La Regione del Veneto, in conformità alle “Linee guida in materia di tirocini” (di seguito “Linee guida”) definite in data 24.01.2013 dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, attuativi dell’art. 1, 34° comma, l. 92/2012, ha disciplinato la materia all’Allegato Adel Dgr n. 1324 del 23.07.2013 contenente “Disposizioni in materia di tirocini ai sensi dell’art. 41 della legge regionale 13 marzo 2009 n. 3” (di seguito “Allegato”)[1]. Al fine di aiutare gli operatori economici nell’applicazione della normativa, la Sezione Lavoro della Regione del Veneto ha pubblicato delle FAQ – Domande frequenti sulla nuova disciplina dei tirocini (di seguito “FAQ”)[2].
Sia l’Allegato, sia le Linee Guida, richiamano un concetto organizzativo, quello di “unità operativa”, come parametro di riferimento per la valutazione di importanti requisiti e limiti in materia di tirocini. La nozione di unità operativa è utilizzata:
- Per stabilire tetti massimi di utilizzo dei tirocinanti (c.d. clausola di contingentamento): l’art. 5 Allegato, riprendendo e specificando i contenuti in tal senso di cui all’art. 9 Linee Guida, stabilisce il numero massimo di tirocini attivabili in funzione del numero dei dipendenti a tempo indeterminato presenti nell’unità operativa (Fig. 1.1).
Fig. 1.1 – Schema del numero massimo di tirocini attivabili per unità operativa in funzione del numero dei dipendenti a tempo indeterminato.
Numero dipendenti a tempo indeterminato per unità operativa | Numero massimo tirocini attivabili |
Tra 1 e 5 (ovvero 0 se soggetti ospitanti = liberi professionisti o piccoli imprenditori) | 1 |
Tra 6 e 20 | 2 |
> 20 | 10% del numero dipendenti a tempo indeterminato nell’unità operativa, con arrotondamento all’unità superiore |
Sono esclusi dai limiti suddetti i tirocini a favore degli studenti in alternanza scuola-lavoro, dei disabili di cui all’art. 1, 1° comma, l. 68/1999 e dei soggetti persone svantaggiate in situazione di fragilità sociale, nonché degli immigrati richiedenti asilo e titolari di protezione internazionale. |
- Per indicare uno dei requisiti necessari del soggetto ospitante per l’attivazione dei tirocini: l’art. 5 Linee Guida dispone espressamente che “Il soggetto ospitante deve […] non avere procedure di CIG straordinaria o in deroga in corso per attività equivalenti a quelle del tirocinio, nella medesima unità operativa”. L’Allegato non contiene una disposizione di analogo tenore, tuttavia l’art. 11, 3° comma, lett. c) Allegato dispone che nella convenzione di tirocinio il soggetto ospitante è tenuto a dichiarare sotto la propria responsabilità “di non avere in corso sospensioni dal lavoro o procedure di licenziamento collettivo e, comunque, di non avere effettuato nei 12 mesi precedenti licenziamenti di lavoratori con mansioni equivalenti, fatti salvi quelli per giusta causa e per giustificato motivo soggettivo”. Non v’è dubbio che la disposizione di cui alle Linee guida sia vincolante anche se non espressamente richiamata dall’Allegato: ciò perché il contenuto delle linee guida indica taluni standard minimi la cui definizione e attuazione è di competenza delle normative regionali, che possono solamente fissare disposizioni di maggiore tutela[3].
Ed in effetti, alla domanda 34 delle FAQ, si è specificato che nelle premesse alla convenzione di tirocinio il soggetto ospitante debba dichiarare che “Nelle unità operative in cui si intende avviare tirocini non sono in corso sospensioni (CIGO, CIGS, CIG in deroga), né procedure di licenziamento collettivo, né sono stati effettuati licenziamenti per giustificato motivo oggettivo negli ultimi 12 mesi, per profili professionali equivalenti”.
