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Bollettino ADAPT 7 dicembre 2020, n. 45
In un periodo storico connotato da ingenti richieste di Cassa Integrazione, da parte delle imprese, e di una maggiore propensione dei lavoratori di trovarsi in uno stato di malattia, un tema di particolare interesse è dato dal rapporto tra i due istituti; in particolare, ci si interroga sovente sugli effetti giuridici dello stato di malattia – sopraggiunto durante la vigenza della Cassa – sul periodo di comporto e sulla c.d. tempestività del licenziamento per superamento del periodo di comporto.
La fattispecie oggetto di analisi non è sicuramente delle più semplici. Tuttavia, il nostro tentativo è quello, anzitutto, di partire dall’analisi del dato normativo. Successivamente si cercherà supporto interpretativo anche negli atti dell’INPS (tra i quali si annoverano i messaggi e le circolari) nonché nella recente giurisprudenza della Corte di Cassazione in merito alla tempestività del licenziamento per superamento del periodo di comporto.
Il dato normativo
Il dato normativo da cui sembra opportuno partire è l’art. 3, comma 7 del d.lgs. n. 148/2015 il quale sancisce che “Il trattamento di integrazione salariale sostituisce in caso di malattia l’indennità giornaliera di malattia, nonché la eventuale integrazione contrattualmente prevista”. Con tale previsione sembrerebbe che il legislatore abbia voluto interessarsi unicamente del trattamento economico, andando a disciplinare l’ipotesi in cui, verso lo stesso lavoratore, dovessero gravare contemporaneamente due eventi: la sospensione dell’attività lavorativa (Cassa Integrazione) e malattia.
Infatti, a ben vedere, in entrambi le ipotesi il soggetto deputato all’assolvimento dell’obbligazione non è più il datore di lavoro ma un altro soggetto, ossia l’INPS. Potendosi creare un problema di gestione del trattamento economico tra i due eventi che si vanno sovrapponendo, il legislatore ha deciso di intervenire prevedendo che, in caso di malattia del lavoratore su cui grava anche il regime di Cassa Integrazione, nei confronti dello stesso verrà erogato il trattamento di integrazione salariale in sostituzione dell’indennità di malattia.
Oltrepassando per un momento i problemi operativi, cioè se lo stato di malattia sorga prima o in costanza di Cassa Integrazione (giacché effettivamente il tema viene anche affrontato direttamente dall’INPS), quello che risulta evidente è che il legislatore nulla dice, in questa circostanza, rispetto ad istituti diversi da quello del trattamento economico che pure riguardano il rapporto di lavoro. Certamente il lavoratore non maturerà l’indennità di malattia ma sembrerebbe che non vengano in qualche modo neutralizzati gli effetti che produce l’evento malattia su altri istituti (ad esclusione ovviamente dell’indennità giornaliera).
Lo stato di malattia è un’ipotesi che può configurarsi durante la Cassa Integrazione oltre che da un punto di vista fattuale, anche sotto un profilo giuridico e lo prevede lo stesso legislatore quando all’art. 3, comma 7 del d.lgs. n. 148/2015 ammette il sorgere dello stato di malattia come situazione giuridica in costanza di Cassa Integrazione. Soffermandoci quindi al solo dato normativo si potrebbe affermare che, anche in regime di Cassa Integrazione, lo stato di malattia, giuridicamente inteso, produce effetti verso altri istituti, ad esclusione dell’indennità di malattia e quindi, va da sé, che il rapporto tra stato di malattia e computo del periodo di comporto non dovrebbe subire alterazioni rispetto al normale funzionamento.
La posizione dell’INPS
Tuttavia, al fine di inquadrare correttamente la fattispecie della malattia in costanza della Cassa Integrazione, è necessario considerare il messaggio INPS 30 aprile 2020, n. 1822 che non fa altro che riprendere quanto già espresso dalla circolare INPS 2 dicembre 2015, n. 197. Bisogna precisare che l’oggetto del messaggio INPS riguarda il “rapporto tra indennità di malattia e integrazioni salariali (CIG), assegno ordinario (FIS) e CIG in deroga” e che quindi, in prima istanza, non sembrerebbe fornire ulteriori elementi rispetto al rapporto tra periodo di comporto e malattia in costanza di Cassa Integrazione. In realtà, è possibile rintracciare informazioni utili anche rispetto alla fattispecie oggetto di questo approfondimento.
