Bollettino ADAPT 9 ottobre 2023, n. 34
La sezione lavoro della Cassazione, a seguito di sentenze contraddittorie e addirittura dell’avvio di procedimenti penali, ha messo in discussione il contratto collettivo nazionale quale fonte regolatoria esclusiva della retribuzione, anche quando sottoscritto dalle organizzazioni maggiormente rappresentative, in quanto il giudice può contestarne i trattamenti ove li ritenga insufficienti ai sensi dell’art.36 della Costituzione.
Al di là delle legittime critiche a una sentenza che cancella una delle non molte certezze nell’ordinamento italiano, è bene approfondire quali possano essere i criteri di intervento del magistrato cui un lavoratore ricorre per avere una retribuzione tale da consentire una “esistenza libera e dignitosa”. I riferimenti oggettivi dovrebbero essere rappresentati dagli indicatori Istat che stabiliscono le diverse soglie di povertà assoluta e i diversi livelli di costo della vita nei territori. L’Italia è infatti una nazione particolarmente plurale e i suoi divari economici e sociali nel tempo più recente si sono ulteriormente allargati. Ne discende che la misura di una retribuzione coerente con i criteri (programmatici) della Carta non può essere una. Ed è pure discutibile che debba essere oraria in quanto il lavoro povero, come ripetutamente osservato, discende soprattutto da rapporti temporanei o a tempo parziale.
Volendo comunque considerare il trattamento economico complessivo su base oraria quale indicatore, secondo un elementare osservazione, può dare luogo a una “esistenza dignitosa” in un territorio e non determinare lo stesso esito in un altro. E nella dimensione nazionale del contratto collettivo le parti non possono che individuare il punto di incontro minimo tenendo conto delle situazioni più marginali per prevenire la sommersione dei rapporti di lavoro. Nemmeno la legge, stabilendo una cifra unica, sarà al riparo dall’intervento giurisprudenziale che ha la pretesa di assumere a riferimento la Costituzione.
Prendiamo quindi atto dei limiti (della legge e) del contratto nazionale, che tuttavia può ancora contenere principi nonché sostenere i fondi dedicati alle prestazioni sociali complementari in materia di sanità, previdenza e assistenza data la necessità di una adeguata massa critica per assorbirne i rischi crescenti. Ma non è più idoneo a stabilire inquadramenti e retribuzioni in quanto si devono adattare al contesto quanto meno territoriale per le piccole imprese. Questi accordi dovrebbero poi essere cedevoli rispetto a quelli aziendali quando si producono. Finito il tempo delle produzioni seriali, ciascuna impresa è diventata originale rispetto alle altre per cui è la sede più idonea per la compiuta adattivita’ tra le parti. Basti pensare alla sostituzione dei vecchi inquadramenti con più dinamiche e periodiche identificazioni delle responsabilità e della professionalità di ciascun lavoratore. Infatti, gli obiettivi della maggiore produttività, in funzione della connessa remunerazione, si misurano solo in prossimità.
Tocca alle parti sociali, che autonomamente hanno deciso sin qui i perimetri dei settori (ormai obsoleti per il superamento dei relativi confini), condividere ora i perimetri territoriali più idonei a rappresentare i fattori che influenzano la competitività delle imprese, la qualità delle prestazioni lavorative, il potere di acquisto delle retribuzioni. Si pensi ad ambiti contrattuali come l’area metropolitana di Milano o l’intera regione Molise per i loro caratteri omogenei. Possiamo anzi ipotizzare che questa nuova stagione contrattuale possa partire dalle città maggiori, in quanto presentano caratteristiche più lontane dai criteri minimi della omologazione nazionale e rappresentano la sede più disagiata per lavoratori costretti ad affrontare i costi del pendolarismo e dello specifico carrello della spesa per beni essenziali.
Maurizio Sacconi
Chairman ADAPT Steering Committee
@MaurizioSacconi