Ciò detto, l’Allegato non fornisce la nozione di “unità operativa”; essa non è neppure menzionata nell’art. 1 Allegato, che pure è rubricato “Definizioni” e definisce il significato dei principali termini utilizzati nella regolamentazione.
Né tale nozione si rinviene nelle Linee Guida: dal confronto delle varie normative regionali in materia di tirocinio, si può affermare che non esista una nozione generale di “unità operativa” valevole su tutto il territorio nazionale, né risulta automatica l’equivalenza tra tale nozione e quella di “unità produttiva” utilizzata dalla legislazione statale, così come ricostruita dalla giurisprudenza (Fig 1.2.).
Fig. 1.2 – Quadro sinottico del concetto di “unità operativa” nelle differenti regolamentazioni regionali e provinciali autonome
Regione/Provincia autonoma | Nozione e riferimenti normativi |
Abruzzo |
L’Allegato 1 del Dgr. 704 del 04.11.2014 dispone che i tirocini debbano essere attivati presso la “sede o unità operativa”, ma tali concetti, non definiti, non sono utilizzati ai fini della clausola di contingentamento né per valutare l’assenza di procedure collettive di sospensione dal lavoro. |
Basilicata | Il Dgr. 116 del 30.01.2014 utilizza la nozione di “unità operativa” senza definirla. |
Calabria | Il Dgr. 268 del 29.09.2013 utilizza la nozione di “unità operativa” senza definirla. |
Campania | Il Regolamento 29.11.2013, n. 7 utilizza la nozione di “unità operativa”, senza definirla. |
Emilia-Romagna | La legge regionale n. 7/2013 utilizza la nozione di “unità produttiva”, senza fornirne alcuna definizione, e così gli atti attuativi della Giunta regionale. |
Friuli-Venezia Giulia |
Il DpReg 13.09.2013, n. 166 utilizza la nozione di “unità operativa”, definita nelle FAQ[4] “la sede di svolgimento del tirocinio”. |
Lazio |
Il Dgr n. 199 del 18.07.2013 utilizza la nozione (non definita) di “sede operativa”, distinta dalla nozione di “sede legale”. |
Liguria |
L’Allegato al Dgr n. 1052 del 05.08.2013 utilizza la nozione di “unità operativa”. Non si rinviene alcuna definizione. |
Lombardia |
Il Dgr. X/825 del 25.10.2013 utilizza il concetto di “unità operativa” ma non lo definisce, neppure nelle FAQ. Tuttavia per Assolombarda occorre fare riferimento al concetto di “unità produttiva” di cui al d. lgs. 81/2008[5]. |
Marche | L’Allegato A del Dgr. n. 1134/2013 utilizza la nozione di “unità operativa”, senza definirla. |
Molise |
Il Dgr. 600 del 18.11.2013 utilizza la nozione di “sedi o unità operative”, ed in particolare in nota all’art. 10 si definisce unità operativa “qualunque articolazione autonoma d’impresa, che sia idonea ad espletare, in tutto o in parte, l’attività di produzione di beni o servizi costituente l’oggetto sociale aziendale e quindi che risulti dotata, oltre che della necessaria autonomia, anche di tutti quegli strumenti necessari alla funzione produttiva dell’impresa”. |
Piemonte |
L’Allegato al Dgr n. 74-5911 del 03.06.2013 utilizza la nozione di “unità operativa”, che, ai sensi delle FAQ[6] è da intendersi quale “unità produttiva: costituisce unità produttiva una qualsiasi articolazione organizzativa dell’impresa, caratterizzata da un minimo di complessità e intesa alla realizzazione di una o più parti dell’attività dell’impresa”. |
Puglia | La l. r. 23/2013 ed il RG. 10.03.2014, n. 3 utilizzano la nozione di “unità produttiva”, senza definirla. |
Sardegna | L’Allegato al Dgr. 44/11 del 23.10.2013 utilizza la nozione di “unità operativa”, ma non la definisce. |
Sicilia |
