un posto con articolo 18 per un nuovo posto rischia di ritrovarsi per la durata del periodo di prova privo di quella protezione; ma per evitarlo basta un accordo con la nuova impresa che deroghi rispetto allo schema normale esonerando il neoassunto dalla prova. Nulla vieta che lo stesso accada domani, con accordi individuali che mantengano contrattualmente la vecchia protezione, o ne assicurino una di tipo diverso: clausole di durata minima del rapporto, maggiorazione dell’indennità in caso di licenziamento, ecc. Oppure, se il vecchio imprenditore è d’accordo, si può ricorrere alla cessione del contratto al nuovo imprenditore, col risultato che il rapporto prosegue senza soluzione di continuità, con tutte le vecchie protezioni. Del resto, un disincentivo assai più forte alla mobilità oggi è costituito dagli scatti di anzianità, che nel passaggio da un posto a un altro si azzerano: le persone professionalmente più forti nel mercato e chi si sposta spontaneamente appartiene sempre a questa categoria risolvono il problema negoziando con il nuovo imprenditore una “anzianità convenzionale” che consente loro di conservare i benefici ad essa collegati, oppure un elemento aggiuntivo della retribuzione che compensi la perdita degli scatti. Per altro verso, occorre considerare molto attentamente che cosa potrebbe accadere se da un giorno all’altro la protezione dell’articolo 18 venisse rimossa per tutti i rapporti di lavoro, vecchi e nuovi: il rischio sarebbe che il giorno dopo scattasse il licenziamento di molte persone il cui rapporto dí lavoro presenti un bilancio in perdita più o meno rilevante, ma che oggi sono mantenute in servizio dalle rispettive imprese perché protette dall’articolo 18. A questa intensificazione dei licenziamenti il sistema non sarebbe in grado di far fronte sul piano economico, con un corrispondente aumento dei trattamenti di disoccupazione; e sul piano operativo, con i nuovi strumenti di servizio nel mercato del lavoro, fondati sulla cooperazione tra strutture pubbliche e agenzie specializzate, che ha bisogno di un periodo di collaudo di uno o due anni. Una improvvisa intensificazione dei licenziamenti avrebbe anche l’effetto di un diffuso allarme sociale, con le conseguenti prevedibili pressioni sul governo e il Parlamento affinché venga sospesa l’applicazione della nuova disciplina. E questo generando incertezza sulla stabilità del quadro legislativo rischierebbe di neutralizzare l’effetto positivo della riforma sulla propensione delle imprese a investire e ad assumere.
Insomma: mentre per un verso la mobilità spontanea disporrà degli strumenti contrattuali per continuare a manifestarsi, anche nell’area coperta dall’articolo 18, per altro verso ci sono motivi decisivi per scegliere la strada del passaggio graduale dal vecchio regime ispirato al modello della job property al nuovo regime ispirato ai principi della flexsecurity. Nulla vieterà, poi, quando saranno evidenti i vantaggi per tutti, lavoratori e imprese, del nuovo regime, di accelerare la transizione anche per i vecchi rapporti.