Il lavoro accessorio alla prova del correttivo: un sistema sanzionatorio fragile e incoerente

Fra gli interventi maggiormente attesi e annunciati del decreto correttivo ai decreti delegati attuativi della legge n. 183/2014, cd. Jobs Act, vi è senz’altro quello che attiene al lavoro accessorio.

 

Tanta la centralità – in termini di politica del diritto – assegnata alla portata emendativa sul lavoro mediante voucher che le relative disposizioni dello schema di decreto legislativo approvato dal Consiglio dei Ministri nella seduta di venerdì 10 giugno 2016 rappresenta l’unica correzione proposta dal Governo al Parlamento per l’intero d.lgs. n. 81/2015, che pure un anno fa (la norma è in vigore dal 25 giugno 2015) era intervenuto per “semplificare” e “unificare” in un unico testo normativo la disciplina dei contratti individuali di lavoro.

 

A voler sintetizzare la portata normativa dell’art. 1 dello schema del decreto correttivo in materia di lavoro accessorio, attiene al chiarimento dei limiti di operatività del voucher in agricoltura e alla specificazione dei termini della comunicazione preventiva per l’attivazione delle prestazioni di lavoro accessorio con la contestuale introduzione di una nuova specifica sanzione amministrativo per l’omessa o irregolare effettuazione dell’adempimento informativo preliminare.

 

Se la prima delle due modifiche si limita, sostanzialmente, a svincolare gli imprenditori agricoli dal doppio limite economico sancito dall’art. 48, comma 1, del d.lgs. n. 81/2015, la seconda correzione, invece, si palesa per una clamorosa incoerenza di fondo, giacché l’intervento rispetto al termine massimo di effettuazione della comunicazione preventiva (obbligo che deve essere adempiuto almeno un’ora prima dell’inizio della prestazione di lavoro) apparentemente stringente, si accompagna il venire meno della delimitazione della comunicazione ad un arco temporale non superiore ai trenta giorni successivi che, pertanto, legittima una comunicazione unica per interi mesi di lavoro accessorio (tranne in agricoltura dove si pone il limite temporale massimo a una settimana di lavoro accessorio), abbandona le strumentazioni telematiche (passando da una comunicazione effettuata attraverso modalità telematiche, che comprendeva anche sms o posta elettronica a questi ultimi due strumenti in via esclusiva) e, ancor più gravemente, ad una sanzione amministrativa ad hoc (che replica quella già prevista dall’art. 15, comma 3, del d.lgs. n. 81/2015 per il lavoro intermittente) che, tuttavia, delinea un sistema sanzionatorio fragile e, soprattutto, incoerente rispetto alle finalità della norma del decreto correttivo che dichiaratamente si volge a contrastare fenomeni di utilizzo irregolare, fraudolento e abusivo del lavoro accessorio, giacché viene fortemente ridotta (se non quasi azzerata) la possibilità di applicare la maxisanzione contro il lavoro sommerso nei casi di omessa comunicazione come con l’attuale testo del d.lgs. n. 81/2015 accade ordinariamente.

 

Tali osservazioni, peraltro, trovano maggiore e migliore consolidamento in un’analisi di dettaglio dei due interventi di correzione proposti dal Governo.

 

 

I limiti economici di utilizzo del voucher non agricolo

 

Più specificamente l’art. 1, comma 1, lettera a), dello schema di decreto delegato conferma i limiti sanciti dall’art. 48, comma 1, del d.lgs. n. 81/2015 per quanto attiene alle prestazioni di lavoro accessorio rese nei confronti dei committenti imprenditori non agricoli o professionisti, con riferimento, quindi, a compensi superiori a 7.000 euro netti (pari a 9.333 euro lordi, soggetti a rivalutazione annuale sulla base delle variazioni dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie degli operai e degli impiegati) nel corso di un anno civile (dal 1° gennaio al 31 dicembre di ciascun anno, Circolare Inps n. 149/2015), rispetto alla totalità dei committenti, con un ulteriore limite per ciascun singolo committente pari a 2.000 euro (pure soggetto a rivalutazione annuale), inferiore rispetto ai 2.020 euro oggi in vigore (cfr. Circolare Inps n. 149/2015, per un lordo di 2.693 euro).

