Sono due i punti chiave della riforma della disciplina del contratto a termine.
In merito alla durata, si prevede che il datore di lavoro possa sempre instaurare rapporti di lavoro a tempo determinato senza causale, nel limite di durata di trentasei mesi e nel rispetto del 20% dell’organico complessivo. Viene così superata la precedente disciplina che limitava tale possibilità solo al primo rapporto di lavoro a tempo determinato nel limite di soli dodici mesi.
Il decreto legge fa comunque salvo quanto disposto dall’art. 10, comma 7, del d.lgs. n. 368/2001. Si lascia così alla contrattazione collettiva la possibilità di modificare tale limite quantitativo del 20% e si tiene conto delle esigenze connesse alle sostituzioni e alla stagionalità. Infine, per tenere conto delle realtà imprenditoriali più piccole, è previsto che le imprese che occupano fino a 5 dipendenti possano comunque stipulare un contratto a termine.
In relazione alla proroga, si prevede che la stessa per un contratto in corso di svolgimento sia sempre ammessa fino ad un massimo di otto volte nei trentasei mesi. Condizione di validità della proroga è il fatto che essa si riferisca alla stessa attività lavorativa per la quale il contratto è stato inizialmente stipulato. Alla proroga non si applica l’obbligo di rispettare intervalli minimi di tempo.
Le modifiche appena descritte, sono immediatamente operative. Si segnala però che le stesse sono state così messe a punto successivamente alla prima approvazione del provvedimento, sul quale il Ministero del Lavoro è intervenuto con alcune correzioni già all’indomani della seduta del Consiglio de Ministri.
Infatti nella prima versione del decreto legge, la possibilità di aumentare la durata del contratto a-causale da 12 a 36 mesi era stata limitata al solo caso del primo rapporto di lavoro. In relazione alla proroga poi, si era inizialmente prevista la possibilità di prorogare anche più di una volta il contratto a tempo determinato entro il limite normativo dei tre anni, senza tuttavia specificare un numero massimo di proroghe e sempre che sussistessero ragioni oggettive giustificative e ci si riferisse alla medesima attività lavorativa.
Le novità, specie alla luce delle correzioni subito apportate, danno corso, in chiave molto più spinta, a quanto iniziato dal d.l. n. 76/2013 per mitigare le rigidità della legge Fornero.
Ci sono però alcuni rilievi critici, specie per quel che concerne la funzione tecnico-giuridica della a-causalità legale.
L’eccesso di attenzione del legislatore verso il contratto a termine del resto è indicativo, non solo di contrapposte visioni sul lavoro temporaneo, ma anche, a ben vedere, di una complessiva incapacità di riformare il diritto del lavoro nel suo complesso e non solo con riferimento a forme di flessibilità al margine. Non sorprende pertanto, a circa otto mesi dall’entrata in vigore del Pacchetto Lavoro, la proposta di un nuovo intervento del legislatore che evidentemente ancora non ha sciolto, soprattutto in merito alla a-causalità dei contratti a termine, il nodo circa il giudizio di valore che esprime l’ordinamento giuridico verso le assunzioni a tempo determinato.
Con la prima modifica si generalizza indistintamente la a-causalità legale, introdotta dalla legge Fornero e rafforzata dal Pacchetto Lavoro che, da mera eccezione, diventa vera e propria regola nel limite dei trentasei mesi. Vengono così superati a monte i dubbi, sorti all’indomani delle due citate riforme, relativi alla possibilità di accedere all’istituto in presenza di un precedente rapporto di lavoro a tempo indeterminato.
Sono messe così direttamente in discussione le causali tipiche del contratto a termine, che ora solo dai trentasei mesi in poi assumono rilevanza; la misura risponde al duplice fine di incentivare l’occupazione e ridurre il contenzioso in materia.
Pare però che il prolungamento temporale a 36 mesi stravolga la ratio originaria della a-causalità legale – di concedere alle parti una “prova” lunga ma pur sempre contenuta – che pur era stata confermata dal Ministero del lavoro (si vedano Circ. Min. lav. 18 luglio 2012, n. 18 e Circ. Min. lav. 29 agosto 2013, n. 35). La modifica avrà dunque senso se a conclusione del triennio di prova molto lunga si prevedano incentivi alla stabilizzazione.
Il provvedimento incide poi sulla proroga del contratto a termine; la modifica riguarda indifferentemente il contratto causale e a-causale. Non sono però interessati i contratti di durata pari o superiore a tre anni per i quali, alla luce delle novità a suo tempo introdotte dalla legge 24 dicembre 2007, n. 247, la proroga rimane in ogni caso non applicabile.
Si supera così, fissando un tetto massimo al numero delle proroghe, quel rilievo di legittimità paventato nella prima versione del decreto legge, per contrasto con la direttiva europea sul lavoro a termine n. 70 del 1999, secondo la quale gli Stati Membri devono comunque limitare proroghe indiscriminate fissando.
Inoltre applicando la possibilità di più proroghe tout court anche al contratto a termine a-causale (entro il nuovo limite dei tre anni), si risolve a monte la questione, sorta all’indomani della approvazione del Pacchetto Lavoro, sulla necessità di motivazione di detta proroga a-causale.
Il decreto legge non interviene invece sulla successione dei contratti a termine nel tempo (cosiddetto stop and go) e sul regime degli intervalli obbligatori. Si lascia così intatta la regola introdotta dal Pacchetto Lavoro, nel rispetto della disciplina comunitaria in materia.
Nulla si dice poi sull’assunzione a termine dei lavoratori in mobilità e dei lavoratori in sostituzione di lavoratori licenziati al termine delle procedure collettive di riduzione di personale.
Oltre alle misure urgenti appena citate, il Consiglio dei Ministri ha anche approvato un disegno di legge delega che tocca il riordino delle forme contrattuali per renderle maggiormente coerenti con le attuali esigenze del contesto produttivo nazionale e internazionale, dal quale non si esclude possano derivare ulteriori novità strutturali in tema di contratto a termine.
Stando così le cose – nell’attesa della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, che potrebbe apportare ulteriori correzioni, e della conversione in legge – il decreto legge da una parte rompe la continuità col passato nel ribaltare il principio della specialità del rapporto di lavoro a tempo determinato. Dall’altra, dall’apertura ad una a-causalità temporalmente molto più spinta, emerge una forte tensione verso la liberalizzazione del mercato del lavoro che solo il tempo potrà comprovare se sia veramente in grado di porre un equilibrio dinamico tra le esigenze di flessibilità delle imprese e le istanze di tutela del lavoro.
Sta di fatto che la forte spinta alla a-causalità, seppure potenzialmente gradita alle imprese, pare contrastare con la logica di sistema e “tagliare le gambe” al contratto unico.
Senior Research Fellow di ADAPT
@MariaGiovannone