Bollettino ADAPT 3 luglio 2023, n. 25
L’indagine sulle città capoluogo quali ambienti di lavoro di maggiore o minore qualità, promossa dalla Fondazione Aidp, sconta consapevolmente il limite di una economia italiana ancora costituita per una parte rilevante da manifatture localizzate nelle periferie. Ma lo sviluppo terziario è crescente e tendenzialmente significa inurbamento dei lavoratori. Lo stesso fenomeno dello smartworking, esploso con la pandemia, è destinato a stabilizzarsi secondo i canoni più corretti della relativizzazione (non cancellazione!) del vincolo spazio-temporale. Il lavoro agile è infatti il passaggio dall’orario ai risultati quale criterio prevalente della retribuzione e i risultati si realizzano anche attraverso la partecipazione fisica alla comunità d’impresa seppure con modalità flessibili.
Giusto quindi analizzare la qualità dei diversi contesti urbani in quanto destinati ad ospitare quote crescenti del mercato del lavoro.
L’indagine conferma quanto diseguale sia il nostro Paese. I ricercatori hanno considerato 57 indicatori (corrispondenti a sette parametri), dai fondamentali economici all’innovazione, dalla logistica ai servizi di cittadinanza, dalla vivibilità ambientale alla sicurezza, all’inclusione, al tempo libero. La graduatoria, articolata in tre fasce, descrive le significative differenze sotto il profilo dei fattori interni ed esterni alla condizione lavorativa.
Si ripropone quindi un interrogativo da tempo sottovalutato. Ha senso regolare il lavoro, a partire dalla retribuzione, in modo centralistico e omologante? Gli obiettivi della maggiore produttività e della migliore remunerazione (collegata anche ai criteri della professionalità e della scomodità) si misurano in prossimità. Nella dimensione nazionale possono sopravvivere solo i grandi fondi complementari della previdenza, della sanità e, in prospettiva, della assistenza, che richiedono adeguata massa critica per assorbire i rischi e considerano uguali i lavoratori. Le parti sociali, che autonomamente hanno deciso i perimetri dei settori (ormai obsoleti per il superamento dei relativi confini), potrebbero condividere ora i perimetri territoriali più idonei a rappresentare i fattori che influenzano la competitività delle imprese, la qualità delle prestazioni lavorative, il potere di acquisto delle retribuzioni. Ragionevolmente, potrebbero ad esempio individuare quali ambiti contrattuali l’area metropolitana di Milano o l’intera regione Molise per i loro caratteri omogenei. E questi accordi sarebbero in ogni modo cedevoli rispetto a quelli aziendali che si realizzano solo (e nemmeno sempre) nelle imprese strutturate e unionizzate. Senza trascurare la crescente rilevanza della originalità di ciascun contratto personale per soddisfare gli specifici bisogni del lavoratore.
Insomma, il report della fondazione dei direttori del personale fornisce elementi utili a una futura negoziazione che dal centro si sposta in prossimità così da soddisfare meglio le imprese, i lavoratori e i loro destini comuni.
Maurizio Sacconi
Chairman ADAPT Steering Committee
@MaurizioSacconi