L’art. 51 l.r. 26.03.2002, n. 2 come modificato dall’art. 68 l.r. 15.05.2013, n. 9, non utilizza la nozione di “unità operativa”, ma, con specifico riguardo alla clausola di contingentamento, fa riferimento ai dipendenti a tempo indeterminato e determinato impiegati presso il “datore di lavoro”. |
Toscana |
Il Regolamento 08.08.2003, n. 47/R, e successive modificazioni, utilizza la nozione di “unità produttiva”, senza darne una definizione. |
Umbria |
Il Dgr. 02.12.2013 n. 1354 utilizza la nozione di “unità operativa” senza definirla, distinta dalla nozione di “sede legale”. |
Valle d’Aosta |
L’Allegato al Dgr. n. 1496 del 23.10.2015 utilizza, salvo che in una sola occasione all’art. 9 (“unità operativa”), la nozione di “unità produttiva”. Non è fornita alcuna definizione. |
Veneto |
L’Allegato A al Dgr n. 1324 del 23.07.2013 utilizza la nozione di “unità operativa”, che, ai sensi delle FAQ è da intendersi quale “la sede di lavoro, nel significato impiegato per le comunicazioni obbligatorie”. |
Provincia autonoma di Trento | L’Allegato alla Dgp. n. 737/2014 utilizza la nozione di “unità produttiva”, in alternativa a nozioni di “sede” e “filiale”. Non è fornita la definizione. |
Provincia autonoma di Bolzano | Nel Dgp n. 949/2013 non si utilizza la nozione di “unità operativa” o equivalenti, ma ci si riferisce a “strutture ospitanti”. |
Chiarire il significato di “unità operativa” è fondamentale: un’errata interpretazione può determinare una carenza di un presupposto e requisito necessario all’attivazione del tirocinio, sanzionata con la trasformazione del tirocinio in un ordinario rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, la relativa applicazione delle sanzioni amministrative applicabili a tale ipotesi e il recupero dei contributi previdenziali e premi assicurativi, (ex art. 14 Linee Guida), nonché con la comminazione della c.d. “maxisanzione per lavoro nero” (ex art. 3, 3° comma d.l. 12/2002, conv. l. 73/2002, come modificato da ultimo dall’art. 22, 1° comma, d. lgs. 151/2015)[7].
Per tal ragione, alla domanda 24 delle FAQ, così formulata “Cosa si intende per unità operativa?”, la Sezione Lavoro della Regione del Veneto fornisce la seguente risposta: “Il numero massimo dei tirocini ospitabili da un datore di lavoro si ricava dal numero dei dipendenti a tempo indeterminato presenti nella singola unità operativa. Per unità operativa si intenda semplicemente la sede di lavoro, nel significato impiegato per le comunicazioni obbligatorie. Il numero pertanto dei dipendenti a tempo indeterminato di un’unità operativa si desume dalla situazione che emerge dal riscontro delle comunicazioni obbligatorie”.
Le “comunicazioni obbligatorie” cui si fa riferimento si deve ritenere siano quelle richiamate dagli artt. 8 Linee Guida e 16 Allegato, ovvero la “comunicazione obbligatoria da parte del soggetto ospitante prevista dall’art. 9-bis, comma 2, del decreto-legge 1° ottobre 1996, n. 510 “Disposizioni urgenti in materia di lavori socialmente utili, di interventi a sostegno del reddito e nel settore previdenziale”, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 novembre 1996, n. 608, come modificato dalla legge 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 1180”.
Tale disposizione disciplina gli obblighi di comunicazione relativi all’instaurazione dei rapporti di lavoro, senza fornire la nozione di “sede di lavoro”, né essa si rinviene nel D.M. 30 ottobre 2007, che disciplina la relativa procedura telematica individuando il modello Unificato Lav da utilizzarsi ai fini della comunicazione di instaurazione del rapporto[8].