Analizzando il messaggio n. 1822, l’INPS, nonostante riprenda il dato normativo prima citato, ossia l’art. 3, comma 7 del d.lgs. n. 148/2015, sembrerebbe che non si limiti a fornire mere indicazioni operative. A nostro avviso, un primo problema di interpretazione da parte dell’INPS, potrebbe essere rintracciato già all’inizio del messaggio, quando l’Ente dichiara che “l’art. 3, comma 7 della riforma stabilisce espressamente il principio di prevalenza della CIG sulla malattia”.
Eppure sembrerebbe che il legislatore si limiti a disciplinare unicamente la questione del trattamento economico, non stabilendo espressamente il principio di prevalenza della CIG sulla malattia tout court, al contrario di quanto pare dichiari l’INPS. Tuttavia, potrebbe essere accettata, al momento, l’interpretazione per cui l’INPS, nel suo messaggio del 30 aprile 2020, si concentri specificamente sull’elemento economico e che quindi sarebbe più opportuno, al fine di non porsi in contrasto con il legislatore, aggiungere all’affermazione “l’art. 3, comma 7 della riforma stabilisce espressamente il principio di prevalenza della CIG sulla malattia” che questo è valido quantomeno “quando ci si interroga sull’elemento economico”.
Continuando nell’analisi della posizione dell’Ente, potrebbe essere possibile riscontrare un altro elemento di distanza con quanto espresso dal legislatore, rispetto al quale sembrerebbero nascere non poche problematiche. Nel dettaglio, si evidenzia il fatto che all’art. 3, comma 7 del d.lgs. n. 148/2015 non viene contemplato un trattamento diverso a seconda dei casi, ossia che l’evento morboso sorga prima o dopo la Cassa Integrazione a zero ore o in riduzione e/o che il soggetto in stato di malattia sia in costanza di Cassa Integrazione a zero ore o in riduzione. Contrariamente a questa impostazione, l’INPS, per rispondere in modo ragionevole alle logiche operative, ha ritenuto invece adeguato sondare tutte le casistiche. In maniera ipotetica le casistiche che l’INPS avrebbe potuto scandagliare sono le seguenti:
Ipotesi I: lavoratore in Cassa Integrazione a zero ore, insorge stato di malattia.
Ipotesi II: lavoratore in Cassa Integrazione in riduzione, insorge stato di malattia.
Ipotesi III: lavoratore in stato di malattia, interviene la Cassa Integrazione a zero ore.
Ipotesi IV: lavoratore in stato di malattia, interviene la Cassa Integrazione in riduzione.
Non soffermandoci a lungo sulle singole ipotesi e sulle indicazioni relativamente al trattamento economico, poiché non è strettamente l’oggetto di tale approfondimento, risulta utile ai fini dell’indagine in merito al rapporto tra malattia, periodo di comporto e Cassa Integrazione, evidenziare che rispetto alla ipotesi I, l’INPS espressamente indica che “se durante la sospensione dal lavoro (cassa integrazione a 0 ore) insorge lo stato di malattia, il lavoratore continuerà ad usufruire delle integrazioni salariali: l’attività lavorativa è infatti totalmente sospesa, non c’è obbligo di prestazione da parte del lavoratore, che non dovrà quindi nemmeno comunicare lo stato di malattia e continuerà a percepire le integrazioni salariali”.
Se tale indicazione, sotto un punto di vista meramente del trattamento economico, si porrebbe in linea con il disposto normativo, in quanto al lavoratore che “durante la sospensione dal lavoro (cassa integrazione a 0 ore)” si dovesse trovare in uno “stato di malattia” sarebbe riconosciuto l’integrazione salariale, in realtà aprirebbe degli scenari con più ombre che luci rispetto ad un rapporto generale tra malattia e cassa integrazione. Secondo l’INPS, il lavoratore continua a percepire l’integrazione salariale in quanto, nell’ipotesi a zero ore, non è tenuto a comunicare lo stato di malattia poiché il rapporto è già stato sospeso dall’intervento della cassa integrazione.