 

La norma conferma, dunque, il doppio limite economico: quello generale inteso, per ciascun percipiente, come cumulativo rispetto alla totalità dei committenti e quello specifico riferito al singolo committente imprenditore non agricolo o professionista.

 

Rimane, conseguentemente, confermato quanto sancito dal Ministero del Lavoro con Circolare n. 35/2013 secondo cui “la legittimità del ricorso all’istituto va verificata esclusivamente sulla base dei limiti di carattere economico”.

 

 

Il voucher in agricoltura

 

Un secondo intervento riformatore attiene al lavoro accessorio in agricoltura: l’art. 1, comma 1, lettera b), dello schema di decreto correttivo modifica l’alinea dell’art. 48, comma 3, del d.lgs. n. 81/2015 per sancire che il doppio limite previsto dal comma 1 dello stesso articolo non riguarda le prestazioni di lavoro accessorio rese in agricoltura, le quali, dunque, seguitano ad essere soggette al solo limite complessivo di 7.000 euro netti, anche per il singolo committente, fermo restando l’ammissibilità per:

1. a) le prestazioni di natura occasionale rese in attività agricole di carattere stagionale da pensionati e da giovani con meno di 25 anni di età (con le limitazioni soggettive rispetto agli impegni scolastici già oggi vigenti);

2. b) le prestazioni svolte a favore degli agricoltori con basso volume di affari, secondo le disposizioni di cui all’art. 34, comma 6, del D.P.R. n. 633/1972 (che hanno realizzato l’anno precedente, o prevedono di realizzare in caso di inizio attività, un volume d’affari non superiore a euro 7.000, costituito per almeno due terzi da cessione di prodotti), che non possono, tuttavia, essere svolte da persone iscritte, nell’anno precedente, negli elenchi anagrafici dei lavoratori agricoli.

3. Il decreto correttivo, dunque, nei suoi primi due interventi si limita sostanzialmente ad esonerare il settore agricolo dal limite condizionante già oggi imposto ai committenti imprenditori e professionisti, in qualche misura legittimando un maggiore ricorso al lavoro accessorio in agricoltura, pure nel contesto delle due peculiarità soggettive ed oggettive sopra richiamate e ribadite nel quadro regolatorio riformato.

 

 

La comunicazione preventiva

 

Senza dubbio più dirompente, tuttavia, appare la modifica contenute nell’art. 1, comma 1, lettera c), dello schema di decreto correttivo, che riscrive integralmente l’art. 49, comma 3, del d.lgs. n. 81/2015.

La disposizione, che il decreto di riforma vorrebbe sostituire, ha introdotto nell’ordinamento uno specifico obbligo di comunicazione preventiva alla Direzione territoriale del lavoro, per i soli committenti imprenditori o professionisti, che deve riguardare i dati anagrafici, il codice fiscale del lavoratore e il luogo della prestazione, per le attività di lavoro accessorio relative ad un arco temporale non superiore a 30 giorni, da effettuarsi con modalità telematiche, anche attraverso sms o posta elettronica. Tale nuova comunicazione obbligatoria si presenta destinata a sostituire la comunicazione preventiva telematica semplificata disciplinata dalla Circolare Inps n. 177/2013 (in base agli artt. 2 e 5 del D.M. 12 marzo 2008, attuativo dell’art. 72, comma 5, del D. Lgs. n. 276/2003), rivolta tuttavia alla generalità dei committenti, mentre la nuova comunicazione interessa, come detto, esclusivamente i committenti imprenditori o professionisti. Fatto sta, però, che ad oltre un anno di distanza dall’entrata in vigore della norma la stessa non è mai stata resa operativa, per cui – come chiarito dal Ministero del Lavoro con nota n. 3337/2015 – la comunicazione telematica preventiva è ancora oggi effettuata secondo le procedure di cui alla Circolare Inps n. 177/2013.

