Il mio canto libero – Decreto “dignità”: cambiare si può

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Le molte reazioni critiche e le poche, per lo più formali, condivisioni del decreto “dignità” sono state utili a disegnare il cambiamento climatico nella società italiana a proposito del lavoro. Molta acqua è evidentemente passata sotto i ponti rispetto al tempo in cui la polemica sulle norme portatrici della flessibilità contrattuale era così aspra da offrire involontariamente il contesto all’omicidio di Marco Biagi. Al di là delle diverse e mutevoli posizioni sulle cose da fare, possiamo oggi riconoscere come sia largamente superata la tradizionale fiducia nella capacità taumaturgica del formalismo giuridico. Ed è stato proprio questo l’errore passatista del nuovo governo. Non si è qualificato come un governo nuovo nel momento in cui ha ritenuto di assorbire l’insicurezza nel nuovo mercato del lavoro, caratterizzato da continue transizioni professionali, attraverso la vecchia cassetta degli attrezzi. Non tutto il male viene tuttavia per nuocere. Il ministro del lavoro può ora dimostrare capacità di ascolto e accompagnare le commissioni parlamentari in una attività emendativa che non si risolva in piccoli interventi al margine, come tali rivolti esclusivamente a contenere il danno della rigidità regolatoria. Possiamo ad esempio immaginare un agevole consenso trasversale ai diversi schieramenti sul privilegio dell’apprendistato rispetto ai contratti a termine per un ingresso più sostenibile dei giovani nel mercato del lavoro.

 

Nella trascorsa legislatura le istituzioni nazionali e regionali fecero l’opposto. La semplificazione dei contratti a termine, gli incentivi smodati ai contratti permanenti, la pretesa di adempimenti complessi e la minaccia di controlli formali per i contratti di apprendistato “educativo” determinarono un effetto di spiazzamento di questi ultimi. Il governo potrebbe ora cambiare drasticamente le convenienze e incoraggiare i contratti “a causa mista” in cui apprendimento teorico ed esperienza pratica si integrano. Analogamente, sarebbe cosa buona e giusta abbandonare l’innalzamento a trentasei mesi del tetto agli indennizzi nel caso di licenziamento illegittimo. L’equazione tra rigidità dei licenziamenti e inibizione delle assunzioni è ormai regola universalmente accettata e riconosciuta.

 

Ha senso quindi rendere ancor più oneroso il nostro record sanzionatorio? Meglio aggiungere un più robusto assegno di ricollocamento da spendere liberamente presso l’ente formativo liberamente prescelto dal disoccupato per stimolare una adeguata competizione tra i soggetti che offrono servizi di accompagnamento ad una nuova occupazione. E, dato che siamo in piena stagione turistica e alla vigilia di importanti stagionalità agricole, governo e Parlamento potrebbero finalmente porre rimedio al clamoroso errore della cancellazione dei voucher.

 

Occorrono, almeno per i settori indicati e per le collaborazioni domestiche brevi, modelli semplici di regolazione analoghi a quelli del passato, magari smaterializzati e collegati ad una agevole piattaforma Inps. Insomma, si può fare di più e meglio se si rinuncia ad ogni “incaponimento” ideologico e si muove dal criterio di osservazione della realtà.

 

Maurizio Sacconi
Presidente Associazione Amici di Marco Biagi
@MaurizioSacconi

 

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Il mio canto libero – Decreto “dignità”: cambiare si può
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