Una prima osservazione che è possibile sollevare è la seguente: cosa intende l’INPS con la locuzione “insorge lo stato di malattia”? In linea generale, un evento morboso diventa stato di malattia per l’ente e per il datore di lavoro non appena questo viene comunicato e, sempre in un’ottica generalista, sembrerebbe opportuno ritenere che con tale locuzione ci si riferisca più propriamente allo stato giuridico del lavoratore che, per l’appunto, si trova in malattia in virtù di una certificazione medica prodotta. Ma, a ben vedere, con quella locuzione, l’INPS potrebbe in realtà riferirsi meramente alla condizione fisica e non ad una situazione giuridica di malattia. Solo accettando questa impostazione (molto sui generis) si può allora capire il perché successivamente lo stesso Ente prevedrebbe che il certificato, che attesa la condizione di salute del lavoratore, non deve neanche essere comunicato. Contrariamente, se per stato di malattia si dovesse intendere la situazione giuridica di malattia del lavoratore, allora non si comprenderebbe come per l’INPS il datore sia a conoscenza di questo evento senza che il lavoratore addirittura presenti una certificazione che lo attesti.
Una seconda osservazione che è possibile sollevare è la seguente: quali implicazioni seguono alla dichiarazione tale per cui “non c’è obbligo di prestazione da parte del lavoratore, che non dovrà quindi nemmeno comunicare lo stato di malattia”? Anzitutto, l’INPS non specifica a chi non deve essere comunicato lo stato di malattia. Si riferisce solo a sé stesso oppure l’esenzione opera anche nei confronti del datore di lavoro? Oggi con la certificazione telematica i due soggetti sono in qualche modo uniti. Sarebbe quindi operativamente possibile inviare il certificato all’INPS e omettere la segnalazione all’azienda?
Sembrerebbe quindi opportuno ritenere che l’INPS escluda, sia nei confronti dell’Ente stesso che nei confronti del datore di lavoro, un obbligo di presentazione del certificato medico. E quindi, nel caso in cui il lavoratore non sia tenuto a presentare nessun certificato di malattia, né all’Ente né al datore, nonostante “l’insorgere dello stato di malattia”, si verrebbe a configurare l’ipotesi per cui l’applicazione della disciplina della Cassa Integrazione neutralizzerebbe totalmente quello della malattia.
La malattia, come stato giuridico, non esisterebbe in quanto non è verificato e verificabile da nessuna certificazione. Quindi, oltre all’elemento economico-salariale, non ci si dovrebbe porre il problema del superamento del periodo di comporto in quanto giuridicamente lo stato di malattia non esiste. Tale impostazione, oltre a non riconoscere uno stato della realtà, ovvero una situazione reale del lavoratore che effettivamente si trova in una condizione di salute non positiva, e creare effetti distorsivi anche rispetto ad altre fattispecie, sembrerebbe porsi in netto contrasto sia con il dettato normativo sia con principi generali espressi dalla giurisprudenza.
Rispetto al dato normativo, con riferimento al già citato art. 3, comma 7 del d.lgs. n. 148/2015, in quanto il legislatore prevede espressamente l’ipotesi del sorgere dello stato di malattia (“in caso di malattia”), e potrebbe essere abbastanza pacifico affermare che, con tale locuzione, si faccia riferimento ad uno stato giuridico e non meramente ad uno stato di salute, visto il tenore dell’atto normativo e, più ragionevolmente, perché altrimenti non si spiegherebbe l’intervento del legislatore nell’individuare come trattamento economico adeguato quello dell’integrazione salariale in luogo dell’indennità di malattia (indennità che si riconosce solo per via di uno stato giuridico di malattia e non meramente di uno stato di salute).
Rispetto ai principi generali espressi dalla giurisprudenza, si può fare riferimento sul punto alla sentenza della Corte di Cassazione n. 5078/2009. In tale sentenza, infatti, viene ribadito che il lavoratore ha la facoltà di richiedere la sostituzione tra malattia e la fruizione delle ferie, maturate e non godute, allo scopo di sospendere il decorso del periodo di comporto, dovendosi escludere una incompatibilità assoluta tra ferie e malattia. Ciò che rileva in questa sede è il principio che tra i due istituti, che hanno come comune denominatore la sospensione del rapporto di lavoro, non vi è incompatibilità.
