Il lavoro delle donne nella crisi pandemica e la sfida della conciliazione

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Bollettino ADAPT 8 marzo 2021, n. 9

 

Se le donne sono state in prima linea nei settori che hanno dovuto assicurare la continuità delle attività durante la crisi pandemica, spesso con alti rischi per la salute, i dati Istat sui posti di lavoro persi a partire dal secondo trimestre 2020 fanno emergere chiaramente che sono state anche più duramente colpite, rispetto agli uomini, dalla crisi occupazionale che ha interessato diversi settori ad alto tasso di femminilizzazione. Altrettanto preoccupante è l’aumento del tasso di inattività, cha a dicembre 2020 era di 2 punti percentuali superiore rispetto all’anno precedente per le donne, mentre è cresciuto dello 0,9% per gli uomini.

 

Ad essere colpite sono state le lavoratrici con contratto di lavoro a tempo determinato e le autonome, e mentre si iniziano a temere i possibili effetti del venir meno dello “scudo” del blocco dei licenziamenti, studi autorevoli segnalano che i posti persi nei settori in crisi non saranno facilmente recuperati per via di difficoltà legate alla settorialità e al livello delle competenze dei lavoratori coinvolti, difficilmente trasferibili in altri settori.

Per le donne, in particolare, anche il grande capitolo della transizione ecologica, che dovrebbe trainare la ripresa con la creazione di nuovi posti di lavoro nell’economia verde, presenta luci ed ombre, trattandosi un settore dove, purtroppo, le donne sono sottorappresentate e che difficilmente potrà rappresentare la meta professionale anche delle giovani e giovanissime, alla luce delle scelte educative che ancora confermano il debole orientamento delle ragazze verso le discipline tecnico-scientifiche.

 

Anche nei settori in cui non ci sono stati significativi cali occupazionali, d’altra parte, le donne che hanno continuato a lavorare hanno affrontato come noto seri problemi in particolare sul fronte della conciliazione tra vita e lavoro, ed è riemerso alla attenzione di tutti il dato del persistente squilibrio nelle responsabilità familiari tra uomini e donne.

La crisi pandemica (si rimanda all’ampia raccolta di contributi contenuta in: D. Garofalo, M. Tiraboschi, V. Filì, F. Seghezzi (a cura di), Welfare e lavoro nella emergenza epidemiologica. Contributo sulla nuova questione sociale – Volumi I-II-II-IV-V, ADAPT e-book series, 2020)  ha in definitiva aggravato tendenze storiche, tanto sul fronte della partecipazione delle donne al mercato del lavoro, quanto su quello delle difficoltà connesse alla conciliazione tra lavoro e vita familiare.

 

Lo smart working (si veda il contributo di M. Brollo, in D. Garofalo, M. Tiraboschi, V. Filì, F. Seghezzi (a cura di), cit.) è stata la prima misura su cui il governo ha puntato per consentire in condizioni di sicurezza la prosecuzione delle attività lavorative da remoto. Come noto, però, nella crisi si è assistito ad una deviazione dalle finalità originarie dello strumento verso la tutela della salute e anche la garanzia della continuità delle attività produttive che ha fatto passare in secondo piano la finalità conciliativa attribuitagli dalla l. 81/2017 e confermata dalla contrattazione collettiva nel tempo. La normativa emergenziale ha consentito una semplificazione nelle modalità di ricorso all’istituto che si è tradotta nel venir meno dei margini di personalizzazione in teoria rimessi all’accordo individuale; la contrattazione collettiva è intervenuta a definire le modalità di adozione dello smart working, anche in realtà in cui non era utilizzato, e dunque spesso in assenza di un ripensamento delle modalità di organizzazione del lavoro, e anzi, in condizioni già rese difficili dalla emergenza in atto. Ciò ha senza dubbio determinato uno snaturamento dello strumento e si è molto discusso, in particolare, dell’impatto negativo, se non dei rischi specifici dello smart working emergenziale per le donne.

 

A ben rifletterci, però, a fare la differenza tra uomini e donne, anche in questo caso, non sono stati specifici aspetti riconducibili alle modalità di regolamentazione e implementazione di questo istituto, anche nella versione emergenziale, ma fattori esterni e in particolare il rientro tra le pareti domestiche non solo del lavoro retribuito, ma anche dei familiari bisognosi di assistenza (si pensi solo al carico ulteriore di lavoro imposto dalla didattica a distanza, soprattutto per i genitori con figli piccoli). Una situazione “straordinaria” cui non sembra però aver fatto fronte un riequilibrio delle responsabilità familiari: da ciò il sovraccarico delle donne e la (forse troppo semplicistica) condanna delle capacità conciliative dello smart working. Uno strumento che invece, “normalizzato”, può rappresentare una opportunità per le donne e per gli uomini, soprattutto se inserito in un contesto complessivamente idoneo a favorire una organizzazione flessibile del lavoro, la valorizzazione della professionalità delle lavoratrici, e una conciliazione vita-lavoro paritaria, obiettivi più generali rispetto ai quali la contrattazione collettiva a diversi livelli può fare molto e azionando diverse leve.