 

L’art. 1, comma 1, lettera c), dello schema di decreto correttivo sostituisce, dunque, il terzo comma dell’art. 49 del d.lgs. n. 81/2015, anzitutto, per sostituire la Direzione territoriale del lavoro, con la sede territoriale competente dall’Ispettorato nazionale del lavoro, istituito dal d.lgs. n. 149/2015, di cui al DPR n. 109/2016, quale autorità destinataria della comunicazione preventiva.

 

In secondo luogo l’intervento correttivo interviene rispetto al termine massimo di effettuazione della comunicazione preventiva, che esige l’adempimento almeno un’ora prima dell’effettivo inizio della prestazione di lavoro accessorio.

 

Il terzo profilo di modifica sostanziale dell’obbligo di comunicazione preventiva già introdotto dal d.lgs. n. 81/2015 nel testo vigente, seppure non attuato, riguarda il venire meno della delimitazione della comunicazione ad un arco temporale non superiore ai trenta giorni successivi alla comunicazione stessa. Il decreto correttivo, quindi, per i committenti imprenditori non agricoli o professionisti legittima una comunicazione unica per interi mesi di lavoro accessorio, giacché la norma pone un limite temporale soltanto al lavoro accessorio reso in agricoltura dove si sancisce che la comunicazione deve riguardare al massimo un arco temporale di sette giorni.

 

Il quarto aspetto correttivo attiene ai contenuti della comunicazione, se la norma vigente, infatti, richiede l’esplicita indicazione dei dati anagrafici e del codice fiscale del lavoratore (oltre a luogo della prestazione e durata della stessa per un massimo di trenta giorni), la disposizione del decreto correttivo richiede alternativamente i dati anagrafici o il codice fiscale del lavoratore, in ottica chiaramente semplificatoria per l’utilizzo del lavoro accessorio.

 

Infine, ma forse soltanto per una sbadata costruzione tecnica della norma, il decreto correttivo sembra voler abbandonare le strumentazioni telematiche, oggi espressamente previste dalla disposizione in vigore, passando da una comunicazione da effettuarsi attraverso modalità telematiche, comprendenti anche sms o posta elettronica, a una comunicazione effettuata esclusivamente attraverso sms o posta elettronica; né pare adeguatamente robusta la previsione che rimanda ad “ulteriori modalità di comunicazione in funzione dello sviluppo delle tecnologie”, a fronte di una esplicita abrogazione del vigente richiamo alle “modalità telematiche”.

 

In buona sostanza, dunque, il quadro regolatorio della nuova comunicazione preventiva si presenta in un chiaro-scuro, nel quale le ombre e le luci si rincorrono e si confondono, impedendo di individuare con reale sicurezza il perseguimento della finalità annunciata di “garantire la piena tracciabilità dei voucher”, la quale, invero, potrebbe essere seriamente perseguita soltanto obbligando ad un limite temporale massimo la generalità delle prestazioni di lavoro accessorio che possono formare oggetto di una stessa comunicazione (oggi 30 giorni) e precisando, con espressa previsione normativa, che la durata della prestazione deve essere indicata con esplicita dichiarazione delle singole giornate e del numero di ore di lavoro accessorio previsti nell’arco temporale al quale la comunicazione fa riferimento, aspetto che nel testo vigente e, ancor più, in quello dello schema di decreto correttivo è assente.

 

 

La nuova sanzione amministrativa per l’omessa comunicazione

 

D’altra parte, nel sostituire l’art. 49, comma 3, del d.lgs. n. 81/2015, l’art. 1, comma 1, lettera c), dello schema di decreto correttivo, recupera la previsione contenuta nell’art. 15, comma 3, del D.Lgs. n. 81/2015 a garanzia di effettività dell’analoga comunicazione preventiva per le prestazioni di lavoro intermittente, sancendo che per ciascun lavoratore accessorio per il quale sia stata omessa la comunicazione preventiva venga applicata una sanzione pecuniaria amministrativa da euro 400 ad euro 2.400, rispetto alla quale viene espressamente esclusa la possibilità di applicare la procedura di diffida precettiva di cui all’art. 13 del D.Lgs. n. 124/2004 (per cui nessuna differenza potrà essere operata, sul piano sanzionatorio, fra chi omette del tutto la comunicazione e chi la effettua tardivamente anche in assenza di qualsiasi controllo ispettivo ovvero di qualsiasi impulso esterno a regolarizzare la condotta materialmente sanabile, in palese contrasto con la legge n. 183/2014 che incentivava il ricorso agli istituti premiali e di immediata regolarizzazione come la diffida appunto).

