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Bollettino ADAPT 14 aprile 2020, n. 15
Il lavoro agile avviato in particolare nella pubblica amministrazione è di natura emergenziale.
Questo dettaglio, per nulla trascurabile, viene invece fin troppo spesso ignorato, nelle analisi che si stanno facendo della disciplina normativa.
La convinzione che il lavoro agile presupponga la messa a disposizione dei mezzi a carico del lavoratore discende dalla lettura distorta della disciplina, vista non come derogatoria e d’emergenza, ma alla stregua di regola a regime.
Le cose non stanno così. Ai sensi dell’articolo 87 del d.l. 18/2020 il lavoro agile è la modalità ordinaria di svolgimento della prestazione lavorativa nelle pubbliche amministrazioni “fino alla cessazione dello stato di emergenza epidemiologica da COVID-2019, ovvero fino ad una data antecedente stabilita con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione”.
Cessata l’emergenza, il lavoro agile sarà un’eredità positiva alla quale non rinunciare, ma non potrà non cambiare nella sua regolazione.
L’articolo 87 citato, contiene anche il seguente comma 2: “la prestazione lavorativa in lavoro agile può essere svolta anche attraverso strumenti informatici nella disponibilità del dipendente qualora non siano forniti dall’amministrazione”.
Questa norma va letta evidentemente:
- in strettissima connessione con lo stato di emergenza: il lavoro agile ha permesso alle pubbliche amministrazioni di non chiudere, ma di continuare a svolgere gran parte delle proprie attività, nel rispetto delle regole di distanziamento sociale;
- alla luce dell’assenza quasi totale di investimenti in risorse informatiche e telematiche nella PA, tanto che nel corso del triennio previsto dall’articolo 14 della legge 124/2015 per giungere entro il 2018 ad una percentuale si smart worker nella PA pari ad almeno il 10% dei dipendenti pubblici, in effetti una percentuale forse vicina all’1% è stata riorganizzata in lavoro agile;
Quindi, la realtà è una ed è chiara: la normativa d’emergenza ha previsto la possibilità (non l’obbligo) che i mezzi di lavoro telematico fossero messi a disposizione dal dipendente, per la consapevolezza che i datori pubblici non hanno dotato minimamente i dipendenti pubblici degli strumenti necessari.
Ma, l’articolo 87 del d.l. 18/2020 deve essere visto nel suo insieme e nell’insieme della normativa emergenziale complessiva. E, allora, non si deve dimenticare che l’articolo 18 del d.l. 9/2020 incentiva l’acquisizione estesissima proprio di strumenti finalizzati al potenziamento del lavoro agile nella pubblica amministrazione. La rubrica di questo articolo è assai chiara: “Misure di ausilio allo svolgimento del lavoro agile da parte dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni e degli organismi di diritto pubblico”.
Non si esclude per nulla, dunque, che il datore pubblico investa in strumentazioni da attribuire ai dipendenti in lavoro agile, in un futuro, che potrebbe anche essere immediato.
Si deve, infatti, tenere conto anche della previsione contenuta nell’articolo 75 del d.l. 18/2020, ai sensi del quale: “al fine di agevolare la diffusione del lavoro agile di cui all’articolo 18 della legge 22 maggio 2017, n. 81, favorire la diffusione di servizi in rete e agevolare l’accesso agli stessi da parte di cittadini e imprese, quali ulteriori misure di contrasto agli effetti dell’imprevedibile emergenza epidemiologica da COVID-19, le amministrazioni aggiudicatrici, come definite dall’articolo 3 decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, nonché le autorità amministrative indipendenti, ivi comprese la Commissione nazionale per le società e la borsa e la Commissione di vigilanza sui fondi pensione, in deroga ad ogni disposizione di legge diversa da quella penale, fatto salvo il rispetto delle disposizioni del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, sono autorizzate, sino al 31 dicembre 2020, ad acquistare beni e servizi informatici […]”.
Dunque, nulla esclude che le amministrazioni pubbliche investano proprio in dotazioni informatiche, per favorire la diffusione e la “stabilizzazione” del lavoro agile. Occorre prendere atto che fino all’arrivo del vaccino, non sarà possibile un ritorno al passato. Il lavoro agile non potrà non essere comunque un sistema di organizzazione del lavoro “ordinario” o, quanto meno, “concorrente” con le modalità organizzative tradizionali, che richiedono la presenza in un certo luogo di lavoro. Dunque, è necessario investire per migliorare ulteriormente la gestione del lavoro ed assicurare connessioni veloci con strumenti di gestione adeguatamente potenti.
D’altra parte, l’articolo 18, comma 2, della legge 81/2017, che regola il lavoro agile in tempi normali e non di emergenza, dispone che “il datore di lavoro è responsabile della sicurezza e del buon funzionamento degli strumenti tecnologici assegnati al lavoratore per lo svolgimento dell’attività lavorativa”.
Quindi, anche la norma ordinaria non esclude per nulla che il datore di lavoro attribuisca agli smart workers adeguati strumenti tecnologici: nell’interesse della sicurezza del lavoratore, ma anche dell’efficienza produttiva.
E’, anzi, largamente opportuno che il datore investa negli strumenti tecnologici. Il lavoro agile un po’ “fai da te” che le amministrazioni hanno dovuto improvvisare da un momento all’altro è certamente condizionato dalla velocità più o meno forte delle connessioni da casa, dalle prestazioni più o meno elevate dei device, dai contratti telefonici flat o a consumo; non tutti i lavoratori agili, in questa situazione data, sono nella condizione di rendere la prestazione potenzialmente nello stesso modo.
Se, dunque, nell’immediato è ancora difficile organizzare il lavoro agile prescindendo dalla messa a disposizione da parte del lavoratore degli strumenti, sempre più man mano che il datore pubblico (come anche quello privato) si adatta, sempre più occorre investire. Del resto, periodicamente qualsiasi datore non può non rinnovare il parco delle dotazioni informatiche (e se è vero che moltissime amministrazioni in questo risultano inadempienti, questa constatazione non giustifica di certo la colpevole trascuratezza negli adeguamenti tecnologici). Dunque, si apre l’occasione, anzi l’obbligo, di un vastissimo rinnovo delle dotazioni informatiche e telematiche, per organizzare i lavoratori sempre in ottica di lavoro agile. Il che oltre ad imporre la diffusione del cloud e delle VPN come modalità normale di scambio e gestione dei dati, obbliga anche a vedere il lavoratore comunque come uno smart worker, la cui “sede” di lavoro sia “ovunque”, il che porta a disabituarsi alla postazione di lavoro “del dipendente”. Questo non dovrà più avere un ufficio “suo”, uno spazio “assegnato”, ma abituarsi a trovare postazioni “disponibili”, tenute da ciascun potenziale fruitore ordinate e pulite, perché siano utilizzate da “chiunque”.
Occorrerà, quindi, anche un investimento nella formazione. Non solo finalizzato all’apprendimento delle tecnologie (reti, cloud, video conferenze, negoziazioni digitali), ma anche all’apprendimento delle nuove modalità organizzative e logistiche connesse col lavoro agile.
Luigi Oliveri
ADAPT Professional Fellow