Il mercato del lavoro e i giovani

«C’è una grande contraddizione oggi quando si discute riguardo il mercato del lavoro del futuro: raramente si parla dei giovani, e con i giovani, anche se i protagonisti di questo, sono proprio loro!». Così esordisce Michele Tiraboschi alla conferenza dal titolo La trasformazione del lavoro presso l’Aula Magna del Liceo Marie Curie di Tradate; entusiasta della possibilità di comunicare direttamente con gli studenti, il professore ha proposto, la mattina del 16 gennaio, una riflessione sul futuro lavorativo di coloro che si stanno affacciando fuori dai confini “sicuri” delle scuole secondarie. Tiraboschi, senza nascondere che, una volta conseguito il diploma, i ragazzi dovranno impegnarsi a fondo per far fronte alla disoccupazione, ha messo in rilievo un tratto troppo spesso celato dalla stampa: i lavori cambiano e si trasformano e i ragazzi devono essere pronti a cogliere questo cambiamento e adattarsi alle nuove esigenze del mercato. Oggi infatti ci si dimentica che la scelta universitaria è un ponte diretto sul mondo del lavoro e per questo motivo non ci si deve iscrivere ad una facoltà casualmente, ma prima bisogna capire quale “posto nel mondo” occupare con le proprie qualità. Per questo motivo è fondamentale trovare un senso, un perché delle proprie scelte, e il tema del lavoro è proprio un tema di scelte. Chiamiamolo mestiere, professione, ma «è soprattutto una vocazione», prosegue Tiraboschi, «che dà identità al singolo e un senso profondo alla vita, per questo sceglierlo coscientemente, riconoscendo i propri talenti e i propri limiti».

 

Dopo l’intervento del professore non sono mancate le domande dei ragazzi: quali sono le competenze che richiede oggi il mercato del lavoro? Come essere appetibili a questo mondo? La risposa sta innanzitutto nello sviluppare la capacità di collaborare, quella di comunicare in più lingue, e, in un’epoca digitale come la nostra, non accontentarsi mai delle proprie abilità informatiche. La tecnologia, infatti, è uno strumento incredibile: permette di stare in ogni momento in contatto con tutti, ma spesso toglie concentrazione e non permette di focalizzarsi sull’obiettivo. Per questo ci dev’essere determinazione e forza di volontà. Di conseguenza è fondamentale mobilitarsi per acquisire tutto ciò che non può compiere una macchina: la capacità critica, il giudizio, la creatività: «Occorre gente che controlli le macchine, produca le macchine e sviluppi le macchine». Infatti i lavori esecutivi oggi stanno scomparendo e le imprese vogliono persone che sappiano affrontare i problemi, siano affidabili e motivate e che non si arrendano davanti alle difficoltà. Si deve accettare il fatto che la concezione del lavoro nel XXI secolo è cambiata: sono cambiati i rapporti gerarchici nelle imprese, è cambiata l’esistenza stessa del “luogo del lavoro” (ormai sempre meno concreto e più virtuale), sono cambiati i tempi, i ritmi e l’organizzazione.

 

Quale merce cerca questo mercato? Non più “capi” e dipendenti standardizzati, ma lavoratori che diano un contributo attivo e abbiano un’attitudine: quella di mettersi a disposizione di gruppi aperti senza logiche di controllo e scale gerarchiche di potere. Il lavoro che piaccia o meno è l’ambito in cui si intrecciano più relazioni e scuola e Università insegnano sì, materie e concetti, ma sono i primi luoghi in cui si entra in contatto con PERSONE, con cui entrare in affinità e sintonia e far diventare maestri esemplari, è un’occasione da non perdere! Inoltre è essenziale sfruttare quella che è la “formazione non formale”: l’apprendimento sano e spontaneo che avviene soprattutto in contesti extrascolastici come il volontariato, lo sport, l’associazionismo… e proprio queste attività arricchiscono la personalità e trasmettono valori come la collaborazione, il rigore, la dedizione, la tenacia e la capacità organizzarsi e gestire lo stress. Ingredienti fondamentali per la ricetta del perfetto lavoratore di domani, che dovrà scontrarsi con coetanei europei già formati, grazie all’apprendistato, dal punto di vista lavorativo.

 

Il messaggio conclusivo è un invito: i ragazzi devono avere in testa l’idea dell’employability, dell’occupabilità, ovvero la capacità di riconoscere come impiegare le proprie risorse, come spendere i propri talenti e capire le proprie vocazioni. Le imprese vogliono gente occupabile, vogliono giovani svegli e attivi che non si arrendano a “disoccupazione, mercato saturo, debiti”. Non ci si deve accontentare di dire «voglio fare il professore, il dirigente d’azienda, l’avvocato, ma ci si deve impegnare a farlo bene, farlo perché da gratificazione, non solo economica, farlo perché rende sereni e fa sorridere la mattina quando si esce di casa». Un conto è quale mestiere fare, un conto è come farlo e “Occupabilità” è proprio questo: sapersi realizzare in un mestiere coerente alla Persona, all’individuo, e funzionale al contesto.

 

Claudia Floreani

Studentessa di Lettere moderne

Università degli Studi di Milano

@ClaudiaFloreani

 

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