 

Sembra opportuno ricordare, d’altra parte, che lo smart working ha riguardato solo una parte dei lavoratori e delle lavoratrici, quelli la cui prestazione di lavoro è remotizzabile. Per gli altri, nella emergenza è stato necessario a ricorrere a strumenti quali gestione delle assenze (ferie, permessi retribuiti), della formazione, e congedi. Anche su questi fronti è intervenuta la contrattazione collettiva (si rimanda per approfondimenti al contributo di M. Dalla Sega, S. Spattini in D. Garofalo, M. Tiraboschi, V. Filì, F. Seghezzi (a cura di), cit.): molti accordi aziendali disciplinano in particolare l’utilizzo di banche ore, diversamente declinate, e istituti solidaristici come quello della banca ore solidali/banca ferie solidali, per evitare o limitare il ricorso agli ammortizzatori sociali al fine di garantire il più possibile una retribuzione piena ai lavoratori.

 

I congedi straordinari Covid-19 sono stati oggetto di particolare attenzione: tra le criticità già sottolineate anche in dottrina (si veda G. A. Recchia, Il congedo parentale straordinario per i lavoratori subordinati pubblici e privati, in D. Garofalo, M. Tiraboschi, V. Filì, F. Seghezzi (a cura di), cit.) la misura della indennità, pari al 50% della retribuzione e dunque la forte penalizzazione economica dei beneficiari (non a caso è stato ampio il ricorso alla misura alternativa del bonus baby sitter) che ha determinato il riprodursi del tradizionale meccanismo di valutazione che conduce alla scelta di chi debba esporsi una decurtazione del reddito. Scelta che finisce per ricadere sul genitore su cui tale decurtazione impatta di meno, che è nella maggior parte dei casi la donna. Con l’innescarsi di una spirale negativa rispetto al fenomeno del differenziale salariale di genere.

 

Un fenomeno che ha come noto cause complesse, che vanno oltre il principio della parità retributiva e dunque la garanzia di ottenere pari retribuzione a parità di lavoro: le donne sono più propense ad avere interruzioni di carriera e a prendere decisioni professionali basate sulla necessità di cura e le responsabilità familiari. Uno dei fattori maggiormente esplicativi dei differenziali retributivi tra uomini e donne è il numero di ore di lavoro effettivamente prestate, ma incide anche la percentuale di retribuzione legata ai risultati che tipicamente va di pari passo con l’accesso a posizioni più alte. Schemi ad orario ridotto, permessi non retribuiti, congedi parzialmente retribuiti incidono ovviamente su questo versante. Da un lato occorre quindi intervenire sulla propensione di uomini e donne ad accedere a strumenti conciliativi e quindi a farsi carico dei compiti di cura dei familiari; dall’altro bisogna fare in modo che questi strumenti non siano eccessivamente penalizzanti per chi vi fa ricorso.

 

Con riferimento ai congedi straordinari Covid-19, la contrattazione collettiva in alcuni casi ha saputo dimostrare una attenzione apprezzabile, integrando in alcuni casi la misura dell’indennità (es. Accordo Allianz del 4 giugno 2020, vedilo in farecontrattazione.adapt.it): interventi importanti anche nell’ottica del riequilibrio dei rapporti e delle responsabilità in seno alle famiglie, perché venendo meno il calcolo di convenienza economica prima richiamato, non ci sarebbero (in linea di principio) ragioni per preferire che sia la donna ad optare per il congedo.

 

Il panorama dei provvedimenti adottati sul piano legislativo e dalla contrattazione collettiva nelle diverse fasi della crisi conferma la complessità del ventaglio di misure e strumenti per la conciliazione vita lavoro che si articolano tra diversi livelli e fonti di regolazione, creando sistemi di vincoli e opportunità molto diversi tra settori e aziende.

 

Guardando oltre le misure eccezionali e/o temporanee, una risposta strutturale e generale va certamente ricercata nella combinazione di forme flessibili di organizzazione del lavoro, del luogo di lavoro, dell’orario di lavoro (intervenendo anche sulla turnistica in chiave di responsabilizzazione e collaborazione tra i lavoratori), ma anche del carico di lavoro, dei compiti e delle responsabilità. Sembra cruciale, al contempo, investire sulla valorizzazione della professionalità e sulla formazione continua, anche in direzione della polivalenza dei compiti e dei ruoli, per consentire passaggi interni in corrispondenza con transizioni biografiche critiche; promuovere misure di welfare e benefit che vadano nella direzione di incentivare gli uomini nell’ottica di una redistribuzione dei compiti nella sfera familiare, insieme a schemi retributivi incentivanti basati sui risultati, più che sulla presenza e sulle ore lavorate. Indispensabile, in ogni processo riorganizzativo che coinvolga temi così cruciali, è ovviamente il coinvolgimento dei lavoratori e delle lavoratrici.

 

Resta un problema culturale di fondo, che certamente deve essere affrontato nelle sedi educative. Ma anche il lavoro è (o dovrebbe essere per alcuni) una leva educativa, che oggi peraltro entra nelle delicate dinamiche dell’orientamento professionale dei giovani attraverso specifici dispositivi, si pensi alla alternanza scuola-lavoro: si è riflettuto troppo poco, ancora, sulla importanza che questi strumenti possono avere anche per incidere sugli orientamenti professionali delle donne e sullo sviluppo di identità lavorative e professionali che devono essere costruite intorno al valore della condivisione delle responsabilità (tra uomini e donne) e del pari valore del lavoro (di uomini e donne).

 

Lilli Casano

ADAPT Research Fellow

@lillicasano

 

Il lavoro delle donne nella crisi pandemica e la sfida della conciliazione