Per individuare il significato di “sede di lavoro”, assumono rilievo i nuovi standard tecnici relativi alle comunicazioni obbligatorie, di cui alle “Comunicazioni obbligatorie Modelli e regole Settembre 2016 v. 1.0.”, a cura del Ministero del Lavoro[9].
Nell’esporre la struttura del modulo Unificato Lav, viene esplicato il significato del campo “Comune – CAP – Indirizzo della sede di lavoro” relativo al “Quadro datore di lavoro”: “Si inseriscono i dati di localizzazione del luogo ove si svolge la prestazione di lavoro. In caso di lavoro a domicilio si riferiscono alla sede di lavoro in cui viene tenuto il registro aziendale dei lavoratori a domicilio. In caso di telelavoro si riferiscono alla sede di lavoro cui il lavoratore è assegnato come risultante dall’informativa scritta fornitagli ai sensi della Direttiva 91/533/CEE”. Per la comunicazione di instaurazione o proroga del rapporto di lavoro si riferiscono alla sede di lavoro assegnata all’atto dell’assunzione. In caso di comunicazione di trasferimento si riferiscono alla sede di lavoro cui il lavoratore viene trasferito. Per la comunicazione di distacco si riferiscono alla sede di lavoro del distaccante. Per la comunicazione di cessazione si riferiscono alla sede di lavoro cui il lavoratore è assegnato al momento della cessazione. Il comune si seleziona dalla tabella “comuni e stati esteri”. Il campo “comune sede di lavoro” identifica il servizio competente. Questi campi devono essere compilati anche se uguali a quelli della sede legale”[10].
Dunque appare chiaro come la sede di lavoro – e quindi l’unità operativa – consista nel luogo fisico in cui dovrà essere resa la prestazione di lavoro del tirocinante, quindi la sede legale, lo stabilimento, la filiale, il laboratorio, geograficamente localizzato mediante il suo indirizzo.
Benché la suddetta nozione di “unità operativa” rappresenti un’indicazione dell’amministrazione regionale di carattere meramente tecnico-operativo (le FAQ non costituiscono certamente una fonte del diritto tipica e vincolante), che a sua volta rinvia ad una nozione di “sede di lavoro” elaborata in via operativa dall’amministrazione ministeriale statale, deve ritenersi che tale sia il suo significato ai sensi della normativa della Regione del Veneto.
Vero è che la nozione di “unità operativa” in questione è notevolmente distante dalle nozioni di “unità produttiva” di cui alle fonti normative statali e all’elaborazione giurisprudenziale, fondate sul concetto di autonomia dell’articolazione organizzativa, cui inevitabilmente si sovrappone. Certamente il concetto “geografico” di unità operativa consente una maggiore semplicità applicativa del diritto per gli operatori economici, ma esigenze di uniformità e coerenza nell’ordinamento giuridico nazionale avrebbero reso più opportuno utilizzare la nozione di unità produttiva, come in effetti è stato deciso da altre Regioni. D’altra parte, neppure a livello di legislazione statale esiste una nozione di unità produttiva valida per l’intero ordinamento giuridico[11], e ciascuna Regione e Provincia autonoma, nell’ambito della competenza esclusiva in materia di tirocini[12], può decidere in piena autonomia se riferirsi a tale concetto organizzativo (o equivalenti), e quale significato attribuirvi.
Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro
Università degli Studi di Bergamo
[1] Cfr. I. Oddo, Veneto, in G. Bertagna – U. Buratti – F. Fazio – M. Tiraboschi (a cura di), La regolazione dei tirocini formativi in Italia dopo la legge Fornero, ADAPT University Press, 2013, pp. 240-250;I. Oddo, Le misure della Regione Veneto per favorire un utilizzo di “qualità” del tirocinio, in G. Bertagna – U. Buratti – F. Fazio – M. Tiraboschi (a cura di), La regolazione dei tirocini formativi in Italia dopo la legge Fornero, cit., pp. 312-315.
