Un anno fa non l’avevamo previsto, ma i contratti a termine si sono rivelati nel 2017 i veri protagonisti del mercato del lavoro. Attorno al Jobs Act è in corso da mesi una durissima battaglia politica che si alimenta di differenti classificazioni dei dati Istat. E l’aggiunta di altre statistiche prodotte da parte del ministero del Lavoro e dell’Inps non ha certo favorito la chiarezza travolgendo in più di un’occasione gli stessi media.
Ma il problema non è politico, il Jobs Act ha funzionato fino a quando lo «scambio» con le imprese ha funzionato. Generosi incentivi in cambio di contratti a tempo indeterminato. Finiti i bonus per le aziende il mercato del lavoro non ha «bevuto» più o comunque molto meno. E dopo un po’ di tempo ha ricominciato a chiedere flessibilità, che ha ottenuto intensificando il ricorso ai contratti a termine. È saltato lo scambio e le imprese hanno ripreso a muoversi unilateralmente, potremmo sintetizzare. A costo anche di contraddirsi rispetto ai discorsi che i presidenti delle associazioni fanno usualmente nei convegni («il capitale umano è decisivo!»).
La strategia del governo Gentiloni rispetto a questa pericolosa discontinuità è stata fin troppo lineare. Se lo scambio è morto non c’è altro da fare che resuscitarlo e così nella legge di Bilancio sono stati reintrodotti gli incentivi anche se in forma più ridotta e rapportati a una platea di potenziali assunti limitata ai giovani…
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