 

Ne deriva, dunque, che il committente, al fine di estinguere l’illecito amministrativo, sarà ammesso esclusivamente al pagamento della sanzione pecuniaria in misura ridotta, ai sensi dell’art. 16 della legge n. 689/1981, nella misura pari a 800 euro per ciascuna comunicazione omessa e per ciascun lavoratore al quale la stessa faccia riferimento.

 

Peraltro, non soltanto la mera omissione della comunicazione risulta sanzionabile, ma anche l’avere effettuato la comunicazione con modalità e strumenti difformi da quelli previsti dalla legge, ovvero per averla effettuata priva dei contenuti essenziali richiesti dalla norma.

 

 

Lo spazio minimo per la maxisanzione contro il sommerso

 

Tuttavia, come anticipato in premessa, il nuovo contenuto dell’art. 49, comma 3, del d.lgs. n. 81/2015, come delineato dall’art. 1, comma 1, lettera c), dello schema di decreto correttivo, traccia un sistema sanzionatorio fragile e decisamente incoerente rispetto alle finalità della norma.

 

Se, infatti, come chiaramente emerge dalle indicazioni del Governo, il decreto correttivo è volto a contrastare ipotesi di ricorso abusivo, irregolare e fraudolento a prestazioni di lavoro accessorio, la previsione di una esplicita sanzione amministrativa per la violazione degli obblighi relativi alla comunicazione preventiva per l’utilizzo dei voucher, riduce fortemente, e quasi azzera, la possibilità di applicare la maxisanzione contro il lavoro sommerso nei casi di omessa comunicazione come, invece, accade con il testo vigente del d.lgs. n. 81/2015.

 

La Circolare n. 4/2013 del Ministero del Lavoro, infatti, richiama la centralità della comunicazione preventiva ai fini della regolarità della prestazione e per non incorrere nella maxisanzione che va applicata dagli Ispettori del lavoro quando manca la comunicazione preventiva, perché si tratta di una ipotesi di non sussistenza del «titolo» che legittima l’utilizzo del lavoro accessorio, pertanto la prestazione resa deve considerarsi «in nero», in quanto si ha una «prestazione di fatto, non censita preventivamente» dalle strutture pubbliche chiamate dalla legge a vigilare sulla corretta attuazione dell’istituto.

 

Con il nuovo testo, invece, nessuna maxisanzione potrà essere applicata con riferimento all’omesso adempimento dell’obbligo di comunicazione preventiva, se non nell’ipotesi in cui il committente imprenditore o professionista non abbia provveduto ad acquistare preventivamente (“per ricorrere a prestazioni di lavoro accessorio”), “esclusivamente attraverso modalità telematiche”, i buoni orari, numerati progressivamente e datati, a norma dell’art. 49, comma 1, del d.lgs. n. 81/2015. Né potrà sostenersi agevolmente che la nuova sanzione amministrativa interesserà soltanto le comunicazioni preventive effettuate senza i contenuti richiesti dalla norma o con contenuti in tutto o in parte incompleti o non corretti, mentre per l’omessa comunicazione rimarrebbe applicabile la maxisanzione contro il sommerso, perché il testo dell’art. 1, comma 1, lettera c), dello schema di decreto correttivo fa espresso riferimento alla violazione degli obblighi di comunicazione e non limitatamente ai contenuti in tutto o in parte omessi nella comunicazione preventivamente effettuata.

 

 

Pierluigi Rausei

ADAPT Professional Fellow e Docente di Diritto sanzionatorio del lavoro (*)

@RauseiP

 

 

(*) Le considerazioni contenute nel presente intervento sono frutto esclusivo del pensiero dell’Autore e non hanno carattere impegnativo per l’Amministrazione alla quale appartiene.

 

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Il lavoro accessorio alla prova del correttivo: un sistema sanzionatorio fragile e incoerente
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