Vivere sugli scambi e non più sui binari. Sarà questo il futuro dei nostri figli o dei nostri nipoti. Può essere un’esistenza più ansiogena, è vero, ma anche più eccitante. Può essere una vita più complicata, ma anche riservare una sorte più luminosa. Può essere un destino che inquieta (soprattutto per noi padri o nonni), ma forse che sorriderà di più.
Può piacere o meno, ma questo, comunque, sarà il loro futuro.
Non era necessario, forse, che arrivassero gli ultimi studi d’oltreoceano sulle prospettive di vita e di lavoro dei nostri giovani per comprendere quanto sia sbagliato immaginare per loro percorsi che, con qualche aggiornamento tecnologico, possano ripercorrere le nostre strade. Come sia sbagliato pensare che gli studi dell’adolescenza e le scelte della giovinezza possano offrire un indirizzo sicuro, sostanzialmente univoco, al corso di una professione, alla progressione di quella che, una volta, si chiamava una carriera. Eppure, queste ricerche, con la freddezza di numeri e l’autorevolezza degli autori, magari ci costringono a guardare quello che preferiremmo non vedere, a rassegnarci a un futuro che non assomiglierà al nostro passato e, soprattutto, a preparare i nostri giovani in modo che possano affrontarlo con successo.
Negli ultimi due secoli, nonostante gli enormi cambiamenti provocati dalla rivoluzione industriale, dai progressi della scienza e della tecnologia, da una molto più veloce mobilità sociale, i percorsi di preparazione alla vita, agli studi, alle professioni hanno mantenuto la costante di un indirizzo sostanzialmente univoco, prevedibile nel costruire esistenze programmate attraverso scelte che si compivano nei primi vent’anni e che assicuravano destini di lavoro protratti fino alla pensione.
Il tragitto non solo prevedeva, in genere, un binario unico, ma si svolgeva, sempre in genere, in un ambito piuttosto ristretto, sia di spazio, sia di tempo. Se, poi, condizioni straordinarie, come guerre, carestie, povertà drammatiche, costringevano a bruschi cambi di indirizzo della vita, la svolta era definitiva e non consentiva, tranne casi eccezionali, ritorni all’indietro o altre variazioni di percorso.
Dagli ultimi vent’anni e per i prossimi vent’anni, almeno, questo schema esistenziale è completamente saltato. Quel percorso è diventato imprevedibile, spesso a zig-zag, senza tappe assicurate, né sbocchi garantiti, tale da mettere in forte discussione i modi e i tempi delle preparazioni dei giovani al loro futuro. I lavori del ventunesimo secolo non cambieranno solo gli strumenti della professione, non saranno aggiornati solo dal progresso degli studi e delle tecniche, ma muteranno la loro identità, le loro applicazioni, al punto tale da rendere estremamente variabile il circuito delle competenze per esercitarli.
Ecco perché conterà dí più l’attitudine a una estrema curiosità intellettuale e meno una tradizionale preparazione scolastica e universitaria. Sarà importante la disponibilità al cambiamento, di luoghi, di ambienti, di situazione familiare, la flessibilità delle vocazioni, l’interdisciplinarietà dell’apprendimento. Insomma, servirà una solida cultura di base, indirizzata più a sviluppare una molteplicità di interessi e meno a fornire non solo un bagaglio di nozioni, ma neanche una specifica professionalità.
La scuola, le nostre università dovrebbero adeguare studi e mentalità a questo straordinario cambiamento, ma le resistenze, lo sappiamo, sono tenaci. D’altra parte, la conservazione, in tutti campi, è la condanna della società italiana d’oggi. Ma l’ostacolo più grosso al futuro dei nostri giovani viene da noi. Quando pensiamo che saranno destinati ad essere meno felici di noi, perché meno sicuri delle loro sorti. Quando vorremmo proteggerli da esperienze che non abbiamo conosciuto, da incontri che non ci sono capitati, da curiosità che non abbiamo avuto. Quando gettiamo la nostre paure sulle loro spalle, anche perché sappiamo che loro, con uno sberleffo, le scrolleranno via.
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Il lavoro cambia troppo in fretta per la scuola