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Bollettino ADAPT 16 ottobre 2023, n. 35
L’intervento tramite decretazione d’urgenza, poi confermato in sede di conversione, di revisione della disciplina in materia di contratto a tempo determinato che aveva rivoluzionato il sistema delle causali aveva lasciato non pochi dubbi rispetto ai diversi profili applicativi, frutto di una tecnica redazionale non proprio ispirata alla massima chiarezza (si veda D. Garofalo, M. Tiraboschi, Disciplina del contratto di lavoro a termine e della somministrazione di lavoro (art. 24, d.l. n. 48/2023, conv. in l. n. 85/2023), in E. Dagnino, C. Garofalo, G. Picco, P. Rausei, Commentario al d.l. 4 maggio 2023, n. 48 c.d. “decreto lavoro”, convertito con modificazioni in l. 3 luglio 2023, n. 85, ADAPT University Press, 2023, pp. 2-27). In particolare, era stata la sostituzione delle causali legali – relative alle esigenze temporanee oggettive ed estranee all’ordinaria attività aziendale e agli incrementi temporanei e improgrammabili dell’attività ordinaria – con una delega alla contrattazione collettiva a sollevare diverse ipotesi interpretative.
Con la Circolare n. 9 del 9 ottobre 2023 il Ministero del Lavoro ha preso posizione sulla questione, chiarendo – da par suo e, quindi, con i limitati effetti pratici, più che giuridici, tipici della prassi amministrativa – i principali nodi interpretativi, individuando regimi ordinari e a termine rispetto alla definizione delle causali da applicare ai contratti a termine superato il limite dei dodici mesi nonché l’interazione tra la nuova disciplina legale e quelle contrattual-collettive previgenti.
Quanto ai regimi ordinari si specifica che, oltre al caso del lavoro a tempo determinato per ragioni sostitutive, ulteriori causali potranno essere previste soltanto dai contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati, ai sensi dell’art. 51 dello stesso decreto legislativo n. 81/2015, così interpretando la prima parte della lettera b) come mera esplicitazione della possibilità che “in assenza delle previsioni di cui alla lettera a) – che richiama tutti i livelli della contrattazione collettiva – le condizioni possano essere individuate dai contratti collettivi applicati in azienda”, sempre se stipulati da soggetti qualificati ai sensi dell’art. 51.
A latere, la lettera b) contiene una disciplina a termine – quella che tecnicamente può essere definita come sunset clause – che, con la finalità di permettere alle parti sociali di esercitare la delega legislativa, abilita fino al 30 aprile 2024 le parti del rapporto individuale a definire nel contratto di lavoro specifiche esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva che giustificano l’apposizione del termine.
Da tale regime transitorio consegue che, spirato il termine, le aziende che applichino contratti collettivi che non hanno esercitato la delega di legge avranno la possibilità di stipulare contratti a tempo determinato di estensione superiore ai dodici mesi soltanto laddove sussistano ragioni sostitutive.
E questo sarà il caso, passando al secondo nodo interpretativo sopra richiamato relativo all’interazione con le discipline contrattual-collettive previgenti, non solo dei contratti collettivi che nulla dispongano al riguardo, ma anche di tutti quei contratti collettivi che si siano limitati ad operare un rinvio alle causali legali ormai abrogate, facendosi, invece, salve le eventuali previsioni introdotte ai sensi del rinvio alla contrattazione collettiva operato dalla precedente lettera b-bis) introdotta con decreto legge n. 73/2021 e oggi abrogata1.
Come dimostrato da prime indagini empiriche sul materiale contrattual-collettivo (F. Alifano, F. Di Gioia, G. Impellizzieri, M. Tiraboschi, Riforma del lavoro a termine: una simulazione su 55 contratti collettivi di categoria (art. 24, d.l. n. 48/2023, conv. in l. n. 85/2023), in E. Dagnino, C. Garofalo, G. Picco, P. Rausei, Commentario al d.l. 4 maggio 2023, n. 48 c.d. “decreto lavoro”, cit., pp. 28-37), non sono pochi i casi in cui sarà difficile ritenere sussistente una disciplina di fonte collettiva idonea a sostanziare l’esercizio della delega.
Senza entrare nel merito delle argomentazioni della Circolare, interessa qui interrogarsi sui potenziali effetti di tali interpretazioni rispetto alle dinamiche di relazioni industriali. È evidente, infatti, che in tutti i settori scoperti vi sarà un pressante interesse soprattutto di parte datoriale – sia a livello nazionale che ai diversi livelli di negoziazione – per introdurre prima dello spirare della disciplina transitoria una disciplina collettiva che prevenga il rischio di una sostanziale ibernazione del contratto a termine.
Una spinta che, si ritiene, non potrà che influenzare lo sviluppo della contrattazione collettiva anche rispetto ad altre tematiche e, in particolare, a quella retributiva cui, a fronte dell’inflazione, le parti sociali sono chiamate a dare risposta. Da un lato, infatti, la necessità di introdurre una disciplina in materia potrà dare un impulso ai processi di negoziazione per i rinnovi dei CCNL; dall’altro, laddove si decidesse di procedere a livello territoriale o aziendale, tale esigenza potrà essere bilanciata con altre contropartite e diventare elemento di peso all’interno della complessiva negoziazione.
Pare, quindi, che – forse involontariamente – i sindacati abbiano ricevuto dal Decreto Lavoro un inaspettato fattore di pressione per tavoli negoziali in corso o da avviare. A loro – e alle controparti – trasformare le diverse istanze e posizioni in contratti collettivi che rispondano alle esigenze del mondo del lavoro in una fase tanto incerta e difficile.
Emanuele Dagnino
Ricercatore di diritto del lavoro,
Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia
1La disposizione prevedeva la possibilità di stipulare contratti a tempo determinato per una durata superiore ai dodici mesi anche per “specifiche esigenze previste dai contratti collettivi di cui all’articolo 51”, ma con un periodo applicativo da ultimo limitato – in caso di apposizione iniziale, non per rinnovi o proroghe – al 30 settembre 2022.