Alla luce di ciò, non è chiaro come l’INPS possa legittimare la non presentazione del certificato di malattia in virtù del fatto che l’attività di lavoro è stata già sospesa. In altre parole, nonostante l’attività di lavoro sia già stata sospesa, o per via della Cassa Integrazione nelle fattispecie delineate dall’INPS, oppure per via dello stato di malattia nella fattispecie delineata dalla Cassazione, è ammissibile il sorgere di una nuova causa di sospensione dell’attività lavorativa diversa da quella che inizialmente l’ha posta in essere, o per via dello stato di malattia per la fattispecie delineata dall’INPS, oppure per via dell’eventuale concessione delle ferie per la fattispecie delineata dalla Corte di Cassazione. Dunque, alla luce delle considerazioni appena esposte, in virtù del messaggio INPS del 30 aprile 2020, nonostante le perplessità evidenziate, si è meno certi, in taluni casi, che lo stato di malattia produca effetti verso altri istituti, tra cui quello del periodo di comporto.
La tempestività del licenziamento per superamento del periodo di comporto
In una incertezza operativa, il datore di lavoro deve fare anche i conti con il c.d. requisito della tempestività del licenziamento per superamento del periodo di comporto. In merito, si segnala che in una recente sentenza (11 settembre 2020, n. 18960), la Corte di Cassazione afferma che, a differenza del licenziamento disciplinare, che postula l’immediatezza del recesso a garanzia della pienezza del diritto di difesa all’incolpato, nel licenziamento per superamento del periodo di comporto per malattia, l’interesse del lavoratore alla certezza della vicenda contrattuale va contemperato con quello del datore di lavoro a disporre di un ragionevole spatium deliberandi, in cui valutare convenientemente la sequenza di episodi morbosi del lavoratore, ai fini di una prognosi di sostenibilità delle sue assenze in rapporto agli interessi aziendali. In tale caso, il giudizio sulla tempestività del recesso non può conseguire alla rigida applicazione di criteri cronologici prestabiliti, ma costituisce valutazione di congruità che il giudice deve compiere caso per caso, apprezzando ogni circostanza al riguardo significativa (cfr. Cass. 12 ottobre 2018, n. 25535 e anche Cass. 28 marzo 2011, n. 7037).
Considerazioni finali
Posta l’evidente difficoltà interpretativa della fattispecie oggetto di analisi nel caso in cui a seguito della volontà del datore di procedere con un licenziamento per superamento del periodo di comporto nei confronti di un lavoratore che in un dato momento si è ritrovato sia in cassa integrazione che in malattia, sembrerebbe opportuno, al fine della corretta computazione del periodo di comporto, tenuto conto che il datore di lavoro non deve rappresentare al lavoratore la volontà di non interrompere il rapporto di lavoro, passare alla rassegna ogni singolo caso. Qualora effettivamente il lavoratore si trovi in uno stato giuridico conclamato di malattia, anche in regime di cassa integrazione, sembrerebbe adeguato non neutralizzare tale periodo al fine del conteggio del superamento del comporto. E questo alla luce di quanto disposto dall’art. 3, comma 7 del d.lgs. n. 148/2015, che nulla dice rispetto al periodo di comporto e a maggior ragione in tutti quei casi in cui addirittura l’INPS riconosce l’indennità di malattia in luogo dell’integrazione salariale.
Vista la recente giurisprudenza e data l’eccezionalità del contesto storico di riferimento, si può presumere che il datore di lavoro abbia comunque un ragionevole lasso di tempo, rispettando comunque il requisito della tempestività, per poter procedere ad attente analisi in merito alla correttezza e alla convenienza dell’eventuale licenziamento per superamento del periodo di comporto.
Scuola di Dottorato di ricerca in Apprendimento e Innovazione nei contesti sociali e di lavoro
ADAPT, Università degli Studi di Siena