Bollettino ADAPT 27 gennaio 2020, n. 4
Il governo ha varato il provvedimento che riduce il prelievo fiscale su alcune fasce di lavoratori dipendenti definendolo come l’anticipazione di una più ampia riforma dell’Irpef. Riforma che, peraltro, secondo le intenzioni, richiederebbe una crescita più significativa dell’economia italiana ed una redistribuzione della tassazione sui redditi che accentuerebbe la sua progressività. La correzione immediata sembra comunque destinata a non soddisfare sensibilmente né i lavoratori né le imprese sia per le esigue coperture di bilancio, sia per il carattere egualitario dell’intervento. Sarebbe stata più opportuna la scelta di concentrare le poche risorse su una più marcata (e più semplice) detassazione dei premi aziendali.
In un Paese viziato dal persistere di insufficienti livelli di produttività del lavoro e dall’appiattimento retributivo indotto dalla invasività dei contratti nazionali, si sarebbe potuta alzare la soglia del salario variabile incentivato e abbassare l’aliquota applicata. Da tempo tutte le istituzioni sovranazionali sollecitano l’Italia a collegare più strettamente gli incrementi retributivi con la maggiore efficienza aziendale. Più recentemente si è considerata anche la necessità di premiare lo sviluppo professionale del lavoratore che rappresenta un valore anche per l’impresa e per l’intera società. L’esasperata progressività del nostro modello tributario penalizza invece proprio coloro che più si impegnano e che conseguentemente meritano maggiore salario. Non a caso, soprattutto nelle piccole imprese, si sono spesso praticati i “fuori busta” per sottrarre alla aliquota marginale i premi aziendali. Si tratta ovviamente di una pratica disdicevole che determina la costituzione di risorse non contabilizzate. Ma proprio anche per questo motivo la progressività del prelievo si deve interrompere di fronte a trasferimenti dall’azienda al lavoratore che hanno una ragione virtuosa. Si aggiunga poi che negli anni più recenti la semplicissima disposizione che introdusse la detassazione del salario variabile nel 2008 è stata complicata con norme ed atti interpretativi che non danno per implicita la maggiore produttività aziendale in presenza di una erogazione aggiuntiva al lavoratore. Anzi, gli accordi collettivi devono essere tali da non scontare mai risultati positivi già prodottisi ma da produrre incrementi salariali variabilmente collegati ad esiti futuri e incerti. Questo atteggiamento “costruttivista” ha di fatto ulteriormente limitato lo scambio virtuoso tanto auspicato. È paradossale che le organizzazioni rappresentative delle imprese non abbiano segnalato con decisione queste anomalie.
Si deve considerare infine la pesantezza del prelievo sul reddito dei lavoratori autonomi nel momento in cui le oggettive difficoltà di moltissime attività indipendenti incoraggia l’evasione dell’IVA o determina la loro cessazione. Questi lavoratori sono sempre più i veri contraenti deboli nel mercato del lavoro e in quanto tali non sono certamente in grado di negoziare il netto della loro legittima remunerazione trasferendo sul committente gli oneri fiscali.
La ripresa della crescita interna passa quindi per una coraggiosa rimodulazione del nostro sistema tributario secondo criteri fondati sulla osservazione della realtà e non sulle ideologie egualitarie.
Maurizio Sacconi
Chairman ADAPT Steering Committee
@MaurizioSacconi