[2] Al momento in cui si scrive, le FAQ hanno ricevuto un ultimo aggiornamento nel settembre 2016.
[3]Cfr. M. Monetti, Gli standard minimi delle Linee Guida, in G. Bertagna – U. Buratti – F. Fazio – M. Tiraboschi (a cura di), La regolazione dei tirocini formativi in Italia dopo la legge Fornero, cit., pp. 28 ss; P.Zarattini– R.Pelusi, Manuale Lavoro 2016, Novecento Editore, 11° ed., p. 61.
[4]http://www.regione.fvg.it/rafvg/cms/RAFVG/formazione-lavoro/tirocini-apprendistato/FOGLIA106/faq/
[5]http://kitstage.assolombarda.it/regole/limiti-numero-stagisti.html
[6]http://www.regione.piemonte.it/lavoro/politiche/dwd/tirocini/faq_27genn2015.pdf
[7] Ciò trova conferma anche nella risposta alla domanda 46 delle FAQ.
[8] Il modello Unilav – Assunzione è infatti utilizzato anche per la comunicazione obbligatoria di avvio del tirocinio. Più precisamente, nella Regione del Veneto le comunicazioni obbligatorie devono essere effettuate tramite la piattaforma CoVeneto, ed ex art. 16 Allegato, l’obbligo di comunicazione di avvio del tirocinio (a carico del soggetto ospitante o per il tramite del soggetto promotore) è preceduto dall’obbligo di comunicazione del progetto formativo a carico del soggetto promotore. La comunicazione di avvio del tirocinio tramite modello Unilav-Assunzione precarica i dati già inseriti nella precedente comunicazione obbligatoria di progetto formativo, tra cui quelli relativi alla sede di lavoro. Cfr. CoVeneto – Comunicazioni Obbligatorie nel Veneto nel contesto del portale cliclavoroveneto.it – Manuale Utente – Versione 3.0.- data 01/12/2013, pp. 36-45.
[9] Come comunicato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali con la nota direttoriale prot. 33/5109 del 16 agosto 2016, tali nuovi standard tecnici relativi alle comunicazioni obbligatorie sono entrati in vigore il30settembre 2016.
[10]Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, Comunicazioni obbligatorie Modelli e regole Settembre 2016 v. 1.0., p. 9.
[11] Ad esempio, con riguardo al concetto di “unità produttiva” di cui agli artt. 35 l. 300/1970 e 2103 c.c.il consolidato orientamento giurisprudenziale (di legittimità e costituzionale) considera tale “qualsiasi articolazione autonoma dell’impresa, che sia idonea ad espletare, in tutto o in parte, l’attività di produzione di beni o di servizi costituente l’oggetto sociale aziendale e quindi che risulti dotata, oltre che della necessaria autonomia, anche di tutti gli strumenti sufficienti e necessari allo svolgimento della funzione produttiva dell’impresa” . In particolare, l’unità produttiva deve caratterizzarsi “per condizioni imprenditoriali di indipendenza tecnica e amministrativa”. Tale orientamento chiarisce sia il significato di “unità produttiva” di cui all’art. 4, 5° comma d. lgs. 66/2003 (cfr. Nota del Ministero del lavoro n. 497 del 13.06.2006), sia il significato di “unità produttiva” di cui al d. lgs. 148/2015 (cfr. Circolare dell’INPS n. 197/2015). Invece, ai sensi dell’art. 2, lett. t) d. lgs. 81/2008 è“unità produttiva” lo“stabilimento o struttura finalizzati alla produzione di beni o all’erogazione di servizi, dotati di autonomia finanziaria e tecnico funzionale”.
[12] Riconosciuta da Corte Cost., sentenza n. 50/2005.